Precedenti giurisprudenziali: cass., sez. 2, sentenza n. 16181 del 28/6/2017
La vicenda
La vicenda prendeva l’avvio quando i proprietari di un’unità immobiliare facente parte di un condominio richiedevano al tribunale la condanna del condominio a rimuovere taluni alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni condominiali, piante che ostacolavano il godimento del panorama.
Gli attori facevano presente che già nel preliminare di compravendita immobiliare, concluso con la società costruttrice-venditrice, quest’ultima aveva garantito agli acquirenti che il fabbricato da costruirsi davanti al loro appartamento non avrebbe superato la quota massima rappresentata dal livello del corrimano della ringhiera del loro balcone.
Tale pattuizione era stata poi inserita anche nel rogito, prevedendo, però, solo limiti di altezza per l’ulteriore palazzina da edificare nell’area condominiale.
Il tribunale respingeva la domanda degli attori e tale decisione veniva confermata dalla corte d’appello, la quale non escludeva che la presenza di alberi ad alto fusto nel giardino condominiale potesse integrare, in astratto, gli estremi di una turbativa di una servitù di panorama, ma riteneva che, nel caso di specie, il presupposto per l’inquadramento della servitù dedotta in giudizio “tra quelle a tutela delle vedute panoramiche” non fosse stato compiutamente allegato, né provato in giudizio.
In particolare i giudici di secondo grado ritenevano che la suddetta clausola prevedesse solo limiti di altezza per l’ulteriore palazzina da edificare nell’area condominiale, senza limitare il diritto di piantumazione di alberi di alto fusto; d’altra parte, la destinazione a giardino di talune aree condominiali era vincolata dagli atti di obbligo sottoscritti dalla società costruttrice.
Naturalmente i condomini interessati a godere ancora del panorama criticavano l’interpretazione operata dalla corte sulla portata della clausola contrattuale sopra detta.
La questione veniva sottoposta all’attenzione della suprema corte.
La questione
Può essere ordinata la rimozione degli alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni al condominio, se la clausola del contratto con cui i condomini avevano acquistato l’appartamento dalla società costruttrice del complesso condominiale prevedeva solo limiti di altezza per l’ulteriore palazzina da edificare nell’area condominiale?
La soluzione
La suprema corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato in primo luogo che la lettera della clausola contrattuale è stata correttamente valorizzata dai giudici di merito, osservando come un divieto testualmente riferito alle costruzioni non potesse intendersi esteso anche alle piantumazioni; in tal modo la corte distrettuale si è uniformata all’insegnamento giurisprudenziale alla cui stregua il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. Alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ad altri criteri, anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
In altre parole i condomini non hanno dedotto alcuna prova che testimoniasse una volontà dei contraenti diversa da quella emergente dal prioritario elemento letterale che faceva riferimento al “fabbricato da costruirsi davanti all’appartamento di cui sopra”, limitandosi a sostenere un’interpretazione della clausola in questione difforme da quella motivatamente adottata dal giudice di merito.
Correttamente, pertanto, i giudici di secondo grado avevano osservato che l’accordo contrattuale costitutivo della servitù prevedeva espressamente solo i limiti di altezza per le nuove costruzioni e la servitù di panorama non poteva essere fatta valere nei confronti del condominio e degli altri condomini se non nella misura strettamente aderente alla formulazione letterale del contratto, senza indebite interpretazioni estensive.
Approfondisci con:”Servitù di passaggio: il diritto e le sue caratteristiche”
Le riflessioni conclusive
La giurisprudenza (pur in assenza di una previsione del codice) ha avuto modo in più occasioni di riconoscere l’esistenza di una servitù di panorama, la cui utilità è data dal poter godere della particolare amenità del paesaggio e dalla particolare visuale di cui il fondo dominante (l’appartamento del condomino) viene ad essere dotato, con l’esclusione della possibilità per il proprietario del fondo servente (cioè dell’area condominiale) di alzare costruzioni o manufatti – anche se consentiti per altri versi – che pregiudichino o limitino tale panorama.
Tale servitù, (detta anche servitus altius non tollendi) conferisce al suo titolare la facoltà non già di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo
Si tratta quindi di una servitù negativa (perché il suo titolare ha il diritto di vietare al proprietario del fondo servente un particolare uso della sua proprietà e, cioè, la sopraelevazione e/o l’innalzamento di alberi).
Chiarito quanto sopra si deve sottolineare come nell’ambito di un condominio il singolo condomino possa vantare una servitù nei confronti delle parti comuni dello stabile.
Infatti in uno stesso edificio la proprietà comune è configurabile come entità distinta da quella individuale sotto il profilo sia materiale, essendo identificabili le cose condominiali, sia della titolarità del diritto, dato che, mentre colui che ha la proprietà esclusiva di singole cose è un soggetto individuale, il titolare delle cose dl proprietà comune è un soggetto plurimo e diverso.
Uno spazio comune può quindi assumere veste di fondo servente sia in favore di condomini sia di terzi (si pensi al cortile condominiale gravato da servitù di passo in favore di fondo confinante con il condominio).
Di conseguenza è valida la clausola, contenuta nel contratto di acquisto dell’appartamento stipulato con il costruttore del complesso condominiale, che prevede anche limiti di altezza per gli alberi piantati nel giardino comune.
Tali servitù non possono considerarsi apparenti, in quanto non necessitano di opere visibili che siano destinate al suo esercizio.
In quanto servitù non apparente, la servitù di panorama non può essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (cioè per essere stati in passato i due fondi, oggi divisi, di proprietà di uno stesso proprietario che poi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù), ma può essere acquistata soltanto per contratto o per testamento.
Applicando questi principi, la cassazione ha affermato che, sulla base della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, non è possibile riconoscere ad un condomino l’acquisto per usucapione di una servitù di panorama, da intendersi, però, come diritto a non vedere pregiudicata la visuale all’infinito dal terrazzo dalla chioma di un albero piantato a distanza legale.
Si è, infatti, precisato che il riconoscimento del diritto, in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile (esercitata per oltre 20 anni) viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali.
È vero, infatti, che una servitù di panorama può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia o usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta (cass. Civ., sez. Ii, 27/02/2012, n. 2973).
È, dunque, questo l’accertamento che il giudice dovrà compiere per verificare se sussista una servitù di panorama e, naturalmente, l’onere di dimostrare l’esistenza delle opere visibili e permanenti ulteriori rispetto a quelle attraverso cui la servitù si esercita sarà a carico del condomino che reclami la costituzione della servitù per intervenuta usucapione.
A tale proposito, però, è stato affermato che, in tema di acquisto per usucapione, ai sensi dell’art.1061 c.c., comma 1, di una servitù di veduta, le opere permanenti destinate al relativo esercizio (una finestra, un balcone) devono essere visibili in maniera tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente (la collettività condominiale) sia consapevole della situazione di obiettivo asservimento della sua proprietà, per il vantaggio del fondo dominante (l’appartamento del condomino).
Il requisito di visibilità, pertanto, può far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento