Tribunale di Gela –sezione fallimentare – n. 19 del 15 ottobre 2013 – Pres. Leone – estensore Solaini.

Redazione 10/04/14
Scarica PDF Stampa

MASSIMA

  1. 1.          L’istanza di fallimento in estensione può essere presentata dal curatore, autonomamente legittimato ai sensi dell’art. 147 5° co. ****; infatti, egli è l’organo pubblico operativo procedente, che sostituisce, quanto a legittimazione, il Pm, il quale, ex art. 7 L.F., può richiedere la dichiarazione di fallimento ma non l’estensione dello stesso; sulla base dell’art. 147 5° co. ****, tale legittimazione è intestata al curatore, il quale richiede l’estensione mediante “istanza” che è un atto che non presuppone il rispetto dei requisiti formali di cui all’art. 125 c.p.c.
  2. 2.       La disposizione di cui all’art. 147 5° co. **** è applicabile anche all’ipotesi in cui, dichiarato il fallimento di una società (di capitali o di persone), risulta che l’attività d’impresa della fallita sia riconducibile a una società di fatto di cui quest’ultima fa parte e delle cui obbligazioni risponde illimitatamente. L’esistenza di una tale società di fatto tra più compagini sociali (ognuna formalmente autonoma, sia quella già dichiarata fallita sia altre in bonis e/o fra i soci illimitatamente responsabili di queste ultime) non presuppone alcun patto sociale esteriorizzato e, pertanto, prescinde dagli adempimenti formali di cui all’art. 2361 comma 2 c.c. In tal caso, sarà necessario esaminare gli indici rivelatori e sintomatici dell’affectio societatis, per poter presumere, sulla base di elementi univoci, l’esistenza del patto sociale occulto che evidenzia un’unica realtà imprenditoriale la quale mira alla realizzazione di un vantaggio patrimoniale comune con un inevitabile abuso dello strumento della personalità giuridica delle diverse realtà sociali formalmente ed esteriormente autonome e ciò all’evidente fine di limitare la responsabilità patrimoniale dei soci occulti.
  1. La morte di un socio di società di persone, prima della dichiarazione di fallimento e prima del giudizio di estensione del fallimento ai soci occulti appartenenti alla società di persone stessa, non implica litisconsorzio con gli eredi del socio defunto, né, ex art. 12 L.F., in quanto gli eredi sono chiamati in causa solo se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento e neppure ai sensi dell’art. 2290 c.c., per cui gli eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali, solo fino al giorno della morte del loro dante causa (che, nel caso di specie, è avvenuta prima della dichiarazione di fallimento e prima dell’estensione dello stesso).
  2. La richiesta di concordato, ex art. 160 L.F., è inconferente in sede di giudizio di estensione ex art. 147 L.F., poiché i presupposti dello stato d’insolvenza e la loro irreversibilità sono stati già accertati nel giudizio che è sfociato nella dichiarazione di fallimento di cui si chiede l’estensione.

 

 

 

 

IL TRIBUNALE DI GELA

Sezione Fallimentare

* * *

 

riunito in camera di consiglio e composto dai seguenti magistrati

–          dott. *************        Presidente

–          dott.  ************          Giudice

–          dott.  *************************

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Letta l’istanza presentato in data 20.6.2013 dal Dott. S. G., Curatore del fallimento di  M. P. srl dichiarato con sentenza del Tribunale di Gela in data 22/01/2013, per l’estensione del fallimento alla società di fatto tra M. P. srl e F.lli M. snc  nonché dei soci illimitatamente responsabili della F.lli M. snc  sig. ***** e  **********;

esaminata la documentazione allegata al ricorso,

sentiti gli interessati,

sentito il giudice relatore,

                                                                         Si premette

Il ricorso proposto dalla Curatela del Fallimento della M. P. srl è diretto a ottenere la pronuncia del fallimento in estensione ai sensi dell’art.147 comma 5  ****, della società di fatto tra la Ma P. srl e la F.lli M. snc  nonché dei soci  illimitatamente responsabili della F.lli M. snc, sig. ***** e  **********, in base al presupposto che l’esistenza di una società di fatto è dimostrata da una serie di indici rilevatori che evidenziano un disegno imprenditoriale unitario (sentenza n. 614 del 21.11.2011 del Tribunale di Roma ) ed il perseguimento di interessi riferibili ad una unica società di fatto come indicato dalla sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 846/2012 ove si ribadisce che l’esistenza di una società di fatto prescinde dagli adempimenti formali di cui all’art. 2361 c.c (delibera assembleare ed informazioni nella nota integrativa) rispetto ad altri elementi ritenuti assolutamente in grado di dare informazioni importanti sull’esistenza della società stessa.

L’estensione del fallimento ad altri soggetti rispetto all’impresa fallita avviene infatti laddove venga ravvisata una società di fatto tra l’impresa fallita ed i medesimi terzi, secondo quanto espressamente previsto dalla vigente formulazione del quinto comma dell’articolo 147 della legge fallimentare.

La fattispecie prevista da quest’ultima disposizione legislativa, infatti, <<deve ritenersi comprensiva di tutte le ipotesi in cui dopo il fallimento di un imprenditore -sia esso persona fisica o società- risulta che l’attività dallo stesso esercitata era in realtà riferibile ad una società partecipata anche da altre parti>> [cfr., in argomento, Tribunale di Vibo Valentia, 10 giugno 2011, n. 18, confermata da Corte di Appello di Catanzaro, Sezione Seconda Civile, 30 luglio 2012, n. 846].

La disposizione del quinto comma dell’articolo 147 legge fallimentare è applicabile, ricorrendo l’identica ratio, anche all’ipotesi in cui, dichiarato il fallimento di una società, risulti che l’attività di impresa della società fallita, è riconducibile ad una società, di cui quella già fallita fa parte, e delle cui obbligazioni risponde illimitatamente, stante che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, per poter considerare esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone o dell’ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da far ritenere che nonostante nei confronti dei terzi appaia formalmente un solo soggetto giuridico che esercita attività d’impresa, in effetti, dietro lo schermo della personalità giuridica di tale soggetto (nella fattispecie la M. P. srl oggi fallita) si celano, invece, altri soggetti che sulla base degli indicati indici rivelatori gestiscono ed operano di fatto unitamente e/o in luogo della società che appare di fronte ai terzi (come detto, oggi fallita), v. Cass., 29.10.1997, n. 10695 secondo cui : la concreta mancanza della prova scritta di un contratto societario relativo ad una società di fatto o irregolare (non richiesta, peraltro, dalla legge ai fini della sua validità), non impedisce, al giudice del merito, l’accertamento, “aliunde”, della esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale nonché l’esistenza di una “affectio societatis“(“id est” l’intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per tale esercizio), potendo legittimamente desumersi tale rapporto sociale dai comportamenti tenuti, anche nei confronti dei terzi, da ciascuno dei soci nell’esercizio collettivo dell’impresa.

Tale indagine, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici.);

La giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. da ultimo Cass. Civ. n.23344 del 18.11.2010) ha individuato una serie di elementi indiziari idonei e sufficienti a dimostrare l’esistenza di una società di fatto, quali l’identità della sede legale, amministrativa ed operativa, l’unicità della struttura organizzativa e produttiva, l’identità della compagine sociale, la commistione patrimoniale fra le società e il perseguimento di un comune interesse.

In questi termini, la Suprema Corte ha riconosciuto che costituisce principio di diritto quello secondo cui è configurabile una holding di tipo personale, suscettibile di fallimento, quando la stessa agisca in nome proprio, per il perseguimento di un risultato economico ottenuto attraverso l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione e il coordinamento dei fattori produttivi  relativi al proprio gruppo di imprese.

Una volta individuato un unitario disegno imprenditoriale, non si rendono indispensabili, ulteriori  approfondimenti, in quanto è sufficiente l’individuazione anche soltanto di un’attività negoziale   posta in essere in nome proprio da uno qualsiasi dei soci di fatto, ma chiaramente percepita  dai terzi come riferita alla società (cfr. ********* n. 23344 del 18.11.2010 che richiama Cass. . 13954 del 1999).

Nel caso di specie, si osserva quanto segue.

In via preliminare, mette conto rilevare come il curatore sia autonomamente legittimato a proporre l’istanza di estensione del fallimento, in quanto, innanzitutto, va rilevato come la predetta estensione del fallimento, s’innerva in una procedura già esistente, nella quale il curatore, è l’organo pubblico operativo procedente, che va a sostituire la legittimazione del Pm il quale ex art. 7 L.F. può chiedere la dichiarazione di fallimento (ma non l’estensione), mentre ex art. 147 comma 5 L.F. tale legittimazione non è più contemplata dalla norma (a favore del pm) proprio perché sostituita da quella del curatore, nel suo ruolo di garante del rispetto della legge; il predetto curatore è, pacificamente, un pubblico ufficiale (art. 30 L.F.). Infatti, secondo la giurisprudenza, il curatore è un organo dell’ufficio fallimentare, il quale concorre alla “formazione e alla manifestazione” della volontà della Pubblica Amministrazione attraverso i suoi poteri, le istanze nonché con la costante partecipazione negoziale agli atti del fallimento (Cass. N. 3327 del 20/01/2010).

A conforto di tale esegesi del disposto normativo si evidenzia come l’art. 147 comma 5 L.F.  definisca la richiesta di estensione del fallimento “istanza” e non ricorso (postulando, implicitamente, la non applicabilità dell’art. 125 c.p.c.).

Nel merito della presente vicenda, sono emersi una serie di elementi, indicati dalla Curatela fallimentare della società M .P. srl, dai quali emerge la gestione di un’unica attività imprenditoriale e commerciale di seguito evidenziati:

a)     Dalla sostanziale identità delle compagini sociali: Nella società M. P. srl i soci sono: ****,, ***** e M. T., mentre nella F.lli M. snc i soci sono: *****, M. T.

b)    Stessa sede operative: La F.lli M. snc ha presso la sede della M. P. srl un impianto di betonaggio (v. foto, sub allegato1 della memoria depositata dal curatore in data 30.9.2013), impianto costruito con pilastri in calcestruzzo il quale è collegato sia all’impianto idrico, vedi cisterna dietro impianto nella foto (allegato1), che alla centralina elettrica; lo stato dei luoghi, per come emerge sempre dalla foto allegata sub 1 dimostra la sussistenza di una evidente sede operativa presso la sede della M. P., attesa che tale struttura non facilmente rimuovibile è un chiaro sintomo di un insediamento stabile.

Fatto dimostrato non solo da un mezzo rinvenuto sempre presso la sede della M. P. srl di proprietà della F.lli M. snc (vedi la foto di cui all’allegato sub 2), ma lo stesso *****, amministratore della F.lli M., in sede di libero interrogatorio ha, tra l’altro, dichiarato: La F.lli M. possiede una betoniera sulla SS 115 (sede della M.P.) perché era obsoleta e doveva essere sabbiata e verniciata: il trasferimento è stato temporaneo, anzi la betoniera si trova ancora lì e preciso che non è funzionante”.

c)     Identità dell’oggetto sociale: La società F.lli M. snc  ha lo stesso, identico oggetto sociale della società fallita MA P. srl, ovvero: “Produzioni di manufatti in cemento, travi in cemento armato e blocchi con argilla espansa”.

d)    fondo comune: In questo senso depone l’atto notarile negativo di compravendita con repertorio n. 3249 raccolta n.2347 dal Notaio ***************** redatto in data 02 dicembre 2011, con il quale, premesso che non si era presentato l’amministratore della M.P. SRL e cioè il sig. ***********, si constatava che non si poteva procedere alla stipula del contratto di compravendita avente ad oggetto uno stabilimento industriale.

Tale preliminare di vendita  di tale stabilimento è del 20 febbraio 2002 e prevedeva l’acquisto da parte della M.P. dell’azienda della F.lli M. snc, azienda indicata in maniera generica e senza specificare ed individuare i beni che la componevano, per un importo di euro 1.000.000,00.

Tale preliminare prevedeva il versamento della somma suddetta entro il 2010 con versamento di somme a quote variabili a richiesta del venditore; tali somme, come indicato nel contratto preliminare di compravendita, vennero considerate come finanziamento da restituire (v. pagine 2 del preliminare, in atti).

La parte venditrice, a seguito dell’atto notarile, ha trattenuto euro 425.810,95 come caparra confirmatoria.

Considerato che non sono stati  individuati i beni oggetto del contratto di cessione d’azienda e verificato che l’importo della cauzione appare eccessivo rispetto al valore di cessione, risulta all’evidenza, che lo stesso è stato trattenuto dalla F.lli M. a titolo di penale, così come anche indicato nella relazione dell’attestatore del concordato preventivo presentato dalla M.P., v. pagina 6 dell’elaborato); da ciò, si può desumere che le parti hanno dato vita ad un contratto con l’intenzione di non attribuirgli alcuno effetto, ma di creare una provvista che serviva a dare un veste giuridica ai passaggi di denaro intercorsi negli anni tra la società Ma P. srl e la F.lli M. snc.

Sempre nella contabilità della Ma P. risultano ulteriori passaggi di denaro come da mastrino allegato del conto “Anticipi a fornitori” (v. allegato 5 dell’istanza di estensione del fallimento) dai quali  in data 25 giugno 2010 venivano versati dalla F. lli M. snc €.5.672,96 alla Ma P. srl; la Ma P. srl, da parte sua, versava alla F.lli M. snc,   in  data 14 settembre 2010 la somma pari a €. 5000,00; ancora, in data 22 novembre 2010 la medesima M.P. versava alla F.lli M. la somma pari ad  €. 7.000,00 ed ancora, il 23 novembre 2010 quest’ultima società versava alla F.lli M. la somma pari ad €. 3600,00; si rileva come tali somme passavano da una società all’altra senza nessun tipo di rapporto sottostante ma solamente in base a necessità di liquidità, e ciò in quanto non è stata rinvenuta né prodotta documentazione che potesse giustificare, altrimenti, tali passaggi di denaro.

Inoltre, dal mastrino allegato all’istanza di estensione del fallimento (sub 3) con un saldo pari ad €  238.040,35 risulta alla voce  Crediti V/soci per prelevamenti (prima pagina del mastrino)  un pagamento con assegno circolare – del 26.9.2006 -, n. 350002655411 utilizzato per pagare esposizioni erariali di ***** e ***** (moglie convivente) quali persone fisiche e ciò risulta riscontrato dalla certificazione rilasciata dalla Riscossione Sicilia SpA (allegato n. 4 della memoria depositata dal curatore il 30.9.2013,nonché dagli estratti del ruolo allegati alla predetta certificazione, dalla quale si evince che l’esposizione erariale risulta saldata in pari data); pertanto, l’importo portato da tale assegno pari ad € 11.000,00 (rientrante nella liquidità della M.P.), è stato utilizzato per pagare più cartelle esattoriali riferite, come detto, alla persona fisica di D. M. e ***** (moglie convivente).

Pertanto si può dedurre:

In primo luogo, che vi sono stati rapporti interni tra la società fallita e gli altri soci occulti oggi evocati in giudizio, sulla base di un vincolo sociale nell’ambito del quale  la società di fatto svolge il ruolo di capogruppo delle altre imprese “palesi”.

Inoltre, l’esteriorizzazione dell’imprenditore – ****** -, non deve palesarsi necessariamente nel compimento di atti negoziali in nome proprio, ma  semplicemente con l’esternazione del suo ruolo di “dominus” dell’attività imprenditoriale dal medesimo svolta (Trib Padova 2.11.01 e ****. Vicenza 23.11.06), proprio come risulta essere avvenuto sulla base della superiore ricostruzione.    

Questo collegio ritiene che dalla valutazione unitaria di tutti gli elementi indicati dal Curatore istante, nonché dalla documentazione prodotta allegata all’istanza, possono evincersi indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.) univocamente volti a  comprovare l’esistenza di una società di fatto tra Ma P. srl e F.lli M. snc  nonché della snc quale socio illimitatamente responsabile e conseguentemente anche dei soci illimitatamente responsabili della medesima F.lli M. snc  e cioè il sig. ***** e il **************, sotto l’unitaria gestione della predetta società di fatto, la  quale sulla base dell’apparenza di due soggetti giuridici distinti, ha, in realtà dato vita ad un ‘unica attività imprenditoriale, in funzione della realizzazione di un vantaggio patrimoniale comune, con abuso dello strumento della personalità giuridica delle due compagini sociali e ciò al fine di limitare la propria responsabilità patrimoniale.

In riferimento alla richiesta di concordato in bianco, al di là della incompletezza della documentazione (manca la delibera dei soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale sociale– art. 152 comma 2 L.F. – a presentare la medesima proposta), è dirimente il rilievo che in sede di estensione del fallimento non è oggetto di controversia lo stato di insolvenza dei presunti soci occulti della fallita, in quanto lo stesso è stato già oggetto di esame nella procedura prefallimentare della medesima società già dichiarata fallita; ma, invece, in sede di estensione del fallimento  è questione della sussistenza o meno degli indici rivelatori di una affectio societatis sulla base della quale vi sia stato la sussistenza di una cassa comune che abbia consentito di abusare dello schermo giuridico della società oramai fallita per limitare o escludere la propria responsabilità patrimoniale nei confronti dei creditori.

In merito alle difese espresse verbalmente dai resistenti in udienza.

Si rileva, in via preliminare, come l’eccezione dei convenuti, relativa ad una presunta disintegrità del contraddittorio, in quanto non sarebbero stati evocati in giudizio gli eredi del socio defunto ************** sia infondata, in quanto il curatore ha prodotto una visura camerale aggiornata al 9.10.2013 dalla quale si evince che l’attuale compagine sociale è composta dai soli soci ***** e M. T.; infatti, l’art. 12 della L.F.  prevede che la procedura fallimentare prosegua nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d’inventario, “solo se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento”.

D’altra parte, l’art. 2284 c.c., in tema di cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, prevede, “salva contraria disposizione del contratto sociale” che in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano: ma tale ultima ipotesi risulta smentita dalla recentissima visura camerale prodotta dal curatore, dalla quale si evince che l’attuale compagine sociale non contempla altri soci oltre a quelli sopra menzionati.

Inoltre, la responsabilità degli eredi del socio nei confronti del quale si scioglie il rapporto, ex art. 2290 c.c., non intacca l’integrità del contraddittorio nel presente giudizio, in quanto allo stato, il curatore ha ritenuto di presentare istanza di estensione del fallimento nei confronti dell’attuale compagine sociale: nulla preclude, ai creditori, ex art. 147 comma 5 L.F., qualora ritengano l’esistenza dei presupposti dell’estensione anche nei confronti del socio defunto, di presentare ulteriore istanza di estensione del fallimento, nella quale sarebbero evocati in giudizio proprio quegli eredi di M. R., che non si è ritenuto di evocare nel presente giudizio (che allo stato, non è dato neppure sapere se siano quelli legittimi – che non abbiano rinunciato all’eredità – ovvero anche altri testamentari).

D’altra parte, non è dato evincere quali siano, allo stato, gli eredi non rinuncianti, neppure dalla denuncia di successione che ha una esclusiva valenza fiscale e comunque, non è decorso neppure l’anno per la sua presentazione all’Agenzia delle Entrate (art..13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383).

Venendo al merito, in primo luogo, quand’anche la F.lli M. snc sia una impresa artigiana, va rilevato come nel presente giudizio si controverte sull’estensione del fallimento, e non sul fallimento della F.lli M. stessa, pertanto, se il fallimento può essere pacificamente esteso alle persone fisiche (di per sé, difficilmente fallibili se non come titolari di ditte individuali), non si vedono ostacoli a dichiarare l’estensione del fallimento anche all’impresa artigiana, socia di fatto di una società già dichiarata fallita.

Ulteriormente nel merito, parte resistente ha evidenziato la sussistenza a far data dal 2010, di un contratto di affitto di azienda stipulato con atto del 5.10.2010 intercorrente fra la  M.P. e la T. srl. che evidenzierebbe come, l’indice sintomatico sub b) – medesima sede operativa –  sopra evidenziato, potrebbe al più inquadrarsi nell’ambito dei rapporti commerciali intercorrenti fra la F.lli M. snc e la predetta Trinacria srl, ma giammai costituire indice sintomatico di una sede comune fra la fallita e l’odierna resistente.

Ciò non è vero.

Infatti, in sede di libero interrogatorio, *****, nulla ha riferito sull’esistenza di rapporti aziendali fra la società F.lli M. e la Trinacria e soprattutto non ha saputo giustificare la presenza dell’impianto di Betonaggio appartenente alla società dallo stesso rappresentata con rapporti commerciali ovvero di cortesia con la medesima Trinacria.

Quand’anche risultino dai mastrini della F.lli M., acquisiti dalla GdF, rapporti commerciali della F.lli M.  con la T., per le considerazioni sopra esposte, la F.lli M. appare, piuttosto,  la controparte contrattuale della T., la quale risulta corrispondere un canone annuo di € 28.000,00 – irrisorio rispetto al valore del compendio aziendale affittato – (si evidenzia, inoltre, come le compagini sociali della M.P., della F.lli M. snc e della T. srl siano costituite da soci legati da stretti vincoli di parentela) e, pertanto, la medesima F.lli M. ha continuato ad utilizzare le strutture formalmente in capo alla M.P. per le proprie necessità aziendali, in quanto la M.P., da parte sua, ha continuato a mantenere la propria sede operativa e legale nella stessa area nella quale risulta aver affittato l’azienda alla T. srl.

In merito al dedotto fondo comune, l’importo trattenuto dalla F.lli M. a titolo di cauzione (per l’inadempimento del preliminare), risulta dall’attestatore, ex art. 161 L.F., non più recuperabile (“totalmente inesigibile”), ed è per tale ragione che si è ritenuto che sia stato deputato a creare liquidità a favore della F.lli M., altrimenti sarebbe stata inserito in apposita voce del bilancio con la relativa causale (si precisa che le attestazioni del professionista ex art. 161 L.F. hanno una presunzione di veridicità, quantomeno iuris tantum).

L’impianto di betonaggio esistente presso la sede legale ed operativa della M.P. (SS 115 – km 268 + 500) è l’unico esistente in loco, perché se si fosse rinvenuto altro impianto, esso sarebbe stato inserito nell’inventario.

Sussistono gravi motivi per compensare le spese di lite

P.Q.M.

il Tribunale di Gela, a norma degli artt. 1, 5 e 16 L.F.

Dichiara

il fallimento della  società di fatto tra Ma P. srl e F.lli M. snc  nonché del

socio illimitatamente responsabili F.lli M. snc e pertanto anche dei soci illimitatamente

responsabili della F.lli M. snc  e cioè il sig. ***** e il  **********

Nomina

Il dott. **************** giudice delegato alla procedura;

Il dott. S. G. con studio in Gela, Via P. Vasile n.1, Curatore del fallimento che autorizza ad apporre immediatamente i sigilli ed a iniziare senza indugio le operazioni di inventario.                                                                                                                           

Ordina

Alla società dichiarata fallita di depositare i bilanci, le scrittura contabili e fiscali obbligatorie e l’elenco dei creditori entro 3 giorni dalla comunicazione della sentenza in cancelleria.

Assegna

Ai creditori e ai terzi che vantino diritti reali ovvero personali, mobiliari e immobiliari su cose in possesso della fallita, il termine di giorni 30 prima della udienza per l’esame dello stato passivo per la TRASMISSIONE VIA PEC certificata AL CURATORE delle domande di ammissione al passivo, avvertendo che le domande pervenute successivamente al predetto termine saranno considerate tardive.

Fissa

Per l’esame dello stato passivo dinanzi al Giudice delegato l’udienza del 6 febbraio 2014 ore 12.

Dispone la prenotazione a debito e/o l’anticipazione da parte dell’erario delle spese di cui all’art. 46 del d.p.r. n. 115/2002 fino all’acquisizione all’attivo fallimentare della necessaria liquidità;

Manda

Alla Cancelleria affinché provveda, entro il giorno successivo al deposito, alla notificazione ai sensi dell’art. 137 c.p.c. del testo integrale della presente sentenza ai falliti, alla comunicazione per estratto al curatore (che dovrà essere avvisato anche per le vie brevi – Tel/Fax 0933924980- per l’immediata accettazione dell’incarico) e al ricorrente per la dichiarazione di estensione del fallimento e la trasmissione per via telematica per estratto all’ufficio del registro delle imprese di Caltanissetta, alla Conservatoria dei Registri Immobiliari di Caltanissetta  ed al PRA di Caltanissetta, nonché all’Agenzia delle Entrate di Caltanissetta.

Così deciso in camera di consiglio in data 15.10.13

 

 Il Giudice estensore

   ******************

Il Presidente

Dott. *************

 

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento