Vicenda giudiziaria recente e non conclusa, diritto all’informazione prevale sul diritto all’oblio

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Provvedimento Garante per la protezione dei dati personali n. 344 del 22 maggio 2018

riferimenti normativi: art 6 Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati dell’attività giornalistica; artt. 136 e ss., 102, comma 2, lett a) del Codice in materia di protezione dei dati personali.

Fatto

Il Garante per la protezione dei dati personali era stato chiamato a decidere su un ricorso presentato da un cittadino contro una società di telecomunicazioni in qualità di editrice di una testa giornalistica on-line, per aver essa causato un pregiudizio alla reputazione personale e professionale dello stesso attraverso la diffusione di informazioni legate ad una vicenda giudiziaria che lo vedeva coinvolto.

In particolare il ricorrente si era rivolto al Garante per chiedere l’adozione di misure tecniche idonee ad inibire l’indicizzazione di un articolo avente ad oggetto il caso giudiziario a lui riferito e pubblicato sul sito, di cui la società risultava essere editrice.

Il ricorrente aveva sostenuto che l’articolo pubblicato riportava i fatti oggetto di causa in termini non corretti e discordanti con le risultanze procedimentali tali da attentare alla sua reputazione, inoltre il titolo dell’articolo come formulato racchiudeva gravi accuse nei suoi confronti nonostante il corpo dello stesso non forniva alcuna descrizione della condotta in concreto tenuta, ma si limitava ad effettuare una ricostruzione dei fatti basata sul resoconto di un altro quotidiano.

Infine il ricorrente aveva evidenziato al Garante il fatto che dalle non corrette informazioni contenute nell’articolo ne ra derivato che un motore di ricerca consentiva di accedere al predetto articolo con un snippet del tutto forviante a quanto effettivamente accaduto.

Viste le richieste avanzate dall’interessato, il Garante aveva chiesto alla Società editrice del sito internet alcune precisazioni, alle quali essa aveva risposto sostenendo la correttezza del trattamento dei dati personali da essa operato. Secondo la Società, infatti, il trattamento dei dati personali era avvenuto in modo lecito e corretto per finalità giornalistiche, nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.

La Società, altresì, aveva chiarito che nell’articolo pubblicato sul sito internet era stato più volte specificato che la condotta addebitata all’indagato era oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, e quanto in esso contenuto era in linea con le risultanze processuali fino a quel momento accertate, essendo stato il ricorrente riconosciuto dal Tribunale distrettuale di Zurigo responsabile della condotta ascritta, vale a dire atti sessuali e molestie nei confronti di una quattordicenne.

La Società evidenziava, inoltre, al Garante che la richiesta del ricorrente di deindicizzare l’articolo, e cioè di impedire che il contenuto venisse trovato tramite motori di ricerca esterni,  non poteva essere accolta in quanto doveva ancora considerarsi esistente l’interesse pubblico alla conoscibilità della notizia non solo in considerazione della notorietà del ricorrente ma anche per la natura e per l’attualità dell’informazione. Ciononostante la Società aveva provveduto a modificare l’indirizzo internet sul quale l’articolo era reperibile chiedendo alla Società proprietaria del motore di ricerca più in uso di rimuovere l’indirizzo precedente così da impedire che l’articolo possa essere ritrovato dagli utenti in rete attraverso uno snippet considerato dall’interessato pregiudizievole.

Di fronte a tali informazioni date al Garante, il ricorrente aveva eccepito che la richiesta della Società di rimozione dell’originario indirizzo internet non soddisfaceva il suo interesse, in quanto l’articolo giornalistico, che era rimasto invariato nei suo tratti essenziali, era ancora accessibile, essendo stato pubblicato con un nuovo indirizzo internet.

Non solo ma il ricorrente continuava a mostrare forti perplessità sulla liceità del trattamento dei suoi dati personali operato dalla Società editrice, ritenendo il trattamento eccedente e non pertinente visto che rimaneva inalterato l’utilizzo del termine pedofilia, che però era inesatto con riferimento alla condotta a lui addebitata.

La decisione del Garante

Il Garante valutate le risultanze istruttorie ha ritenuto il ricorso presentato dall’interessato al trattamento infondato, ritenendo non accoglibili le richieste di deindicizzazione, in quanto la vicenda doveva essere ancora considerata di interesse pubblico, essendo la causa giudiziaria molto recente e non ancora conclusa.

Secondo l’organo giudicante inoltre il trattamento posto in essere dalla Società doveva essere considerato legittimo. Infatti il trattamento dei dati effettuato dalla Società è stato lecito fin dall’inizio, rientrando prima nelle finalità giornalistiche e poi attraverso la riproposizione degli articoli pubblicati sui siti internet, nei trattamenti effettuati al fine di favorire la libera manifestazione del pensiero e in particolare la libertà di ricerca, cronaca e critica storica.

In particolare il Garante, richiamando precedenti provvedimenti adottati, ha evidenziato che  la disciplina in materia di protezione dei dati personali, al fine di contemperare i diritti della persona, quale il dritto alla riservatezza, con la libertà di manifestazione del pensiero, prevede specifiche garanzie e cautele nel caso di trattamenti effettuati per finalità giornalistiche, confermando la liceità dei trattamenti anche laddove essi si svolgono senza il consenso degli interessati, purché avvengano nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità della persona alle quali si riferiscono i dati trattati e semprechè si svolgano nel rispetto del principio dell’essenzialità e dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.

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