Stabilire il termine in caso di sospensione condizionale subordinata

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A chi spetta stabilire il termine in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio

      Indice

  1. Il fatto
  2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
  3. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
  4. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
  5. Conclusioni

1. Il fatto

Il Tribunale di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con una sentenza pronunciata dallo stesso Tribunale passata in giudicato, ritenuto l’inadempimento degli obblighi risarcitori disposti in favore della parte civile (condanna al risarcimento del danno liquidato in euro 15.000), al quale adempimento il beneficio era stato condizionato senza la fissazione di un termine.

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore del condannato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.) con riferimento all’art. 165 cod. pen..

Si premetteva a tal proposito che il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena sul presupposto del mancato adempimento, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, dell’obbligo risarcitorio, al quale adempimento era stata subordinata la concessione del beneficio della pena sospesa, e ciò in violazione del principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale «in caso di sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della somma liquidata o provvisoriamente assegnata a titolo di risarcimento del danno, l’omessa indicazione del termine per l’adempimento dell’obbligo non comporta violazione dell’art. 165 cod. pen., poiché in tal caso il termine per l’adempimento coincide con quello di cinque o due anni previsto dall’art. 163 cod. pen.» (Sez. 5, n. 9855 del 08/11/2018).

Premesso ciò, la difesa sosteneva, pertanto, che il termine per adempiere all’obbligo risarcitorio, non essendo stato fissato dal giudice con la sentenza di condanna, non era ancora scaduto per il mancato decorso di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza, tenuto conto altresì del fatto che, nel caso di specie, avrebbe potuto farsi applicazione del meccanismo di correzione degli errori materiali per omissione, ciò tanto più che una disciplina adeguata a determinare il termine per l’adempimento, laddove non già fissato, potrebbe essere rinvenuta proprio nelle stesse norme dettate dal codice civile in tema di adempimento, sottolineandosi a tal proposito che l’art. 165 cod. pen., prevedendo che il giudice debba stabilire il termine per l’adempimento, appare operare una deroga rispetto al principio generale di cui all’art. 1183 cod. civ., che vuole immediatamente esigibili le prestazioni per le quali non sia stato fissato un termine, ricordando che la disciplina prevista dall’art. 1183, secondo comma, cod. civ. prevede che, se necessario in relazione alla peculiarità della prestazione, venga assegnato al giudice il compito di individuare il termine.

Tal che se ne faceva conseguire che, poiché l’adempimento sarebbe stato, nel caso di cui all’art. 165 cod. pen., funzionale alla conferma del beneficio della sospensione condizionale della pena, sembrava ricorrere senz’altro quella necessità, legata alla peculiarità della prestazione, che riserva al giudice dell’esecuzione l’individuazione del termine in ragione di una valutazione in concreto che abbia riguardo ad una serie di indici quali l’entità della somma, il tempo della statuizione e la condizione economica del condannato

Ciò posto, il ricorrente concludeva affermando che, anche sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata risulterebbe viziata per aver omesso il giudice dell’esecuzione di assegnare al condannato un termine per l’adempimento.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Prima Sezione Penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul primo motivo di ricorso, con carattere assorbente, in ordine alla possibilità di procedere alla revoca in fase esecutiva del beneficio della sospensione condizionale della pena che sia stato condizionato all’adempimento delle obbligazioni civili, quando il termine di adempimento di tale condizione non sia stato stabilito dal giudice della cognizione.

La Sezione rimettente, in particolare, preliminarmente segnalava l’esistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un contrasto giurisprudenziale sulla seguente questione: «se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincida con quello del passaggio in giudicato della stessa o con quello previsto dall’art. 163 cod. pen.».

In particolare, si evidenziava la presenza di due contrastanti indirizzi giurisprudenziali che, ad avviso della Sezione rimettente, non sono stati superati dall’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, persistendo incertezze interpretative nei giudici di merito.

Nel dettaglio, secondo un primo indirizzo interpretativo, il termine entro il quale il condannato deve provvedere all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincide con quello del passaggio in giudicato della stessa, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile (tra le altre, Sez. 1, n. 13776 del 15/12/2020; Sez. 1, n. 23742 del 08/07/2020; Sez. 1, n. 6368 del 28/01/2020; Sez. 1, n. 10867 del 16/01/2020; Sez. 1, n. 47649 del 18/04/2019; Sez. 1, n. 47862 del 28/06/2017).

Più nello specifico, queste pronunce, come sottolineato nell’ordinanza di rimessione, muovono dal presupposto che l’individuazione del termine non può che collegarsi alla natura e al contenuto specifico dell’obbligazione il cui adempimento determina l’inizio di efficacia della concessa sospensione condizionale della pena, cosicché, qualora questa consista nell’obbligo di pagare una somma di denaro alla persona offesa, a titolo di restituzione o di risarcimento, anche solo parziale, del danno, detto termine non può che identificarsi con quello di adempimento delle obbligazioni pecuniarie previsto dall’art. 1183, primo comma, cod. civ..

Oltre a ciò, la Sezione rimettente ricordava altresì che la giurisprudenza di legittimità, che aderisce a questo primo orientamento, sottolinea, da un lato, che la nozione di inadempimento dell’obbligazione deve essere mutuata dalla apposita norma civilistica (art. 1218 cod. civ.), secondo cui l’inadempimento consiste nel fatto oggettivo della mancata o inesatta esecuzione della prestazione, salvo la prova a carico del soggetto inadempiente della impossibilità assoluta di esecuzione della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, e chiarisce, dall’altro, come tale indirizzo sia compatibile anche con la disciplina processuale della revoca della sospensione condizionale della pena, di cui all’art. 674 cod. proc. pen., che ne prevede la pronuncia all’esito di udienza camerale e quindi del contraddittorio, sicché, nel corso dell’incidente di esecuzione promosso per la revoca del beneficio della sospensione condizionale, il condannato può comunque dimostrare di avere nel frattempo adempiuto o di non aver potuto incolpevolmente adempiere.

Ciò posto, secondo l’opposto orientamento giurisprudenziale, invece, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincide con quello di cinque o due anni previsto dall’art. 163 cod. pen., atteso che la legge prende in considerazione tale periodo di tempo per valutare se il comportamento tenuto dal condannato lo renda meritevole del beneficio, sicché esso deve ritenersi implicitamente applicabile anche agli obblighi restitutori e risarcitori, ove non diversamente disposto (tra le altre, Sez. 5, n. 9855 del 08/11/2018; Sez. 4, n. 21583 del 06/05/2016; Sez. 1, n. 24642 del 27/05/2015; Sez. 1, n. 42109 del 19/06/2013; Sez. 1, n. 41428 del 07/10/2004).

Orbene, sulla base di tali considerazioni, la Prima Sezione Penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite sottolineando la rilevanza della questione di diritto oggetto di contrasto, in particolare osservando che, se si fosse seguita la seconda opzione ermeneutica, il termine per adempiere non sarebbe decorso alla data di pronuncia del provvedimento impugnato, sicché sarebbe, a quella data, irrilevante verificare l’impossibilità ad adempiere del condannato, verifica che andrebbe, invece, effettuata in un successivo momento.


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3. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Nella sua requisitoria il Procuratore generale concludeva per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, in accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo.

In particolare, il Procuratore generale, mostrando di aderire al secondo orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, osservava come non fosse necessario, nel caso di specie, applicare la disciplina civilistica in materia di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, sul rilievo che la disciplina penalistica fosse già pienamente autosufficiente, posto che l’art. 163 cod. pen. prevede un tempo da utilizzare ai fini della valutazione sul se il comportamento tenuto dal condannato lo renda o meno meritevole del beneficio, ricavandosi da ciò il principio secondo il quale, se nelle norme penali vi sia già un precetto suscettibile di applicazione analogica, è ad esso che occorra fare ricorso, senza la necessità di utilizzare categorie di altro settore.

Peraltro, si osservava oltre tutto come detta soluzione, da un lato, si ispiri meglio al principio del favor rei, poiché finisce per concedere al condannato un termine più ampio ed agevole rispetto a quello sostanzialmente immediato, e favorevole soltanto al creditore, costituito dal passaggio in giudicato della sentenza e, dall’altro, è molto più coerente a livello ordinamentale permettendo al reo di usufruire di un tempo coincidente con il periodo di osservazione, la qual cosa costituisce l’essenza del beneficio della sospensione condizionale della pena.

4. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “Se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, qualora non fissato in sentenza, coincida con la data del passaggio in giudicato di quest’ultima o con la scadenza del termine, di cinque o due anni, previsto dall’art. 163 cod. pen.”.

Premesso ciò, gli Ermellini ritenevano che gli orientamenti giurisprudenziali in contrasto e richiamati dall’ordinanza di rimessione, pur contenendo validi argomenti a sostegno, non potessero essere seguiti.

In particolare, dopo avere compiuto uno excursus storico-normativo dell’istituto della sospensione condizionale della pena, con particolar riguardo alla sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento degli obblighi risarcitori, la prima questione, che si stimava da doversi affrontare per la soluzione del quesito rimesso alle Sezioni Unite, era quella di stabilire quale funzione, all’interno dell’istituto della sospensione condizionale della pena, esplichi il termine che, a norma del sesto comma dell’art. 165 cod. pen., il giudice deve stabilire nella sentenza ed entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti.

Orbene, per quanto riguarda il primo quesito, i giudici di legittimità ordinaria, dopo un lungo e articolato ragionamento giuridico, giungevano a postulare che, sia nel caso in cui gli obblighi tipizzati costituiscano un elemento accessorio della sospensione condizionale della pena (quando cioè il giudice può, utilizzando il proprio potere discrezionale adeguatamente motivato, subordinare la pena sospesa all’adempimento di “obblighi“) e sia nel caso in cui gli “obblighi” tipizzati contribuiscano necessariamente a completare la fattispecie-tipo (quando cioè la sospensione condizionale della pena, essendo stata concessa a persona che ne abbia già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli “obblighi” di cui al primo comma dell’art. 165 cod. pen.), il giudice è tenuto a fissare nella sentenza il termine per l’adempimento fermo restando che la necessità di provvedere in tal senso si spiega con il fatto che, trattandosi di obblighi condizionanti, in grado, cioè, di incidere sulla revoca del beneficio, essi, oltre ad essere concretamente esigibili, nel senso che l’obbligato deve essere in grado di sopportarli, devono essere certi anche in ordine al tempo concesso all’obbligato affinché possa ragionevolmente adempiervi, e tutto ciò in conformità al generale principio di proporzionalità che ispira l’intero sistema penale.

Ciò posto, per quanto invece riguarda il secondo quesito, i giudici di piazza Cavour rilevavano che il condannato non è soltanto tenuto ad evitare, durante il periodo di prova, la commissione di ulteriori reati, confermando in tal modo la prognosi di non recidiva formulata dal giudice al momento dell’applicazione del beneficio, ma anche di tenere, entro un termine stabilito dal giudice, determinati comportamenti che, concepiti anche in funzione satisfattoria degli interessi civili compromessi dal reato, comprovino ulteriormente il ravvedimento del reo attraverso l’adempimento dell’obbligo imposto posto che, in questa maniera, lo strumento adottato (la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di “obblighi risarcitori“) mira a rafforzare il dovere di adempiere e garantisce “che il comportamento del reo, dopo la condanna, si adegui a quel processo di ravvedimento che costituisce lo scopo precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena” (Corte cost., sent. n. 49 del 1975), consentendo al condannato di acquisire maggiore consapevolezza delle conseguenze dannose che sono derivate dalla propria condotta illecita ed essendo maggiormente rispondente all’interesse dell’ordinamento a che la risposta sanzionatoria sia la più calibrata possibile al caso concreto.

Da quanto appena esposto, la Corte di legittimità traeva le seguenti conclusioni: “Innanzitutto, quando il giudice penale concede la sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, valuta, in via prognostica, che l’imputato si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati e, in secondo luogo, compie un giudizio di meritevolezza, stimando l’imputato idoneo a conseguire il beneficio se, nel termine stabilito dalla sentenza, si attivi per risarcire la parte civile del danno cagionato dal reato e liquidato, in tutto o in parte, dal giudice stesso con la sentenza di condanna, in maniera da realizzare un comportamento sintomatico di una maggiore socialità; in linea, pertanto, con un auspicato reinserimento sociale, così da escludere, se entrambi gli obblighi (di non commettere in futuro ulteriori reati e di risarcire il danno cagionato alla parte civile e liquidato dal giudice) saranno adempiuti, la necessità che la pena comminata con la sentenza di condanna debba essere eseguita. A queste finalità sono collegati due termini: quello legale di cui all’art. 163, primo comma, cod. pen. e quello giudiziale di cui all’art. 165, sesto comma, stesso codice. Il primo termine, prevedendo un periodo di prova (di cinque anni per i delitti e di due anni per le contravvenzioni), è funzionale alla conferma o meno della prognosi di non recidiva, determinando, nel caso di conferma della prognosi formulata, l’estinzione del reato e, nel caso contrario, la revoca del beneficio. Trattandosi di una verifica che deve essere compiuta in un tempo predeterminato, il termine è stabilito, una tantum, dalla legge. Il secondo termine serve per definire compiutamente il trattamento specialpreventivo riservato al condannato a pena condizionalmente sospesa e subordinata all’adempimento di un “obbligo risarcitorio”, che può essere imposto soltanto se vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale (Sez. 6, n. 933 del 22/10/2003 (…)), sul rilievo dell’inscindibilità della condanna alle restituzioni ed al risarcimento dei danni dal presupposto dell’accertamento in sede penale di un’obbligazione di interessi civili, per cui sarebbe illegittima l’eventuale pronuncia del giudice, che sottoponga la concessione del beneficio alla condizione dell’adempimento dei suddetti obblighi civilistici, senza che tale richiesta provenga da una parte civile costituita (Sez. 6, n. 13052 del 23/04/1980 (…)). Ne consegue altresì l’impossibilità di subordinare la concessione del beneficio all’adempimento in forma generica dell’obbligo dell’integrale risarcimento del danno cagionato alla parte lesa, essendo invece necessario che il giudice penale determini con precisione il quantum di provvisionale o di risarcimento del danno che forma l’oggetto dell’obbligo condizionante (Sez. 3, n. 11637 del 05/06/1991 (…)), che, come sarà più chiaro in seguito, può essere imposto soltanto se il condannato versi nelle condizioni di poter adempiere cosicché una tale verifica comporta, anche per tale via, una valutazione diretta a stabilire un termine congruo per l’adempimento”.

Pertanto, ad avviso del Supremo Consesso, sulla base delle precedenti considerazioni, non risulta pienamente condivisibile il primo orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento di una somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di provvisionale in favore della parte civile, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato in sentenza, coincide con quello del passaggio in giudicato della stessa, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile (tra le altre, Sez. 1, n. 13776 del 15/12/2020, dep. 2021, omissis, 281059 – 01; Sez. 1, n. 23742 del 08/07/2020; Sez. 1, n. 6368 del 28/01/2020; Sez. 1, n. 10867 del 16/01/2020; Sez. 1, n. 47649 del 18/04/2019; Sez. 1, n. 47862 del 28/06/2017).

In particolare, veniva a tal riguardo dedotto, a sostegno di tale assunto, che: a) si deve escludere che, con specifico riferimento all’istituto de quo (art. 165 cod. pen.), il termine per l’adempimento degli obblighi risarcitori, ivi compresa la condanna alla provvisionale (che è ex lege esecutiva), possa decorrere ante iudicatum, ostando a una tale conclusione il dettato costituzionale (art. 27, secondo comma, Cost.) e quello convenzionale (art. 6, n. 2, CEDU), posto che la sospensione condizionale della pena presuppone una condanna (che si deve intendere come affermazione definitiva della responsabilità penale), con la conseguenza che, prima della sentenza irrevocabile, lo status di imputato impedisce, in costanza di una presunzione assoluta di non colpevolezza, che un beneficio possa essere revocato prima ancora che la colpevolezza non sia stata definitivamente accertata; b) non sia condivisibile l’indirizzo summenzionato, del quale sono espressione le sentenze in precedenza indicate, perché il principio espresso da dette pronunce fonda sul presupposto che, nel caso in cui il giudice della cognizione non abbia fissato un termine per l’adempimento dell’obbligo risarcitorio, l’inadempimento si concretizzerebbe nel momento stesso del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena sospesa subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno e, in tal modo, si farebbe coincidere impropriamente il dies a quo con il dies ad quem, svalutando la lettera della legge che, invece, richiede esplicitamente che sia stabilito un termine (diverso da quello iniziale) entro il quale il condannato debba adempiere la prestazione; c) non è condivisibile il principio secondo il quale l’obbligo del pagamento che scaturirebbe ex art. 165 cod. pen., in relazione alle statuizioni sui capi civili espressi nella sentenza di condanna, non avrebbe un contenuto nuovo o autonomo rispetto a quello civilistico atteso che la diversa concezione penalistica del termine ex art. 165 cod. pen. che consente di diversificare le rispettive discipline, lasciando alla parte privata comunque integre le azioni civili, esercitabili nel corso del processo penale, nel caso di condanna alla provvisionale o di condanna alle restituzioni o al risarcimento dichiarata provvisoriamente esecutiva o, dopo il giudicato, di irrevocabilità delle statuizioni civili e ciò indipendentemente da ogni “ricaduta” sulla sospensione condizionale della pena, qualora il giudice penale non abbia stabilito nella sentenza il termine per adempiere all’obbligo risarcitorio.

Ciò posto, sotto altro profilo, le Sezioni Unite ritenevano che non sia pienamente condivisibile nemmeno l’opposto orientamento secondo cui, qualora la sentenza non abbia fissato un termine entro il quale l’imputato debba adempiere all’obbligo cui è condizionato il beneficio, il termine per adempiere coincide con quello previsto dall’art. 163 cod. pen. (due o cinque anni a seconda che trattasi di contravvenzione o delitto), e il dies a quo coinciderebbe con quello del passaggio in giudicato della sentenza (tre le altre, Sez. 5, n. 9855 del 08/11/2018; Sez. 4, n. 21583 del 06/05/2016; Sez. 1, n. 24642 del 27/05/2015; Sez. 1, n. 42109 del 19/06/2013; Sez. 1, n. 41428 del 07/10/2004).

In particolare, le ragioni poste dalle Sezioni Unite, a sostegno di tale considerazione giuridica, sono così sintetizzabili: I) questo indirizzo svaluta il ruolo che la norma penale attribuisce al termine, il quale partecipa alla definizione della finalità specialpreventiva, che la norma stessa richiede che sia perseguita nel caso concreto, e perciò deve, per questo fondamentale motivo essere appositamente stabilito dal giudice nella sentenza per rendere, da un lato, esigibile l’adempimento dell’obbligo risarcitorio e, dall’altro, per rafforzare il dovere di adempiere da parte del condannato; II) affermando che – qualora la sentenza non abbia fissato un termine entro il quale l’imputato debba adempiere all’obbligo risarcitorio cui è condizionato il beneficio – il termine coincide con quello previsto dall’art. 163 cod. pen., tale indirizzo, ricorrendo ad una fictio fondata sul presupposto che il termine sia contenuto per implicito nella sentenza, compie un’operazione interpretativa non consentita perché postula, nella sostanza, che sia l’estinzione del reato ad essere subordinata all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, mentre, dal combinato disposto ex artt. 165, 167 e 168 cod. pen., si ricava che invece è la sospensione condizionale ad essere subordinata all’adempimento della prestazione dovuta; in altri termini, l’obbligo condizionante esplica la funzione di una clausola risolutiva apposta alla sospensione condizionale della pena (non all’estinzione del reato), nel senso che se l’onere risarcitorio non è adempiuto, il condannato decade dal beneficio della sospensione, la quale, inizialmente produttiva di effetti nelle more della scadenza del termine per adempiere, non produrrà ex tunc effetto alcuno, essendo perciò suscettibile di revoca.

Tali considerazioni, inoltre, portano a ritenere i giudici di piazza Cavour che il termine di cui al sesto comma dell’art. 165 cod. pen. debba essere necessariamente individuato dal giudice in un momento precedente alla rispettiva scadenza dei termini di cui all’art. 163 cod. pen. in conformità al trattamento che, nel caso specifico, si ritiene di riservare al condannato a pena condizionalmente sospesa per il migliore perseguimento delle esigenze special-preventive in funzione del reinserimento sociale visto che, come segnalato dalla dottrina, il processo di rieducazione deve tradursi nell’offerta al condannato di opportunità per un autonomo impegno di assunzione di responsabilità verso i valori sociali, impegno che sarebbe ampiamente disatteso qualora si lasciasse al condannato la facoltà di adempiere in corrispondenza della scadenza del periodo di prova, salvo che tale periodo sia stato espressamente indicato in sentenza perché ritenuto congruo in funzione della definizione del trattamento, circostanza esclusa dalla tesi di partenza che vuole che il giudice penale abbia omesso di stabilire il termine per l’adempimento.

Da ciò se ne faceva discendere che i termini previsti dall’art. 163 cod. pen. non possono svolgere alcuna funzione meramente integrativa rispetto alla statuizione omessa dal giudice e imposta dall’art. 165, sesto comma, cod. pen. cosicché il condannato, così come non può essere obbligato ad adempiere, ai fini dell’efficacia della sospensione condizionale della pena, immediatamente dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna (che segna il solo dies a quo), non può, mutatis mutandis, essere autorizzato ad adempiere quando lo voglia, purché prima della scadenza dei termini legali, ma al più si dovrà ricorrere a “norme di chiusura del sistema” (ossia al combinato disposto degli artt. 167 e 168 cod. pen.), nei casi in cui il termine per adempiere all’onere risarcitorio non sia stato fissato né dal giudice della cognizione e neppure dal giudice dell’esecuzione entro la scadenza dei termini legali, di cui all’art. 163 cod. pen..

Orbene, chiarito ciò, si pone per la Suprema Corte, a questo punto della disamina, il problema di chiedersi quali siano le conseguenze giuridiche qualora il giudice ometta, in sentenza, di stabilire il termine di cui all’art. 165, co. 6, cod. pen..

Innanzitutto, ad avviso degli Ermellini, non è percorribile la tesi, pure prospettata con il ricorso, secondo la quale si dovrebbe attivare, in questi casi, la procedura della correzione dell’errore materiale poiché la mancata fissazione del termine si traduce in una omessa statuizione obbligatoria ma a contenuto non predeterminato, perché il termine per adempiere concorre a definire il trattamento special-preventivo del condannato e perciò deve essere stabilito dal giudice della cognizione attraverso il bilanciamento di una serie di elementi non predefiniti, atteso che, quanto agli oneri risarcitori, occorre verificare se ed in quale misura la condizione sia ragionevolmente sopportabile dal condannato soprattutto in considerazione della sua capacità economica ed anche in relazione all’entità della somma da risarcire e agli altri elementi desumibili dagli atti o allegati dagli interessati.

Le Sezioni Unite, invero, hanno chiarito che soltanto l’omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008) con la conseguenza che, quando si è al cospetto, come nel caso di specie, di una statuizione obbligatoria ma a contenuto non predeterminato, non è consentito il ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale.

Esclusa siffatta opzione, osservava la Corte di legittimità come il fatto che il termine per adempiere, concorra a definire il trattamento special-preventivo del condannato in consonanza con il principio rieducativo (art. 27, terzo comma, Cost.), induce a ritenere che sussista l’obbligo del giudice della cognizione di procedere, secondo le evidenze disponibili, all’accertamento delle condizioni economiche dell’imputato nel caso in cui la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sia subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, che ha fatto registrare nel tempo opposti orientamenti, si è espressa recentemente, in modo compatto, nel senso che, nel caso di sospensione condizionale subordinata all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno, il giudice della cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, salva l’ipotesi in cui emergano situazioni che ne facciano dubitare della capacità economica di adempiere ovvero quando tali elementi siano forniti dalla parte interessata (Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021; Sez. 6, n. 22094 del 18/03/2021; Sez. 5, n. 3187 del 26/10;2020; Sez. 2, n. 26958 del 24/07/2020; Sez. 5, n. 40480 del 24/06/2019; Sez. 4, n. 50028 del 04/10/2017; Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017), rilevandosi al contempo che, peraltro, in passato, sempre la Cassazione aveva ritenuto che il giudice della cognizione, qualora avesse subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno contestualmente liquidato, dovesse procedere, con apprezzamento motivato, alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell’imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario (Sez. 5, n. 21557 del 02/02/2015; Sez. 2, n. 22342 del 15/02/2013) giungendo successivamente ad affermare che, in tali casi, sussistesse comunque l’obbligo di valutare le reali condizioni economiche del condannato e, ancor di più, quando vi fosse un accenno di prova dell’incapacità di questo di sopportare l’onere del pagamento risarcitorio (Sez. 5, n. 40041 del 18/06/2019) fermo restando che, nel pervenire a tale conclusione, aveva sottolineato come l’obbligo in questione fosse coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 Cost..

Questi ultimi approdi, del tutto compatibili con l’indirizzo in precedenza richiamato e che si è andato delineando all’interno della giurisprudenza di legittimità, evidenziavano le Sezioni Unite nella pronuncia qui in commento, fondano il proprio assunto privilegiando un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 165 cod. pen., in relazione all’art. 3 Cost. e facendo perciò leva sulle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale la quale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui consente di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha sottolineato che spetta comunque al giudice la valutazione, caratterizzata da un apprezzamento motivato pur se discrezionale, della capacità economica del condannato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento del danno (Corte cost., sentenza n. 49 del 1975).

Pertanto, la necessità di una tale preventiva valutazione, sia pure sommaria, consente di evitare che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore a carico dello stesso condannato in ragione delle sue condizioni economiche, ancor più quando vi sia già un accenno di prova dell’incapacità dell’imputato di adempiere all’obbligazione risarcitoria, con la conseguenza che il dovere, di scandagliare le effettive possibilità del condannato di fruire del beneficio della sospensione condizionale subordinandolo ad un obbligo risarcitorio che egli possa realmente assolvere, è coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 Cost. e tutto ciò si pone, per la Corte di legittimità, in linea con la tradizione giuridica italiana che, sin dall’introduzione dell’istituto della condanna condizionale, aveva posto in rilievo la necessità che con l’imposizione dell’obbligo risarcitorio, al cui adempimento fosse subordinata la sospensione della pena, si potesse realizzare, qualora affrancato da ogni valutazione sulla capacità di adempiere, una disparità cli trattamento tra imputati abbienti e non abbienti.

La circostanza poi che una tale valutazione competa anche e comunque al giudice dell’esecuzione, qualora si verta in tema di revoca del beneficio, ad avviso del Supremo Consesso, non esime il giudice della cognizione dall’eseguire un accertamento non necessariamente approfondito ma tale da escludere che, come è stato sottolineato in dottrina, la sospensione condizionale della pena “nasca già morta” perché condizionata all’assolvimento di un onere che il condannato non può ab initio sopportare, essendo l’adempimento per lui non esigibile in partenza.

Quanto poi alle conseguenze giuridiche che conseguono alla circostanza che il giudice della cognizione addirittura ometta, in sentenza, di stabilire il termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., le Sezioni Unite ritenevano che, in tal caso, tale omissione si traduce, per le ragioni in precedenza enunciate, in un vizio di legittimità che affligge la sentenza ed è inquadrabile nella violazione della legge penale sostanziale.

Pertanto, il ruolo di elemento essenziale della fattispecie, che la norma penale assegna al termine di cui all’art. 165, sesto comma, cod. pen., e la necessità che la sua fissazione definisca compiutamente il trattamento special-preventivo in conformità al principio rieducativo, comporta che le parti interessate, principalmente il pubblico ministero, possono impugnare la sentenza che tale omissione contenga, azionando il mezzo di impugnazione appositamente previsto fermo restando che, qualora la sentenza che contenga tale omissione non venga impugnata sul punto, il giudice d’appello può, d’ufficio o su sollecitazione delle parti, colmare la lacuna, fissando il termine per l’adempimento dell’onere risarcitorio e, a questo proposito, la giurisprudenza di legittimità si è già espressa affermando come tale omissione possa essere prontamente riparabile ex officio dal giudice dell’impugnazione (Sez. 6, n. 4610 del 22/10/1988).

Nel dettaglio, sotto tale profilo, con specifico riferimento alla condanna al pagamento di una provvisionale (ma il principio è valido per tutti gli obblighi ex art. 165 cod. pen. e, in particolare, per quelli risarcitori), la giurisprudenza di legittimità ha escluso la violazione del divieto della reformatio in peius da parte del giudice di appello che fissi il termine, per il pagamento della “provvisionale” in favore della parte civile, non indicato dal giudice di primo grado che, al pagamento della “provvisionale“, aveva appunto subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Di conseguenza, è stato ritenuto che non sarebbe predicabile, in siffatti casi, la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., in quanto la doverosa indicazione di un termine per il pagamento della provvisionale, lungi dal comportare la revoca di benefici in precedenza concessi, è connaturata alla subordinazione, ex art. 165 cod. pen., della sospensione condizionale della pena all’adempimento delle statuizioni civili, tanto più che l’indicazione di un termine per l’adempimento integra un aspetto necessario ed ineliminabile del beneficio medesimo, cosicché il giudice del merito ha il potere-dovere di riparare a tale mancanza, concludendo che non si verifica mai violazione del principio devolutivo né del divieto di reformatio in peius ove la statuizione emessa dal giudice d’appello si ponga come mero atto dovuto (Sez. 2, n. 35351 del 17/09/2010).

Ora, proprio partendo da tali considerazioni, ad avviso delle Sezioni Unite, deve escludersi la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. che in caso di appello del solo imputato vieta (comma 3) l’aggravamento della pena per specie o quantità, l’applicazione di misure di sicurezza nuove o più gravi o la revoca di benefici (tutti casi che, nella specie, non ricorrono), tanto sul (stimato) condivisibile rilievo che la doverosa indicazione di un termine per il pagamento della provvisionale o del risarcimento del danno liquidato dal giudice penale, lungi dal revocare il beneficio concesso dal giudice di primo grado, è connaturata alla subordinazione ex art. 165 cod. pen. della sospensione condizionale della pena all’adempimento delle statuizioni civili, subordinazione che nel caso di specie è stata già disposta dal primo giudice, tanto più che, in tema di oneri risarcitori, il termine è concepito a vantaggio del condannato che, diversamente, sarebbe stato chiamato ad adempiere immediatamente dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, anche con una ricaduta sulla conservazione o sulla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Pertanto, le Sezioni Unite consideravano come, al cospetto di una clausola obbligatoria per legge, il giudice di appello possa, anche d’ufficio, emanare una statuizione che, non contenuta nella sentenza di primo grado, si ponga come un mero atto dovuto in quanto costitutiva della fattispecie di cui all’art. 165 cod. pen..

Ad ogni modo, passata in giudicato la sentenza, perdurando l’omissione perché non riparata d’ufficio o a seguito di impugnazione di parte, il giudice dell’esecuzione, su richiesta di una parte interessata o del pubblico ministero e a prescindere dalla circostanza che sia stata presentata una domanda di revoca della sospensione condizionale della pena, può provvedere alla fissazione del termine.

Invero, trattandosi di una statuizione obbligatoria ma omessa, il giudice dell’esecuzione non trova preclusioni di sorta nel risolvere la questione devolutagli, ossia di fissare il termine per l’adempimento posto che la violazione del termine comporta la revoca del beneficio e perciò costituisce, nel caso di specie, un presupposto per la revoca.

Infine, qualora il giudice della cognizione non abbia stabilito il termine nella sentenza e successivamente il giudice dell’esecuzione non sia stato investito della fissazione del termine per l’adempimento dell’obbligo risarcitorio, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen. dal momento che ciò si deduce dal combinato disposto di cui agli artt. 167 e 168 cod. pen., quali norme di chiusura della disciplina de qua„ in considerazione della circostanza che il dies ad quem, in relazione al quale è commisurato l’onere risarcitorio, non può mai superare i termini previsti dall’art. 163 cod. pen., per la fondamentale ragione che, comunque decorso il rispettivo periodo di tempo, o il condannato a pena sospesa non ha commesso ulteriori reati ed ha ottemperato all’onere restitutorio, oppure, pur essendosi astenuto dalla commissione di ulteriori reati, non risulta che abbia adempiuto agli oneri restitutori, con la conseguenza che, in mancanza di cause sopravvenute che abbiano reso impossibile la prestazione, il reato non può estinguersi (art. 167 cod. pen.) e la sospensione della pena dovrà, quindi, essere revocata (art. 168 cod. pen.).

Per cui se il termine manca e non è stato fissato dal giudice della cognizione o da quello della esecuzione, secondo le cadenze in precedenza ricostruite, esso coinciderà con quello di cinque o due anni previsto dall’alt. 163 cod. pen., per cui l’adempimento degli obblighi deve avvenire prima della scadenza del termine di sospensione.

In conclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione era risolta enunciando il seguente principio di diritto: «In caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, che costituisce elemento essenziale dell’istituto, va fissato dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione o da quello della esecuzione. Qualora il termine non venga in tal modo fissato, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen.».

5. Conclusioni

La decisione è di un certo interesse essendo ivi chiarito a chi spetta stabilire il termine in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio.

Difatti, in tale pronuncia, componendosi un contrasto giurisprudenziale, si afferma che, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, che costituisce elemento essenziale dell’istituto, va fissato dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione o da quello della esecuzione e, qualora il termine non venga in tal modo fissato, lo stesso coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen..

Dunque, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, la competenza ad individuare siffatto termine spetta di norma al giudice in sentenza ma, se questo non lo fa, tale compito deve essere svolto dal giudice dell’impugnazione o, se neanche lui procede in tal senso, dal giudice dell’esecuzione.

Tuttavia, se nessuno di questi organi giudicanti provvede a compiere siffatta individuazione, le Sezioni Unite individuano, per appunto in chiave residuale, siffatto termine con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen. rispettivamente per i delitti e per le contravvenzioni, che, a loro volta, per giurisprudenza costante, vanno calcolati “a partire dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza con cui è stato concesso il beneficio” (Cass. pen., sez. I, 13/03/2019, n. 38035).

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché fa chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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