Carcere al giornalista colpevole di aver diffamato gravemente un magistrato. Per la Cassazione la condotta è particolarmente grave

Redazione 25/10/12
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 41249 del 23 ottobre 2012 la V Sezione penale della Cassazione si è pronunciata in merito al caso Sallusti, confermando la condanna a carico del giornalista e negando la concessione della sospensione condizionale della pena.

Il giornalista, all’epoca direttore del giornale ‘Libero’, è stato ritenuto responsabile della campagna diffamatoria ai danni di un magistrato, il quale era intervenuto in una delicata vicenda avente per protagonista una minorenne che voleva esercitare il diritto di abortire.

Ciò che ha avuto maggiore peso nella decisione è stata la valutazione globale del comportamento del giornalista, che aveva a suo carico già sette pregresse condanne per diffamazione, di cui sei per diffamazione a mezzo stampa. E, quando la difesa sostiene che le condanne siano in un certo senso un rischio del mestiere di giornalista, ed in particolare di direttore di periodici, i giudici rispondono che in ogni caso non può ammettersi l’esistenza di una lecita attività lavorativa che abbia, come prodotti naturali, fatti lesivi di diritti fondamentali dei cittadini.

Le attenuanti vengono negate sul presupposto che non è possibile effettuare alcuna prognosi positiva sui futuri comportamenti di un giornalista che, in un arco limitato di tempo, ha più volte manifestato una indifferenza nei confronti del diritto fondamentale alla reputazione, in qualche occasione rendendosi personalmente responsabile delle condotte offensive.

Aggrava la posizione dell’imputato, infine, il fatto di non aver mai smentito la notizia falsa diffusa attraverso il giornale, e l’aver dipinto il giudice come ‘abortista’, continuando la diffusione di notizie false anche il giorno successivo sul quotidiano, dando luogo, così, in sostanza, «ad un prosieguo della campagna di offuscamento dell’immagine dei soggetti, a vario titolo, intervenuti nella vicenda, attraverso la riproposizione, da parte di un noto avvocato, dell’assenza di consenso della minorenne».

Insomma si è trattato, ad avviso dei giudici di legittimità, di una crociata contro un giudice dello Stato italiano, e nell’imputato è ravvisabile una « responsabilità non quale autore per il reato di diffamazione, ma quale direttore che, nell’esercizio del suo potere-dovere di guida dell’indirizzo politico culturale informativo del quotidiano da lui diretto, ha indubbiamente partecipato alla deliberata pubblicazione della notizia falsa e diffamatoria».

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