Sostituzione della detenzione con lavori socialmente utili: è sufficiente la mera «non opposizione» del condannato

Redazione 10/02/12
Scarica PDF Stampa

Anna Costagliola

La Cassazione, quarta sezione penale, con sent. n. 4927 dell’8 febbraio 2012, ha affermato il principio per cui, ai fini della sostituzione della detenzione domiciliare con il lavoro socialmente utile non è necessaria un’espressa richiesta del condannato né, a maggior ragione, che lo stesso indichi l’ente presso il quale svolgere l’attività e ne ottenga il consenso.

Con tale sentenza, la Corte ha rinnegato la decisione con cui la Corte d’appello aveva respinto l’istanza dell’imputato appellante di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria inflitta ai sensi dell’art. 186 (Guida sotto l’influenza dell’alcool) del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992) con il lavoro di pubblica utilità, come prevede il comma 9bis dello stesso art. 186 C.d.S. La Corte di merito aveva, in proposito, argomentato il rigetto dell’istanza sottolineando come ai fini della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità occorresse presentare apposita documentazione, mancante nel caso concreto, con l’indicazione dell’ente prescelto per lo svolgimento dell’attività, del consenso di questo e del calendario delle giornate lavorative da impiegare.

Chiariscono invece gli Ermellini che tale documentazione appare del tutto ultronea rispetto alla finalità in questione, non esistendo alcuna norma che imponga siffatti adempimenti a carico dell’imputato, ma anzi non essendo neppure necessaria specifica domanda da parte dell’interessato. Il citato comma 9bis dell’art. 186 del C.d.S. prevede, infatti, che, al di fuori del caso in cui il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, «la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, …, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste …..».

Per la Corte, pertanto, ai fini della sostituzione della misura alternativa alla condanna a pena detentiva e pecuniaria non è necessaria un’esplicita richiesta dell’imputato, ma è sufficiente la sua «non opposizione», né può ritenersi il richiamo all’art. 54 del D.Lgs. 274/2000 sia pienamente assorbente rispetto al dettato normativo di cui al comma 9bis dell’art. 186 C.d.S., con la conseguenza di ritenere operativa anche in relazione alla fattispecie in esame la previsione di cui al comma 1 di quella norma, in base alla quale il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità «solo su richiesta dell’imputato». Detto richiamo vale infatti a chiarire il concetto di «lavoro di pubblica utilità» quale prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, nonché ad individuare gli enti e i soggetti a favore dei quali l’attività può essere prestata e le modalità di svolgimento della stessa, definite con D.M. 26 marzo 2001.

In accoglimento del ricorso proposto, la Corte conclude nel senso che, chiarita la sufficienza della mera «non opposizione» del potenziale beneficiario della misura alternativa, una volta che questi l’abbia manifestata addirittura mediante richiesta specifica del beneficio, la legge non gli impone alcun obbligo determinativo in ordine ai tempi e alle modalità di esecuzione del lavoro di pubblica utilità, spettando tale compito a chi quel beneficio si determini a disporre.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento