Con la sentenza n. 999 del 20.01.2014, la Suprema Corte analizza il rapporto tra la domanda di risarcimento del danno promossa in primo grado ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e quella promossa, in grado di appello, ai sensi dell’articolo 2051 c.c. riguardo alla fattispecie della insidia stradale.
Nell’analizzare i presupposti eziologici delle suddette norme, il Supremo Collegio distingue i relativi oneri probatori a carico delle parti, precisando come le due figure di responsabilità abbiano diversi presupposti sia di indagine che di responsabilità, con importanti riflessi sugli oneri probatori posti a carico delle parti.
Viene specificatamente analizzato, inoltre, il profilo di novità della domanda proposta in appello ai sensi dell’articolo 2051 c.c. rispetto a quella originariamente proposta nel primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c. .
Sul punto la Cassazione precisa come sia ormai costante orientamento della stessa come la domanda “fondata sull’articolo 2051 c.c. può non essere considerata nuova rispetto a quella fondata sull’articolo 2043 c.c. […] solo se l’attore abbia sin dall’atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli”.
La decisione, infine, analizza anche il concetto di caso fortuito e la sua idoneità a mandare esente da responsabilità ex articolo 2051 c.c. il custode della cosa, facendovi rientrare in esso anche la condotta della vittima ove capace di interrompere il nesso eziologico tra causa del danno e danno stesso.
Nel merito la Corte evidenzia come, allorquando si transita in una strada dissestata al punto tale da far procedere il pedone in sola fila indiana, sullo stesso grava un onere di massima attenzione e prudenza in quanto il pericolo risulta essere altamente prevedibile. Proprio in tale onere è possibile ravvisare la esclusiva responsabilità del pedone nel danno occorsogli, non ritenendo il danno cagionato necessariamente dalla cosa in custodia.
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IL CASO
Parte attrice, conveniva in Giudizio il Comune di Sorrento, chiedendo l’integrale ristoro dei danni subiti a seguito di una caduta su di un tombino malfermo posto su di una strada dissestata.
Il Tribunale di Torre Annunziata, Sez. Dist. di Sorrento, rigettava la domanda di risarcimento.
Avverso tale pronuncia parte attrice interponeva appello dinanzi la Corte d’Appello di Napoli che rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado.
Nel merito la Corte Territoriale, evidenziava preliminarmente come l’attrice nel giudizio di primo grado chiedeva la condanna del Comune convenuto ai sensi dell’articolo 2043 c.c. proponendo, poi, per la prima volta in appello domanda fondata sull’articolo 2051 c.c., qualificata come nuova e quindi improponibile in quanto i due tipi di responsabilità imponevano un diverso accertamento dei fatti e delle responsabilità.
Infine il Giudice dell’Appello dichiarava come non solo l’attrice non aveva provato la sussistenza dei fatti costitutivi la natura di insidia o trabocchetto dalla quale si era generato il danno, ma evidenziava altresì come la strada su cui il pedone transitava imponeva, per il suo stato, un’andatura particolarmente prudente ed, in ogni caso, l’utente avrebbe potuto facilmente prevedere il pericolo dato lo stato dei luoghi, non sussistendo pertanto una situazione di pericolo creata colposamente dalla P.A. .
Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli veniva proposto ricorso per Cassazione.
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2. LA DECISIONE
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PROFILI DI NOVITA’ DELLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI PROPOSTA IN APPELLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 2051 C.C. RISPETTO A QUELLA SVOLTA IN PRIMO GRADO AI SENSI DELL’ART. 2043 C.C. .
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La sentenza in commento analizza il profilo della novità della domanda di responsabilità per danni proposta in appello ai sensi dell’articolo 2051 c.c. rispetto alla precedente domanda svolta nel giudizio di primo grado qualificata ai sensi dell’articolo 2043 c.c., in merito ad una insidia stradale fonte di danno per il pedone.
La decisione muove dalla preliminare analisi della diversa qualificazione delle domande, precisando come le due azioni comportino sul piano eziologico e probatorio diversi profili di indagine.
Infatti, per ciò che attiene alla responsabilità per cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., si avrà riguardo di accertare se si è verificato o meno un comportamento omissivo da parte del custode dal quale sia derivato un danno a terzi. Nel merito, detto accertamento prescinde integralmente dalla valutazione della condotta tenuta dal custode stesso, il quale andrà esente da responsabilità soltanto laddove ricorra il presupposto del caso fortuito. Il fondamento, quindi, della responsabilità ex art. 2051 c.c. è costituita “dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa in custodia che non dipendano dal caso fortuito”.
Le due azioni, quindi, presuppongono temi di indagine ed oneri probatori diversi, nonché diversi contegni processuali per il danneggiato. Quest’ultimo, difatti, nella domanda di risarcimento danni qualificata ai sensi dell’art. 2043 c.c. sarà chiamato a provare l’esistenza del dolo o della colpa del soggetto danneggiante, attivandosi per soddisfare tale onere probatorio.
Quest’ultimo appare sicuramente più gravoso, rispetto a quello richiesto dall’art. 2051 c.c., in quanto il danneggiato è chiamato a dimostrare non solo l’esistenza degli elementi costitutivi della fattispecie ma anche l’ingiustizia del danno ed il nesso di causalità fra colpa e danno prodotto. (Cass. n.390/2008 in La Resp. Civ., 2008, 278)
Invece nell’azione svolta ai sensi dell’art. 2051 c.c. l’onere di provare il caso fortuito graverà sul soggetto che è custode del bene che ha causato il danno, in quanto la responsabilità di quest’ultimo è prevista per legge proprio per il fatto stesso che esista la custodia del bene.
Tale aspetto, caratterizzante la responsabilità ex art. 2051 c.c., è rafforzato dal completo disinteresse verso il contegno tenuto dal custode nella causalità del danno, considerato elemento estraneo alla fattispecie. Tale responsabilità, infatti, prescinde completamente da tale indagine, ponendo a proprio fondamento il mero rapporto tra cosa ed evento (Cass. n.4476/2011, Cass. n.12329/2004) e non esigendo una attività colposa del danneggiante. Infatti il custode negligente, al verificarsi del danno a terzi, non risponde del danno in modo difforme da quello che abbia impiegato perizia o prudenza, poiché solo il caso fortuito può escludere la sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. (Cass. n.4476/2011, n.4279/2008)
Precisata, quindi, la netta distinzione tra i due tipi di azione in termini sia di indagine eziologica che di onere probatorio a carico delle parti, il Supremo Collegio passa ad analizzare la possibilità di proposizione di tali domande in termini di mutatio libelli nel giudizio di appello.
La prefata analisi muove dall’assunto secondo cui la proposizione in appello di una domanda ai sensi dell’art. 2051 c.c. è da considerarsi nuova rispetto a quella qualificata nel primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c., in quanto idonea a mutare l’atteggiamento del soggetto danneggiante, il quale sarebbe chiamato ad un onere probatorio totalmente diverso rispetto al primo grado di giudizio ed in un momento processuale in cui sono già maturate le preclusioni processuali.
Ciò premesso, la Suprema Corte dà conto di un orientamento esplicitatosi nella propria recente giurisprudenza secondo il quale non è da considerarsi nuova la domanda di risarcimento proposta nel giudizio di appello fondata sulla omessa custodia della cosa rispetto a quella proposta in primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c., se nell’atto introduttivo del giudizio la parte attrice abbia esposto situazioni di fatto idonee ad integrare la fattispecie prevista dalle suddette norme. (Cass. n.18609/ 2013, Cass. n.4591/2008)
Sul punto è importante ricordare come la giurisprudenza di legittimità abbia affermato che si ha “domanda nuova- inammissibile in appello- per modificazione della “causa petendi” quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa , per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede contraddittorio.” (Cass. n.8520/2009, Cass. n.27890/2008)
La decisione analizzata, quindi, pur premettendo l’elemento di novità della domanda di risarcimento danni proposta ai sensi dell’art. 2051 c.c. per la prima volta in appello, rispetto a quella proposta in primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c., precisa come tale aspetto possa essere superato laddove la domanda attorea abbia compiutamente delineato fatti idonei ad integrare gli elementi propri delle due fattispecie giuridiche in esame. E’ importante sottolineare come, a tale scopo, sia da considerarsi del tutto insufficiente un generico richiamo alle norme di legge citate, in quanto tale richiamo deve essere inserito all’interno di una disamina argomentativa idonea a dimostrare la sussistenza degli elementi giuridici che le caratterizzano. (Cass. n.15666/2013)
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CONCORSO COLPOSO DEL DANNEGGIATO ED ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’ EX ART. 2051 C.C.
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Chiarito l’importante aspetto che precede, la sentenza in commento prende in esame l’ulteriore importante elemento del concorso causale colposo del danneggiato nel verificarsi dell’evento dannoso.
Abbiamo precedentemente osservato come il custode possa andare esente da responsabilità per danni causati dalla cosa in custodia nella sola ipotesi di caso fortuito.
Orbene, nel caso esaminato dal Supremo Collegio è emerso come il pedone, al momento della caduta su di un tombino malfermo, transitasse su di una strada dissestata a tal punto da imporre il transito agli utenti in “fila indiana”. Proprio la morfologia della sede stradale, a parere della Corte, imponeva di fatto una maggiore cura ed attenzione stante “la prevedibile situazione di pericolo […]”.
Proprio questo elemento imponeva quindi al pedone l’impiego di un onere massimo di attenzione in quanto la situazione di pericolo, nel presente caso, era “altamente prevedibile”.
Tale elemento è stato posto dal Collegio giudicante a fondamento della esclusione di responsabilità del custode, in quanto il comportamento del danneggiato può porre in essere un concorso causale colposo idoneo ad escludere del tutto la stessa se idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra causa del danno e danno
I giudici di legittimità, infatti, ricordano come secondo la giurisprudenza della stessa Corte, sia possibile far rientrare nel concetto di caso fortuito, che può essere definito come la “qualificazione incidente sul nesso di causalità e non sull’elemento psicologico dell’illecito” (Cass. n.16029/2010, n.4476/2011), anche la condotta del danneggiato se idonea ad “interrompere il nesso eziologico esistente tra la causa del danno ed il danno stesso” (Cass. n.999/2014)
Infatti secondo tale orientamento giurisprudenziale, il caso fortuito “può essere rappresentato […] anche dal fatto del danneggiato, avente efficacia causale idonea ad interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi ad essi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio”. (Cass. n.4476/2011, conforme Cass. n.9546/2010, n.8829/2010, n.4279/2008)
Quindi il verificarsi di un comportamento colposo del danneggiato, se idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra causa del danno e danno permetterà la esclusione della responsabilità del custode; mentre se tale non risulterà integrerà comunque un concorso di colpa ex art 1227 c.c. idoneo a graduare la responsabilità del danneggiante in base alla incidenza causale che lo stesso avrà sul danno. (Cass. n.9546/2010, n.15779/2006)
Nel presente caso, proprio il particolare cattivo stato della strada avrebbe imposto al danneggiato un onere di attenzione e prudenza massimo, stante una situazione di pericolo qualificabile come altamente probabile. Tale elemento è stato ritenuto idoneo dalla Suprema Corte a far ricondurre la genesi del danno causato da una caduta su di un tombino malfermo posizionato all’interno di una strada dissestata alla sola ed esclusiva responsabilità del pedone, non ritenendo di dover ascrivere in tal caso la caduta dello stesso alla cosa in custodia.
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