Cassazione: tentato omicidio mettere le mani al collo della moglie

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Come riporta Ansa.it, un marito che prende per il collo la moglie, dopo averla spinta verso il muro, deve rispondere di tentato omicidio e non esclusivamente di maltrattamenti o lesioni, anche se non ci sono ferite.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione, confermando la condanna a dieci anni, in primo grado comminati con il rito abbreviato, nei confronti di una ex guardia giurata di 42 anni di Travagliato (in provincia di Brescia) che, nonostante abbia ammesso di avere fatto violenza sulla donna, aveva impugnato la sentenza di secondo grado tentando di dimostrare di non avere provato a ucciderla.
Secondo i Supremi Giudici, però, contano i “potenziali effetti dell’azione”.

Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n.48845 del 7-07-2023

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Indice

1. Il reato di tentato omicidio


Il delitto tentato, contrapposto al delitto consumato, in diritto penale indica un delitto che non è arrivato alla sua consumazione perché non si è verificato l’evento voluto dal reo o perché, per motivi che non dipendono dalla sua volontà, l’azione non è arrivata a compimento.
Il reato in questione è disciplinato dal codice penale all’articolo 56, rubricato “delitto tentato”, che recita:
Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.
Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte, con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo, e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.
Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.
Si deve precisare che il reato nella forma tentata costituisce titolo autonomo di reato rispetto al reato compiuto.
La sua configurabilità si fonda sulla combinazione tra il reato – base e il disposto dell’articolo 56 del codice penale

2. La ricostruzione dei fatti 


La vittima aveva chiamato i carabinieri, accusando il marito di avere tentato di strangolarla.
Nel corso delle indagini, le dichiarazioni della vittima erano state confermate dal figlio.
Il marito aveva spinto la donna contro il muro, ed esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza. 
In quella sera di maggio, a scatenare la furia dell’uomo prima che iniziasse il turno di lavoro, fu il fatto che la moglie avesse scoperto il suo flirt virtuale, via chat, con un’altra donna, di origini pugliesi, conosciuta esclusivamente in Rete.
Sembra che l’uomo volesse comunicare alla sua famiglia, la sua intenzione di fare le valige e andare a Brescia.
La moglie glielo rinfacciò pretendendo risposte, dopo essere stata chiamata, alcune ore prima, dal marito della signora (“amante virtuale” del marito) per un confronto.
L’ex guardia giurata a quel punto avrebbe agito come di solito faceva, con insulti e con violenza. Afferrò la moglie con la mano sinistra sollevandola da terra e spingendola contro il muro e con la mano destra le avrebbe tappato la bocca impedendole di gridare.
A quel punto il figlio maggiore si mise in mezzo e la madre disse di volere chiamare i carabinieri.
Il marito le rispose in modo non molto gentile: “dai che devo andare al lavoro”.
Lei chiamò i carabinieri e lui fu arrestato, finendo ai domiciliari a Napoli, dal padre.

3. La decisione della Suprema Corte di Cassazione


La Suprema Corte di Cassazione ha respinto la difesa dell’uomo, sostenendo che:
La scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa, non sono fatti idonei ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo”.
Fu il figlio minore della coppia a interrompere l’aggressione, che all’epoca dodicenne, aveva chiamato il Telefono Azzurro.
Secondo la ricostruzione depositata agli atti, è stato lui a mettersi in mezzo per difendere la mamma. Era il 20 maggio 2020 e l’uomo, al tempo guardia giurata al servizio di un istituto di vigilanza privato, assegnato al turno notturno in zona Franciacorta, prese per il collo la moglie al culmine dell’ennesima lite nella loro casa di Travagliato, in provincia di Brescia.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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