Salario minimo e salario nei Contratti Collettivi Nazionali

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E’ in corso un acceso dibattito sulla introduzione nel nostro ordinamento giuridico del c.d. “salario minimo”, al quale vogliamo dare il presente contributo.
Il salario, più propriamente retribuzione (v.art.2094 c.c.) rappresenta il corrispettivo che spetta al lavoratore a fronte della sua prestazione lavorativa.
Il problema della “misura” del salario è, in origine, più un problema economico che giuridico.

Per approfondimenti si consiglia il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti

Indice

1. Una breve storia del dibattito sul salario


Nella tradizione classica (i.c.d.fisiocratici) si riteneva che “i salari si collocano al livello che concede all’operaio il minimo necessario per la sussistenza”. L’introduzione nella scienza economica della teoria della “utilità marginale” diede una base più scientifica alla determinazione dei salari. Come noto essa si esprimeva nel senso che” un prodotto (o servizio) non consegue il suo valore dalla soddisfazione totale conseguente al suo possesso e al suo uso (servizio), bensì dalla soddisfazione o godimento -l’utilità- conseguente all’ultima unità aggiunta, quella meno desiderata, al nostro consumo” c.d. utilità marginale. Detta in altri termini: “è l’utilità dell’unità ultima e meno desiderata -l’utilità dell’unità marginale- a fissare il valore del tutto”. Tale principio aveva valore universale. E così si applicava anche al salario: quando si assumeva una forza lavoro omogenea e si potevano trascurare differenze di abilità e diligenza, come era il caso delle masse operaie non specializzate nelle fabbriche, la paga era fissata dal valore del contributo dato alla produzione e ai profitti dall’ultimo lavoratore disponibile. Per qualsiasi operaio insistere per avere di più avrebbe significato perdere il posto. Stando così le cose, nessuno poteva chiedere una paga superiore al proprio contributo al prodotto marginale dell’impresa. E presi singolarmente, uno per uno, tutti gli operai erano intercambiabili con l’operaio nella condizione marginale. L’eccesso procreati­vo poteva avere l’effetto di aumentare ancor più l’offerta di la­voro e diminuire la remunerazione marginale, la quale poteva scendere fino al livello di sussistenza. Ma il salario di equili­brio poteva esser più generoso. La manodopera poteva non es­sere tanto abbondante; e le curve dell’offerta e della domanda di manodopera potevano intersecarsi a un livello superiore a quello di sussistenza.”. (Galbraith, Storia dell’economia, Rizzoli ed.1994, pag 67,124,125,126)
E’ evidente da quando su detto che il salario viene regolato anch’esso dalla fondamentale legge della domanda e dell’offerta. L’aumento dell’offerta di lavoro non può che portare ad una diminuzione della remunerazione del lavoro. Di più la concorrenza tra lavoratori portava gli stessi ad accettare salari sempre più bassi al fine di ottenere l’assunzione.
Fu questa (non certo l’unica) la ragione che fece nascere i sindacati (v. Santoro Passarelli Nozioni di diritto del lavoro Jovene, ed. 1983 pag. 25: “I sindacati sono, in senso lato, associazioni di lavoratori o di datori di lavoro costituite per la tutela di interessi professionali collettivi dei medesimi, il primo dei quali, almeno storicamente, è l’interesse a disciplinare la concorrenza fra lavoratori –inter sé ndr- e datori di lavoro-inter sé ndr-).
Lo strumento principale fu il contratto collettivo.
Ecco come la contrattazione collettiva nasce e si perpetua alla scopo di stabilire le condizioni del rapporto di lavoro, in primis la retribuzione, ovviamente con lo scopo di  accrescerla.
Così arriviamo all’oggi e al nostro paese.
La nostra costituzione rappresenta un forte miglioramento nella condizione del lavoratore introducendo l’art.36 secondo il quale il salario [minimo] va commisurato a due indici fondamentali, ossia alla quantità e qualità del lavoro svolto dal lavoratore e alla necessità di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Il quadro si presenta con una forte copertura contrattuale per i lavoratori del nostro paese.
Questo quadro presenta però delle forti criticità: il problema della valutazione di conformità delle tariffe contenute nei contratti collettivi all’art,36 della Costituzione; la presenza di contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali di dubbia rappresentatività; mancanza di copertura contrattuale di fasce di lavoratori.
Recentemente è stata emanata dalla Unione Europea la Direttiva n.2041/2022 del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea.
La questione si prospetta molto complicata in quanto entrano in gioco più indici (così il valore soglia di povertà calcolato dall’ISTAT  che però attiene alla spesa per i consumi gli indici indicati dall’art. 36 Cost. cioè quantità e qualità del lavoro, attitudine ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa gli indici europei).(1)
In questo quadro si è inserita la Corte di Cassazione con la sentenza 2 ottobre 2023 n. 27711 che ha fatto il punto sulla situazione .

2. La sentenza Corte di Cassazione 2 ottobre 2023 n. 27711


Con la sentenza in atti n. 407/2022 la Corte d’appello di Torino in accoglimento dell’appello proposto da S. F. S. C.  riformava la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da M A., ritenuta la non conformità ai parametri dell’articolo 36 della Costituzione del trattamento retributivo applicato, corrispondente a quello previsto per il livello D della sezione Servizi Fiduciari del CCNL per i dipendenti delle imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari del 1/2/2013, aveva accertato il diritto del lavoratore a percepire un trattamento retributivo di base non inferiore a quello previsto per il livello Dl del CCNL dei dipendenti dì proprietari di fabbricati ed ha condannato la datrice di lavoro al pagamento della somma lorda di euro 2.493,13 a titolo di differenze retributive per il periodo da giugno 220 a 20 febbraio 2021.
M.A. aveva pure dedotto di avere lavorato nell’ambito dello stesso appalto con differenti e successive aziende appaltatrici per svolgere le stesse mansioni venendo pagato sempre meno in applicazione di differenti CCNL per lo svolgimento delle stesse mansioni producendo le relative buste paga e le relative tabelle salariali.

3. Il CCNL come presunzione assoluta di conformità all’art. 36 Cost.


La sentenza della Corte di appello cassata si fondava su un orientamento importante della giurisprudenza di legittimità secondo il quale” vanno esclusi dalla valutazione di conformità ex art 36 Costituzione quei rapporti di lavoro che sono regolati dai contratti collettivi propri del settore di operatività e sono siglati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale”, in pratica veniva configurata una “presunzione assoluta” di conformità. In aggiunta la valutazione di adeguatezza della retribuzione, di cui sopra, non andava fatta, sempre secondo la Corte di appello con esclusivo riferimento alla retribuzione base “dovendosi fare riferimento al trattamento economico globale comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario”

4. Il CCNL come presunzione relativa di conformità all’art. 36 Cost.


La Corte di Cassazione con la sentenza in commento è andata in diverso avviso affermando che” secondo la comune interpretazione mai derogata da questa Corte, il riferimento al salario di cui al CCNL integra solo una presunzione relativa di conformità a Costituzione, suscettibile di accertamento contrario


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5. Uscita dal contratto nazionale di categoria


Premesso che, pur in mancanza dell’applicazione ai contratti di diritto comune dell’art. 2070 c.c. che vincolerebbe la regolamentazione collettiva all’area professionale di pertinenza, si è ammesso comunque che il lavoratore possa appellarsi ad un contratto collettivo diverso da quello di provenienza, non già per ottenerne l’applicazione bensì come termine di riferimento per la determinazione della giusta retribuzione deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto collettivo applicato al proprio rapporto (Sez. Un.2665/1997; Cass. nn. 7157/2003, 9964/2003, 26742/2014, 4951/2019 ).
Deve essere ora evidenziato, aggiunge la Corte, che l’oggetto dell’intervento giudiziale può riguardare non solo il diritto del lavoratore di richiamare in sede di determinazione del salario il CCNL della categoria nazionale di appartenenza, ma anche il diritto di uscire dal salario contrattuale della categoria di pertinenza; atteso che, per la cogenza dell’art. 36 Cost., nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione che hanno ovviamente un valore gerarchicamente sovraordinato nell’ordinamento. In materia dì uscita dal contratto nazionale di categoria, si veda da ultimo Cass. n. 17698/2022 (che richiama le convergenti pronunce di questa Corte nn. 4622/2020, 4621/2020, 9862/2019, 9005/2019, 7047/2019, 5189/2019); nonché, in una controversia analoga alla presente, con precipuo riferimento alla fuoriuscita dal CCNL Servizi fiduciari oggetto di questa pronuncia, v. Cass. n. 20216/2021
La Corte precisa che “quello appena richiamato integra un orientamento già consolidato a cui questo Collegio intende dare continuità nella decisione di questa causa, in quanto conforme alle regole ed allo spirito della nostra Costituzione, ed a cui occorre apportare solo alcune limitate precisazioni.”

6. Realtà di fatto a giustificazione di tale orientamento


A tale orientamento occorre apportare solo alcune limitate precisazioni per fugare taluni dubbi e chiarire il consolidato orientamento di legittimità a fronte della realtà di fatto che si è venuta a determinare negli ultimi tempi nel nostro Paese, e dentro la quale si colloca oggi la questione della sindacabilità del contratto collettivo nazionale di categoria sottoscritto da OO.SS. maggiormente rappresentative, che è oggetto della controversia. È noto come diverse questioni vengano dibattute in questo contesto, quali, in sintesi: a. la frammentazione della rappresentanza e la presenza sulla scena negoziale di associazioni collettive (sindacali e datoriali) di discutibile rappresentatività (sottoscrittori di contratti definiti col nome evocativo dí “contratti pirata”); b. la frantumazione dei perimetri negoziali e degli ambiti della contrattazione, dei settori e delle categorie; c. la conseguente proliferazione del numero dei CCNL. – I1 CNEL ne ha censiti 946 per il settore privato, di cui solo un quinto sarebbero stati stipulati da sindacati più rappresentativi a copertura della maggior parte dei dipendenti; d. la moltiplicazione del fenomeno della disparità di retribuzione a parità di lavoro ed la mortificazione dei salari soprattutto ai livelli più bassi; e. il ritardo abituale dei rinnovi dei contratti collettivi la cui durata impedisce un effettivo adeguamento dei salari ai cambiamenti economici (l’ultimo Report del CNEL denuncia come scaduti 563 contratti del settore privato, pari al 60%); f. una dinamica inflazionistica severa negli ultimi due anni, con la conseguente perdita del potere di acquisto dei salari.

7. Concorrenza salariale al ribasso


Si parla notoriamente di “lavoro povero”, ovvero di “povertà nonostante il lavoro”, principalmente dovuto alla concorrenza salariale “al ribasso” innescata dai fattori suindicati, in particolare dalla molteplicità dei contratti all’interno della stessa contrattazione collettiva; la quale, pur necessaria, quale espressione della libertà sindacale e per la tutela dei diritti collettivi dei lavoratori, può entrare in tensione con il principio dell’art. 36 della Costituzione che essa stessa è chiamata a presidiare per garantire il valore della dignità del lavoro.
Nel caso di specie si deduce che in virtù dell’applicazione allo stesso lavoratore ricorrente, da un cambio di appalto all’altro, di CCNL sempre diversi e peggiorativi – sottoscritti anche dalle OO.SS. maggiormente rappresentative – si è prodotto il risultato di una diminuzione della retribuzione pur nell’identità dell’attività di lavoro svolta da esso e dalla stessa datrice di lavoro.
 Naturalmente pur in questo contesto va sempre tenuto presente il monito (Cass. 01/02/2006, n. 2245, Cass. 14.1.2021 n. 546) secondo cui il giudice deve sempre approcciarsi alla contrattazione collettiva “con grande prudenza e rispetto”, attesa la naturale attitudine degli agenti collettivi alla gestione della materia salariale, un principio garantito dalla Costituzione e anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (v. spec. Corte EDU, Demir eBaykara c. Turchia [GC], no. 34503/97, 12 novembre 2008)
Detto questo, però, deve essere ricordato che nella Costituzione c’è un limite oltre il quale non si può scendere. E questo limite vale per qualsiasi contrattazione collettiva, che non può tradursi, in fattore di compressione del giusto livello di salario e di dumping salariale; in particolare, quando la presenza di molteplici contratti collettivi in uno stesso settore, tanto più se sottoscritti da soggetti poco o nulla rappresentativi (si veda ad es. in materia di trattamenti contrattuali collettivi dei c.d. riders la circolare del Ministero del lavoro del 19.11.2020) diventa un fattore di destabilizzazione, mettendo in discussione l’attitudine alla parità di salario a parità di lavoro che il rinvio alla determinazione collettiva sottende. Questo limite diventa pertanto cogente quando – come ha avvertito la Corte cost. nella nota sentenza n. 51/2015, dedicata alla disciplina del salario collettivo dei soci di cooperativa – venendo meno alla sua storica funzione, la stessa contrattazione collettiva sottopone la determinazione del salario al meccanismo della concorrenza invece “di contrastare forme di competizione salariale al ribasso”

8. Applicazione di CCNL richiamati in legge


Considerata ora la presenza dí una disciplina legale del salario minimo nel settore in cui opera la controricorrente che è una cooperativa, deve essere pure avvertito che, nel medesimo settore del lavoro in cooperativa, la normativa (art. 3, 10 comma, e art. 6, comma 2, della legge n. 142/2001, modificata dall’art. 1, comma 9, lett. f), della 1. n. 30/ 2003; art. 7, 4° comma d.l. 248/2007, convertito in dalla 1. n. 31/2008) generalizza, rendendolo cogente, il meccanismo giurisprudenziale di adeguamento del salario ex art. 36 Cost. prevedendo l’obbligo del rispetto di standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale individuati nei trattamenti complessivi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria. Ma proprio in quanto disposta in attuazione dell’art.36 della Cost. (secondo l’importante pronuncia della Corte cost. del 2015) neppure tale determinazione per via legale del salario – attraverso la contrattazione collettiva sottoscritta dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative – può portare a violare í contenuti sostanziali precettivi dell’art. 36 Cost. di cui dovrebbe garantire invece l’attuazione.
In altri termini anche i salari dettati dalla contrattazione collettiva applicabile alle cooperative, secondo la legge n. 142/2001 e la legge n. 31/2008, possono essere disapplicati dal giudice ed il trattamento retributivo annullato e sostituito con uno più congruo, che rispetti il minimo costituzionale (in questi termini da ultimo v. le già citate Cass. nn. 17698/2022, 4622/2020, 621/2020, 9862/2019, 9005/2019, 7047/2019, 5189/2019, n. 20216/2021).
Lo stesso potrebbe accadere per le retribuzioni stabilite in forza di analoghe norme di rinvio alla contrattazione collettiva previste per i lavoratori degli enti del Terzo settore dall’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 117/2017; per il settore del trasporto aereo dall’art. 203, comma 1, d.l. n. 34/2020; per i lavori nei contratti pubblici dal d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, contenente il nuovo Codice dei contratti pubblici, adottato in attuazione dell’art. 1, legge 21 giugno 2022, n. 78 (in particolare all’art. 11 ed all’art.119).
Si tratta tutte di ipotesi in cui la legge garantisce ai lavoratori, come ai soci di cooperative, un trattamento complessivo non inferiore a quelli minimi stabiliti dal Contratto Collettivo Nazionale del settore stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (c.d. contratto leader). Sostenere che nelle medesime ipotesi la parte retributiva del contratto collettivo di diritto comune, sulla cui scorta viene determinata la retribuzione, si sottragga al sindacato del giudice e si imponga sempre e comunque, anche senza il vaglio di conformità all’art. 36 Cost., a prescindere dall’attuazione dell’art. 39 Cost., non già come paramento esterno di comparazione ex art. 36 Cost, ma come disciplina cogente del rapporto di lavoro per la parte retributiva non sindacabile e non assoggettabile a verifica di compatibilità da parte del giudice, esporrebbe tale tesi e le stesse leggi sopra indicate ad una duplice censura di incostituzionalità: sia sotto il profilo della violazione dell’art. 36 Cost., sia sotto il profilo dell’art. 39 (come risulta dalle due già citate sentenze della Corte cost. 51/2015 e 106/1962).

9. Circa la retribuzione da prendere a riferimento per verificare la conformità all’art.36 Cost.


Va ora aggiunto che sotto questo profilo del quantum appare altresì priva di fondamento la tesi, affermata come valida in generale dalla Corte di appello di Torino, secondo cui ai fini dell’art.36 Cost. bisogna prendere a riferimento il trattamento complessivo della retribuzione comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario, in quanto riconosciuto dalla Corte Cost n. 470/2002 e dalla sentenza di questa Corte n. 5934/2004.
In realtà la sentenza della Corte Cost. n. 470/2002 si è occupata del diverso problema del quantum della singola componente retributiva: e cioè della questione se, ai sensi dell’art. 36 Cost., i1 lavoro straordinario debba essere necessariamente compensato con una maggiorazione di paga, per la penosità del lavoro svolto oltre l’orario normale di lavoro. In questo specifico contesto, nel negare tale copertura costituzionale, la Corte Cost. 470/2002 ha riaffermato il principio secondo cui per giudicare della legittimità costituzionale della retribuzione bisogna fare riferimento al trattamento complessivamente percepito e non soffermarsi sull’entità del singolo emolumento; ma la stessa Corte Cost. non ha mai affermato che per giudicare della compatibilità all’art.36 della Cost. del trattamento complessivo percepito dal lavoratore bisogna tener conto anche del lavoro straordinario. Il che andrebbe escluso in termini generali, sia perché si tratta di un emolumento eventuale e non ordinario del lavoro svolto; sia perché sarebbe incongruo affermarlo quante volte il lavoratore, proprio in ragione della esiguità di base del salario percepito, fosse costretto a svolgere molte ore di lavoro straordinario per raggiungere la soglia minima di conformità richiesta dalla costituzione.

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