Aborto: per la Consulta inammissibile in ricorso contro la L. 194/1978

Redazione 22/06/12
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Anna Costagliola

La Corte costituzionale, al termine della camera di consiglio svoltasi il 20 giugno scorso, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità dell’art. 4 della legge sull’aborto (L. 194/1978), sollevata dal giudice tutelare del Tribunale di Spoleto in seguito alla richiesta di una ragazza minorenne di ricorrere all’aborto senza informare i suoi genitori. Il consultorio cui si era rivolta la ragazza, seguendo il disposto dell’art. 12 della stessa legge 194, ha infatti rimesso la decisione al giudice tutelare del Tribunale di Spoleto consegnando, contestualmente e sempre nel rispetto della norma, una relazione corredata da parere. Nel documento redatto dal personale sociosanitario la ragazza spoletina viene descritta come motivata da «chiarezza e determinazione», convinta di «non essere in grado di crescere un figlio, né disposta ad accogliere un evento che non solo interferirebbe con i suoi progetti di crescita e di vita, ma rappresenterebbe un profondo stravolgimento esistenziale».

La disposizione della legge sull’aborto incriminata è contenuta nell’art. 4, laddove si stabilisce che per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, «la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito può rivolgersi a un consultorio».

A parere del giudice a quo la norma contrasta con i principi generali della Carta costituzionale e, in particolare, con quelli di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) e del diritto fondamentale alla salute dell’individuo (art. 32, co. 1). A sostegno della rilevata incostituzionalità il giudice ha citato una sentenza della Corte di Giustizia Ue (sent. C-34/10) in materia di brevettabilità dell’embrione, definito dai giudici di Lussemburgo come «essere» provvisto di un’autonoma soggettività giuridica della cui tutela l’ordinamento deve farsi carico in modo assoluto. Se, dunque, per il diritto vivente europeo l’«embrione umano» deve ritenersi correttamente qualificabile come «uomo», seppure in fieri, necessaria conseguenza giuridica è apparso, per il giudice a quo, ritenere costituzionalmente illegittima qualsivoglia norma di legge che, prevedendo la facoltà di addivenire alla volontaria distruzione dell’embrione, leda irreparabilmente il diritto alla vita, che è il primo tra i diritti inviolabili dell’uomo, oltre che il diritto alla salute, pure affermato e tutelato quale fondamentale diritto dell’individuo.

L’ordinanza di rimessione, tuttavia, non ha avuto seguito innanzi alla Corte costituzionale, che ha respinto, in quanto inammissibile, la questione di legittimità sollevata, senza esaminarla. Nel merito, pertanto, la questione relativa ai dubbi di costituzionalità resta aperta, rimanendo da stabilire a chiare lettere quale sia la tutela da assicurare all’embrione. Invero, sul punto, precedenti sentenze della Consulta hanno sempre ritenuto che vada protetta e considerata anche la posizione dell’embrione. Bisogna tuttavia chiarire quale dei due diritti finisca per prevalere nei casi in cui si debba scegliere tra evitare un danno per la salute della donna e salvare la vita all’embrione. In ogni caso, sembra doversi escludere, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, che l’aborto possa essere un diritto, non esistendo un «diritto all’aborto».

Resta ora da attendere le motivazioni del provvedimento della Consulta.

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