A quale norma attuativa del c.p.p. bisogna fare riferimento laddove la continuazione riguardi sentenze che abbiano definito il procedimento con rito ordinario o abbreviato e sentenze di patteggiamento.
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Indice
1. La questione
Il Gup del Tribunale di Milano applicava all’imputato la pena concordata complessiva di anni quattro di reclusione, in relazione al delitto per il quale procedeva, di bancarotta fraudolenta impropria in riferimento al fallimento di una s.r.l., ritenuto più grave e messo in continuazione con i delitti di bancarotta fraudolenta impropria distrazione e documentale, a loro volta, oggetto di una sentenza della Corte di Appello di Milano che l’aveva condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che deduceva violazione degli artt. 444 e 447 cod. proc. pen. per mancata correlazione tra quanto richiesto dalle parti e quanto ritenuto in sentenza.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso suesposto era dichiarato inammissibile.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione, osservando, dopo avere fatto presente come fossero irrilevanti i passaggi intermedi della determinazione della pena, atteso che, anche dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione gli errori commessi nelle operazioni di calcolo funzionali alla determinazione della pena concordata, se il risultato finale non si discosta da quello concordato dalle parti e non si traduce in una pena illegale (Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, fattispecie nella quale l’aumento per la ritenuta recidiva era stato erroneamente computato sulla pena già incrementata per la continuazione), come effettivamente il Gup fosse incorso in un errore materiale in quanto, come rilevava il ricorrente, avrebbe dovuto operare l’aumento per la continuazione, sulla pena diminuita ex art. 444 cod. proc. pen. per il reato più grave, nella misura di anni uno di reclusione in relazione ai reati satellite giudicati con rito ordinario, senza alcuna riduzione di pena a riguardo.
Ciò posto, era a tal proposito richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il disposto di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. non opera nel caso in cui l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato avanzata al giudice dell’esecuzione riguardi in parte sentenze emesse a seguito d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario (Sez. 1, n. 47076 del 19/06/2018), laddove la continuazione concerna sentenze che abbiano definito il procedimento con rito ordinario o abbreviato e sentenze di patteggiamento, la norma di riferimento è l’art. 137, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.; essa, nel prevedere anche in questa ipotesi la possibilità di applicazione del concorso formale o del reato continuato, esclude la necessità di un nuovo accordo tra le parti ed attribuisce al giudice dell’esecuzione gli stessi poteri di rideterminazione della pena unica esercitabili in caso di applicazione della disciplina della continuazione tra reati giudicati con più sentenze di condanna emesse in esito a giudizi svolti con forme diverse da quelle di cui all’art. 444 cod. proc. pen.; trovano, quindi, piena applicazione i limiti che al potere in questione sono fissati dagli artt. 671 cod. proc. pen. e 78 cod. pen. (Sez. 1, n. 7374 del 06/02/2007).
Tal che se ne faceva conseguire che, per il principio già affermato dalle Sez. U, nella sentenza n. 35852 del 22/02/2018, in ordine alla necessità della riduzione di pena per il rito abbreviato solo in ordine ai reati oggetto della decisione con rito speciale e non anche per quelli in continuazione ma oggetto di decisione, con rito ordinario, il giudice della continuazione dovrà applicare la medesima regola anche in relazione ai reati giudicati con il rito dell’applicazione di pena concordata.
Veniva quindi mantenuta la riduzione conseguente al beneficio tratto dalla opzione processuale ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen., ma solo in relazione ai reati così giudicati, senza estensione ad altri reati giudicati in via ordinaria.
Pertanto, ad avviso del Supremo Consesso, sebbene il Gup avesse commesso un errore materiale, ciò, però, non aveva prodotto effetti sostanziali, in quanto l’aumento per i reati satelliti, pattuito e poi applicato, era quello di anni uno di reclusione, non come frutto della riduzione, ma come aumento per la continuazione in sé, così da intendersi rettificato il calcolo ‘interno’ per la determinazione della pena.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito a quale norma attuativa del c.p.p. bisogna fare riferimento laddove la continuazione riguardi sentenze che abbiano definito il procedimento con rito ordinario o abbreviato e sentenze di patteggiamento.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il disposto di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen.[1] non opera nel caso in cui l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato avanzata al giudice dell’esecuzione riguardi in parte sentenze emesse a seguito d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario, laddove la continuazione concerna sentenze che abbiano definito il procedimento con rito ordinario o abbreviato e sentenze di patteggiamento, la norma di riferimento è l’art. 137, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.; essa, nel prevedere anche in questa ipotesi la possibilità di applicazione del concorso formale o del reato continuato, esclude la necessità di un nuovo accordo tra le parti ed attribuisce al giudice dell’esecuzione gli stessi poteri di rideterminazione della pena unica esercitabili in caso di applicazione della disciplina della continuazione tra reati giudicati con più sentenze di condanna emesse in esito a giudizi svolti con forme diverse da quelle di cui all’art. 444 cod. proc. pen.; trovano, quindi, piena applicazione i limiti che al potere in questione sono fissati dagli artt. 671 cod. proc. pen. e 78 cod. pen..
Dunque, fermo restando che la “disciplina del concorso formale e del reato continuato è applicabile anche quando concorrono reati per i quali la pena è applicata su richiesta delle parti e altri reati” (art. 137, co. 2, disp. att. cod. proc. pen.), da quanto sin qui enunciato, discende, anche in relazione a quanto postulato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 35852 del 22/02/2018, in ordine alla necessità della riduzione di pena per il rito abbreviato solo in ordine ai reati oggetto della decisione con rito speciale e non anche per quelli in continuazione ma oggetto di decisione, con rito ordinario, che il giudice della continuazione dovrà applicare la medesima regola anche in relazione ai reati giudicati con il rito dell’applicazione di pena concordata.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di individuare correttamente la norma attuativa del c.p.p. a cui fare riferimento ove si verifichi una situazione di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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Ai sensi del quale: “1. Fermo quanto previsto dall’articolo 137, nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che quest’ultima non superi complessivamente cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, ovvero due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, nei casi previsti nel comma 1-bis dell’articolo 444 del codice. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero, il giudice, se lo ritiene ingiustificato, accoglie ugualmente la richiesta”.
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