Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 4/2015: quale interesse al ricorso, giusto processo e che effetti a sedici anni dal diritto azionato?

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Con la recente sentenza resa dall’Adunanza Plenaria i magistrati del Consiglio di Stato sono intervenuti per dirimere la spinosa questione che può riassumersi nell’interrogativo: è ancora giusto annullare un atto amministrativo a distanza di oltre sedici anni dall’azionabilità della pretesa?   

Al suddetto interrogativo  il Consiglio di Stato ha risposto in senso affermativo affermando il principio di diritto secondo cui : “sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo , il giudice amministratyivo , ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, , ancorché la pronuncia possa creare gravi pregiudizi ai controinteressati anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo,   in tutto o in parte della procedura”.

La vicenda de qua trae origine nel lontano 1999 allorquando un partecipante ad un concorso bandito da un Comune, a seguito dell’espletamento delle prove selettive, ha ottenuto un punteggio insufficiente ed è stato, pertanto, non ammesso.

Il candidato escluso ha prontamente impugnato gli atti concorsuali dinanzi al TAR chiedendone l’annullamento sulla base del fatto che la commissione esaminatrice non aveva rispettato il chiarissimo principio della “previa fissazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali”, principio specifico della trasparenza e chiarezza dell’azione amministrativa, secondo cui la Commissione esaminatrice deve prima della correzione delle prove sc ritte stabilire i criteri di valutazione.

Il ricorso è stato respinto in primo grado e , giunto in appello dinanzi al Consiglio di Stato, a seguito di un’ordinanza interlocutoria di esibizione della documentazione concorsuale,   il Consiglio di Stato ha ribaltato l’esito del giudizio affermando che “la illegittimità degli atti risulta effettivamente sussistente, non essendo stati fissati i criteri di valutazione da parte della commissione d’esame”.

Il suddetto giudizio, ovviamente,  è intervenuto trascorsi oltre sedici anni dalla proposizione del ricorso, 1999-2014, allorquando gli altri vincitori del concorso avevano già maturato , pertanto, oltre sedici anni di attività lavorativa ininterrotta con la p.a.

Pertanto, la Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione circa la giustezza di un annullamento di un atto amministrativo, avente effetti pregiudizievoli per altri soggetti terzi, (rapporto di lavoro, contribuzione, previdenza, altri concorsi interni effettuati, atti emanati nell’esercizio della funzione e rapporti con i cittadini), intervenuto a distanza di oltre sedici anni.

Sul punto l’Adunanza Plenaria  ha affermato che “l’illegittimità determina l’annullabilità in potenza; l’azione di annullamento determina, su pronuncia del giudice , l’annullamento in atto degli atti impugnati. In caso di accoglimento del ricorso di annullamento il giudice quindi annulla necessariamente in tutto o in parte il provvedimento impugnato.  In virtù del principio della domanda, non può ammettersi che in presenza di un atto illegittimo, causa petendi, per il quale sia stata proposta una domanda demolitoria, petitum, potrebbe non  conseguirne l’effetto distruttivo dell’atto per valutazione o iniziativa ex officio del giudice.”

Il Consiglio di Stato, prosegue, nell’affermare che il risarcimento costituisce mero ordine del giudice diretto a restaurare la legalità violata dell’ordinamento in termini di soddisfazione monetaria per il danno subito dalla lesione dell’interesse violato in capo al soggetto leso che ha agito a tutela della legittimità dell’azione amministrativa, mentre l’annullamento invece è “restaurazione dell’ordina violato ad opera del giudice”.

Inoltre, “non rileva il tempo trascorso. Infatti la durata occorrente per il giudizio non può andare a danno del ricorrente che ha ragione e pregiudicargli la sua pretesa, se non a costo di infliggergli un doppio danno.”

Neanche può essere attuata, ad opera del giudicante, una modificazione degli effetti della domanda da annullatoria a risarcitoria in quanto ciò violerebbe il principio della domanda ex art. 112 c.p.c. e, sebbene a l’art. 246 t.f.u.e. consenta una modificazione degli effetti della domanda, ciò non può avvenire nell’ordinamento italiano in base alla specifica disciplina del processo amministrativo e, di richiamo, civile.

Giancarlo Pitaro

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