Autoriciclaggio: illegittimità costituzionale art. 69, quarto comma, c.p.

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale: vediamo come.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 69, co. 4)
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Corte Costituzionale -sentenza n. 188 del 27-09-2023

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Indice

1. Il fatto: tentato autoriciclaggio


il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, doveva giudicare della responsabilità di una persona imputata di tre furti contestati con le aggravanti di cui agli artt. 61, primo comma, numero 2), 625, primo comma, numero 4), e 99, quarto comma, cod. pen. – e del tentato autoriciclaggio dei beni sottratti aggravato dalla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen..
Ebbene, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, il giudice di prime cure rilevava che, rispetto ai tre furti, sussisteva l’aggravante della destrezza (art. 625, numero 4, cod. pen.) – non invece quella del nesso teleologico ex art. art. 61, numero 2), cod. pen. rispetto al tentato autoriciclaggio –, nonché la contestata recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen..
Oltre a ciò, questo giudice riteneva come avrebbero potute essere riconosciute, sia le attenuanti generiche, sia la circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen..
Tuttavia, per quanto concerne quest’ultimo elemento accidentale, tale operazione era preclusa dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., il quale prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..

2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione


In relazione alla situazione summenzionata, il Tribunale fiorentino sollevava, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione ratione temporis applicabile) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
In particolare, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in via principale, il rimettente rammentava come la Consulta si fosse già pronunciata in molteplici occasioni sulla legittimità costituzionale del censurato art. 69, quarto comma, cod. pen., citandosi a tal proposito le considerazioni svolte nella sentenza n. 251 del 2012, secondo cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee «consente al giudice di “valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono” (sentenza n. 38 del 1985)», considerato che eventuali deroghe al bilanciamento – sindacabili «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012) – «in ogni caso non possono giungere a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale» (è ancora citata la sentenza n. 251 del 2012).
Orbene, per il giudice a quo, nel caso di specie, il divieto contenuto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen. trasmoderebbe in una «manifesta irragionevolezza», in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., che – nella versione ratione temporis applicabile – comporta, per i fatti di minor offensività (in relazione alla minor gravità del reato presupposto), una diminuzione di pena «a effetto speciale e determinata in modo indipendente dalla fattispecie base», e conduce a un dimezzamento della cornice edittale.
Difatti, dal momento che la condotta e l’oggetto materiale del delitto di autoriciclaggio sarebbero individuati dall’art. 648-ter.1 cod. pen. in modo assai ampio e suscettibile di abbracciare una vasta gamma di comportamenti (ossia le condotte di chiunque «impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa»), così come parimenti ampio sarebbe il ventaglio dei possibili reati presupposto, identificati in qualunque delitto non colposo (catalogo esteso, nella nuova versione della disposizione, ai delitti colposi e alle contravvenzioni più gravi), tenuto conto altresì del fatto che la risposta sanzionatoria si connoterebbe poi per «un’apprezzabile severità», in questo contesto, per il giudice di merito, la circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648-ter.1 cod. pen. svolgerebbe «la funzione essenziale di mitigare il citato rigore sanzionatorio per quelle fattispecie che presentino una minore gravità oggettiva in ragione della provenienza del denaro o dei beni oggetto delle condotte di autoriciclaggio da delitti di minore gravità».
Il trattamento sanzionatorio, significativamente più mite, assicurato ai fatti di autoriciclaggio aventi ad oggetto denaro, beni e utilità provenienti dai reati presupposto meno gravi esprimerebbe per l’appunto «una dimensione offensiva la cui effettiva portata è disconosciuta dalla norma censurata, che indirizza l’individuazione della pena concreta verso un abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato» (è citata la sentenza n. 251 del 2012) posto che «due fatti – quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilità provenienti dai delitti più gravi (ad es. sequestro a scopo di estorsione, rapina, concussione, peculato, bancarotta fraudolenta, ecc.) e quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilità provenienti da delitti decisamente meno gravi (ad es. furto, truffa, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, reato di cui all’art. 388 c. p., ecc.)», «che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell’offesa, vengono ricondotti alla medesima cornice edittale, e ciò “determina un contrasto tra la disciplina censurata e l’art. 25, secondo comma, Cost., che pone il fatto alla base della responsabilità penale”» (è nuovamente richiamata la sentenza n. 251 del 2012).
Ciò posto, aggiungeva il rimettente che, nell’ipotesi contemplata dall’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen., per effetto dell’equivalenza tra la recidiva reiterata e l’attenuante in questione, l’imputato «verrebbe di fatto a subire un aumento di pena sensibilmente superiore a quello previsto dallo stesso art. 99 co. 4 c.p.: l’annullamento di una riduzione pari alla metà equivale infatti ad un aumento del 100% anziché ad un aumento della metà o dei due terzi, quale quello previsto a seconda dei casi dall’art. 99 co. 4 c.p.».
Orbene, alla luce di queste considerazioni, per il giudice a quo, emergerebbe il contrasto del divieto di prevalenza contenuto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen. con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., poiché la norma censurata «determina l’applicazione irragionevole della stessa pena a fatti oggettivamente diversi e in modo non rispettoso del principio di offensività», così come sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., «sotto il profilo del principio di proporzionalità della pena e della finalità rieducativa della stessa» visto che il Giudice delle leggi ha già osservato che l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza «una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze» (è citata la sentenza n. 205 del 2017).
In specie, il divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., in relazione (anche) alla circostanza attenuante ex art. 648-ter.1, cod. pen., secondo comma, impedirebbe il necessario adeguamento della pena edittale alle circostanze del caso concreto, determinando un trattamento sanzionatorio sproporzionato e dunque inidoneo a esplicare una funzione rieducativa poichè «il condannato – che per effetto della recidiva reiterata si veda assoggettato ad una pena enormemente più alta di quella che gli sarebbe altrimenti applicata – non potrebbe che percepire come irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi al trattamento rieducativo».
In relazione alle questioni formulate in via subordinata, che censurano l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti (in specie, quelle ex artt. 648-ter.1, secondo comma, e 62-bis, cod. pen.) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., il rimettente, infine, osservava che tale divieto «comporta a maggior ragione un trattamento sanzionatorio sproporzionato, ancor maggiore essendo l’incidenza sullo stesso delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata» e, dunque, sarebbe ancor più evidente l’attrito tra la deroga al giudizio di bilanciamento introdotta dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. e i principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena.


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3. La soluzione adottata dalla Consulta: illegittimità


I giudici di legittimità costituzionale ritenevano innanzitutto le questioni summenzionate ammissibili giacché, a fronte del fatto che, ai fini della verifica della rilevanza della questione, è necessario e sufficiente che il rimettente motivi in modo non implausibile sulle ragioni, in fatto e in diritto, che lo conducono a ritenere applicabile la norma della cui legittimità costituzionale dubita nel giudizio principale (ex multis, sentenze n. 139 del 2023, punto 3 del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 2.2. del Considerato in diritto; n. 192 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto), si riteneva come ciò fosse puntualmente avviene nell’articolata ordinanza introduttiva del presente giudizio.
Premesso ciò, la Consulta considerava altresì come le questioni formulate in via principale fossero fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati.
La Corte costituzionale evidenziava a tal proposito prima di tutto che, in numerose precedenti occasioni, essa stessa aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
In particolare, nella recente sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto), erano state rammentate e sinteticamente illustrate le varie rationes decidendi sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all’esigenza di mantenere – con le parole della successiva sentenza n. 141 del 2023 (punto 3.1. del Considerato in diritto) – «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’“abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato” (punto 5 del Considerato in diritto) creata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.».
Ebbene, per il Giudice delle leggi, il criterio generale appena citato non poteva non condurre anche in questo caso alla dichiarazione di illegittimità costituzionale auspicata dal rimettente.
Invero, prevedendo per l’autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore a cinque anni di reclusione –, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale, fermo restando che, allorché però il delitto risulti aggravato dalla recidiva reiterata – situazione statisticamente assai frequente allorché il reato presupposto sia un furto, come nel caso oggetto del giudizio a quo –, l’intento legislativo di prevedere un trattamento sanzionatorio sensibilmente meno severo per i fatti di riciclaggio conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli effetti pratici, frustrato dalla norma censurata, che vincola il giudice all’irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto per la fattispecie base di autoriciclaggio.
Ebbene, ciò, per la Corte di legittimità costituzionale, ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore – e conseguentemente applicate dal giudice – pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto), fermo restando che dalla norma censurata scaturisce altresì un al principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali (sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto, nonché – con riferimento specifico al divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – sentenze n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto), il che accade, per l’appunto, per effetto della norma ora censurata, da cui discende addirittura il raddoppio della pena minima, a parità di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione dei soli precedenti penali dell’autore.
L’art. 69, quarto comma, cod. pen. era dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..

4. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi affermata la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio), e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 195, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante diritto penale» – sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Da ciò dunque consegue che si potrà adesso operare questo giudizio di bilanciamento, che in precedenza era precluso dal nostro ordinamento giuridico.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché tale pronuncia è connotata da una motivazione in linea rispetto a quanto postulato dalla Corte costituzionale in precedenti occasioni, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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