Anche lievi modifiche del marchio debole sono idonee ad escludere la confusione

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Avv. Pier Paolo Muiá – Dott.ssa Maria Muià

 

Precedenti giurisprudenziali: Sent. Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267; Sent. Cass. 26 giugno 1996, n. 5924; Sent. Cass. 18 giugno 2018, n. 15927; Sent. Cass. 24 giugno 2016, n. 13170; Sent. Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267; Sent. Cass. 26 giugno 2007, n. 14787

Fatto

Una società operante nel campo del trasporto di imballaggio si rivolgeva al Tribunale di Firenzedi per vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno subito a causa della contraffazione del proprio marchio ad opera di un’altra Società, anch’essa operante nel settore del trasporto di imballaggio.

In particolare la Società ricorrente in primo grado, titolare del marchio, aveva specificato di aver provveduto a registrare il proprio marchio, che poteva considerarsi come segno distintivo della Società, dovendosi considerare un marchio forte in quanto il termine utilizzato (“log in”), si sostanziava in un neologismo che non presentava alcuna aderenza concettuale rispetto all’attività svolta dagli aventi diritto.

Il Tribunale decideva favorevolmente alla Società ricorrente riconoscendo in capo a questa il diritto al risarcimento del danno.

A fronte dell’impugnazione promossa dalla società convenuta in primo grado, di parere diverso era però la Corte d’Appello, che interpellata appunto dalla convenuta condannata in primo grado, riformava la sentenza del Tribunale rigettando la domanda degli originari attori.

La Società titolare del marchio decideva, quindi, di rivolgersi alla Suprema Corte impugnando la decisione dei giudici di seconde cure ed affidando il suo ricorso in Cassazione a tre motivi.

In particolare, con il primo motivo la Società sosteneva che la Corte d’Appello aveva erroneamente applicato la norma che disciplina la fattispecie, avendo qualificato il marchio come “debole” anziché “forte” e di aver conseguentemente negato la confondibilità fra i marchi. Secondo la Società ricorrente, infatti, il marchio fondato su quella determinata locuzione di cui al caso di specie ( cioè “log in”), doveva considerarsi forte, in quanto costituito da un neologismo sufficientemente distintivo evocante un metodo efficiente di trasporto e in quanto tale termine non presentava alcuna aderenza concettuale rispetto alla attività svolta dalla ricorrente medesima. Con il secondo motivo la Società rimproverava i Giudici di secondo grado di non aver rilevato che in entrambi i segni era presente quell’elemento distintivo rappresentato dal neologismo.

Infine, con l’ultimo motivo la Società sosteneva che la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che la natura di marchio debole escludeva la contraffazione in caso di differenze lievi tra i marchi, considerando oltretutto che un mero sostantivo diverso poteva contribuire a differenziare i due segni. La Società ha esposto ai Giudici di Cassazione la propria tesi per cui l’aggiunta del sostantivo non valeva ad evitare la confusione tra i segni, e che, altresì, laddove il marchio fosse da considerarsi debole, sarebbe stato necessario utilizzare i parametri della confondibilità analoghi a quelli impiegati nei casi in cui ci si riferisce ai marchi forti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte dopo aver analizzato la vicenda ha ritenuto il ricorso presentato dalla Società licenziataria del marchio, infondato.

I Giudici di Cassazione rigettano il primo motivo di ricorso ritenendo che lo stesso ecceda i limiti di legittimità per invadere quelli di merito. In particolare, gli Ermellini sostengono che  il motivo avanzato dalla ricorrente, legato al fatto che i giudici di merito avessero errato nel non riconoscere al segno una sufficiente capacità distintiva, non si sostanziava in un problema interpretativo della norma di legge (idoneo quindi a configurare un valido motivo di impugnazione), bensì un asserito errore di valutazione del giudice di merito in ordine alla fattispecie oggetto di causa (e pertanto non spendibile in Cassazione).

In ordine al secondo motivo ed alla decisione di ritenerlo infondato, invece, i Giudici di Cassazione, ribadendo una consolidata giurisprudenza, hanno specificato che devono considerarsi marchi “deboli” quelli che risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo. Secondo i Giudici la “debolezza” del marchio incide sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte, mentre per il marchio “forte” sono considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante.  In riferimento all’ultimo motivo di ricorso, sull’assunto per cui la confondibilità del marchio debole con altro segno distintivo è scongiurata anche da lievi modificazioni o aggiunte, i Giudici ermellini hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, che ha conferito rilievo all’adozione di modificazioni, pur non particolarmente consistenti, idonee a differenziare efficacemente i segni in conflitto e ad escludere l’effetto confusorio.

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