Sentenza per esteso Cassazione civile n. 11699/09

sentenza 01/10/09
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
SEZIONE TERZA CIVILE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. VITTORIA    *****                           – Presidente   – 
Dott. *****************                      – rel. Consigliere – 
Dott. FICO        ****                            – Consigliere – 
Dott. TRAVAGLINO *******                    – est. Consigliere – 
Dott. ********    *********                       – Consigliere – 
ha pronunciato la seguente:                                          
sentenza
sul ricorso 10809/2007 proposto da:
ANSA AGEN NAZ STAMPA ASSOCIATA SCARL, in persona del suo Presidente e
legale rappresentante pro tempore Dott.                    ******
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo
studio dell’avvocato ************, che lo rappresenta e difende
giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Omissis;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1371/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Prima
Sezione Civile, emessa il 15/02/06, depositata il 20/03/2006; ******
5610 – 5694/03;
Omissis
                
RILEVATO IN FATTO
La s.r.l Casa di cura (OMISSIS), nel convenire in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, la RAI e il Ministero della difesa, nonchè i responsabili dell’agenzia di stampa ANSA e del quotidiano (OMISSIS), ne chiese la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa di un’attività asseritamene diffamatoria – realizzatasi, tra l’altro, mediante pubblicazione di atti coperti da segreto istruttorio, e consumatasi attraverso una deformata informazione giornalistica e televisiva – di cui i convenuti si erano resi responsabili, nell’ambito di una indagine penale svolta presso il tribunale di Catanzaro in ordine al decesso di due pazienti ricoverati presso la casa di cura attrice.
Nella contumacia del Ministero, il giudice di primo grado accolse parzialmente la domanda, condannando la Rai al pagamento della somma di Euro 40.000, l’Ansa e Il OMISSIS a quella di Euro 15.000 ciascuno.
La sentenza fu impugnata, con due distinti gravami, dalla casa di Cura e dall’Ansa dinanzi alla corte di appello di Roma, la quale, riuniti i procedimenti (OMISSIS), nel rigettare entrambe le impugnazioni (previa declaratoria di inammissibilità di quella incidentale), osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:
1) che era integralmente da condividersi la ricostruzione sistematica e concettuale operata, quanto ai rapporti tra i reati di diffamazione a mezzo stampa e la pubblicazione arbitraria di atti, dal giudice di prime cure, che aveva in proposito condivisibilmente sottolineato l’impossibilità di configurare una lesione all’onore e al decoro di un soggetto anche sulla base della diffusione di notizie contenute in atti coperti da segreto;
2) che, altrettanto condivisibilmente, il primo giudice aveva ulteriormente evidenziato la diversità (oltre che tra soggetto passivo e oggetto materiale) del bene giuridico tutelato nelle due predette ipotesi di reato, conseguentemente escludendo la plurioffensività del divieto di pubblicazione – e quindi la sua stessa idoneità ad integrare la ulteriore violazione dell’onore e del decoro dei soggetti indicati negli atti resi pubblici;
3) che le critiche svolte dall’appellante OMISSIS in ordine alla pretesa incontinenza e non veridicità delle notizie riportate (in particolare nelle trasmissioni televisive e in un articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS)) erano infondate, secondo quanto affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, consonante nel predicare il principio di diritto secondo cui l’esimente di cui all’art. 51 c.p. opera, con riferimento al diritto di cronaca, alla triplice condizione del rispetto dei limiti della verità del fatto, della pertinenza (intesa come obbiettivo interesse per la pubblica opinione), della continenza (intesa come correttezza del riferimento fattuale);
4) che, nell’ipotesi di riferimenti giornalistici a fatti di cronaca giudiziaria, l’accertamento dell’eventuale superamento dei limiti predetti doveva essere compiuto in relazione al momento dei fatti, senza che avvenimenti successivi potessero, all’uopo, assumere rilievo, di talchè il successivo sviluppo delle indagini – e lo stesso esito finale del processo – non potevano in alcun modo essere posti a confronto con i fatti riferiti ai fini della determinazione ex post della liceità o meno della cronaca giornalistica;
5) che la stessa appellante OMISSIS, non contestando, in punto di fatto, la correlazione tra le notizie diffuse e l’indagine giudiziaria in corso, ma evidenziandone "il tono magniloquente ed eccessivo" nonchè "la drasticità" delle affermazioni (tale da indurre ad un giudizio di colpevolezza degli indagati), ometteva di considerare che, quanto all’articolo di giornale e al dispaccio dell’agenzia di stampa, non potevano dirsi violati i principi predetti, in quanto:
a) i fatti esposti riproducevano quasi integralmente il contenuto del comunicato stampa del comando dei carabinieri del (OMISSIS);
b) le notizie riguardavano circostanze emergenti, in particolare, dall’ordinanza di custodia cautelare del GIP presso il tribunale di OMISSIS;
c) non vi era alcuna affermazione lapidaria di colpevolezza, essendo viceversa indicati, in termini problematici, i necessari sviluppi processuali destinati all’obbiettivo riscontro degli elementi raccolti;
6) che l’utilizzazione di espressioni colorite e di toni incalzanti, lungi dal determinare un concreto pregiudizio per l’onore e il decoro della appellante, era sicuramente giustificata dal tipo di indagini effettuate, che riguardavano decessi di pazienti ricoverati in una situazione ambientale che gli stessi inquirenti avevano definito nei loro atti "agghiacciante" e "inquietante";
7) che l’affermazione contenuta nel dispaccio Ansa circa le centinaia di morti sospette oggetto delle indagini degli inquirenti assumeva, di converso, carattere diffamatorio, emergente dal raffronto – utile a rilevare la falsità di tale notizia – tra il comunicato stampa dei carabinieri – nel quale si menzionava il vaglio investigativo su di un numero considerevole di decessi colposi verificatisi negli ultimi anni – e gli ulteriori atti di indagine, in cui non si menzionava in alcun modo tale circostanza (il "numero elevato di decessi", appunto), mentre il dispaccio (OMISSIS) conteneva un riferimento "ad un centinaio di decessi di malati" e quello del giorno successivo a "126 decessi accaduti nell’ultimo decennio oggetto di indagini";
8) che era pertanto indubitabile come "il riferimento, sicuramente non veritiero, ad una vera e propria strage di degenti ricoverati" non valesse ad integrare alcun legittimo esercizio del diritto di cronaca giornalistica, ma integrasse gli estremi della diffamazione, etiologicamente connessa (anche) al lancio del dispaccio di agenzia.
La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dall’ANSA con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi di gravame.
Nessuna delle parti intimate ha svolto attività difensiva.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
L’ordine logico delle questioni da esaminare impone, in limine, l’analisi (e il rigetto) del quinto motivo di doglianza, con il quale la ricorrente lamenta una pretesa violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 163 c.p.c., punto 4), e la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia quanto alla eccepita nullità del ricorso in riassunzione ex art. 303 c.p.c., sì come introdotto dalla casa di cura nei confronti di essa ricorrente nel corso del giudizio di merito.
La doglianza non coglie, difatti, nel segno nella parte in cui omette di considerare che, nell’ipotesi di processo interrotto, la riassunzione con ricorso postula l’indicazione degli estremi della domanda solo se ed in quanto avvenga nei confronti di un soggetto estinto – del tutto irrilevante risultando, per altro verso, la circostanza per cui l’Ansa risultasse chiamata in causa ovvero citata immediatamente, questione, peraltro, non tempestivamente sollevata dopo la prima pronuncia di condanna diretta).
Fondato risulta, invece, il primo motivo di ricorso, il cui accoglimento comporta l’assorbimento di quelli ad esso successivo.
Con il primo motivo, la difesa della ricorrente denuncia, difatti, i vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1362 c.c. e ss.; art. 1324 c.c.; art. 595 c.p.), e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
All’esito di alcune essenziali e condivisibili premesse in diritto che la corte territoriale, sulla complessa tematica della diffamazione a mezzo stampa, antepone al proprio decisum (supra, in narrativa, sub 3 – 4) – premesse del tutto consonanti con una più che consolidata giurisprudenza di questa corte regolatrice -, è indubitabile che la sentenza impugnata risulti, poi, manifestamente contraddittoria con tali assunti (come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente) nella parte in cui si volge a predicare una pretesa falsità della notizia contenuta nei due dispacci Ansa attraverso una (non legittima) traiettoria di pensiero volta al raffronto di questi non già con il comunicato stampa dei carabinieri – unico atto, rilevante, quoad tempus, a consentire un utile procedimento di comparazione – bensì con gli ulteriori (e temporalmente successivi) atti di indagine (supra, sub 7) la cui irrilevanza costituiva e costituisce, di converso, la ineludibile premessa dell’analisi (così come opinato, d’altronde, dalla stessa corte capitolina nell’enunciazione dei principi che precede il concreto decisum).
La comparazione andava, pertanto, operata tra il contenuto degli atti giudiziari alla data dei due dispacci ((OMISSIS)) e il contenuto della notizia oggetto del lancio di stampa, e cioè, in particolare, tra il contenuto del comunicato stampa dei carabinieri – ove era esplicito il riferimento ad "un considerevole numero di decessi colposi degli ultimi anni" – e del provvedimento del Gip – ove era manifesto il richiamo a "condizioni ambientali agghiaccianti e inquietanti"" – e l’indicazione di un numero di decessi – "un centinaio" nel primo comunicato, "126" nel secondo – di cui l’Ansa si era resa propalatrice. Comparazione, dunque, tra una concreta quantificazione (dovuta, con ogni probabilità, ad un elementare riscontro numerico operato presso i competenti uffici inquirenti) del numero dei decessi e l’aggettivo "considerevole" utilizzato dagli stessi inquirenti, posto che la trasformazione di una quantità indeterminata ma rilevante in una quantità determinata ma comunque contenuta in "un centinaio" non appare in alcun caso idonea ad integrare gli estremi della "vera e propria strage di degenti ricoverati", come (ancora una volta apoditticamente) opinato dal giudice territoriale, con immotivata e personale trasmutazione della portata e del significato della notizia (propalata invero in modo del tutto asettico e priva di commenti o valutazioni da parte dell’Ansa) in sè e per sè considerata in una immagine di forte e suggestivo contenuto evocativo, ma sicuramente riferibile a ben altre e ben più gravi vicende.
All’accoglimento per quanto di ragione del ricorso dell’Ansa consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio del procedimento, per un nuovo esame, alla Corte di appello di Roma in altra composizione.
 
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame, e per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla stessa corte di appello di Roma in altra composizione.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2009

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