Il riconoscimento dell’anzianità di servizio nel pubblico impiego

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La Suprema Corte si esprime in merito ad un tema di estrema importanza e attualità vista la materia di cui si tratta, ribadendo un concetto fondamentale: l’anzianità di servizio può essere disconosciuta al lavoratore nel caso in cui non dimostri, in via istruttoria attraverso le allegazioni nel ricorso, che le mansioni svolte durante il periodo di lavoro a tempo determinato siano identiche a quelle esercitate nel successivo periodo di assunzione a tempo indeterminato.
L’attualità della materia la si evince anche dal fatto che i tribunali italiani, nella loro composizione del diritto del lavoro, sono pressoché invasi da tali ricorsi
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Corte di Cassazione – Sez. Lav. – Ord. n. 35668 del 19/11/2021

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Indice

1. La vicenda

Nel caso qui in commento, il ricorrente adiva il datore di lavoro, un Ente Pubblico di ricerca, per vedersi riconosciuto, ai fini giuridici ed economici, il periodo di lavoro svolto con contratto a tempo determinato, poiché in seguito alla procedura di stabilizzazione è stato arruolato a tempo indeterminato in forza di un contratto di lavoro stipulato ai sensi dell’art. 20, comma 1 del D. Lgs. n. 75/2017, rubricato “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”.
Questi due diversi contratti di assunzione, quello a tempo determinato e quello a tempo indeterminato appunto, non costituiscono un rapporto unitario, bensì distinti rapporti contrattuali dove la procedura di stabilizzazione, in forza della quale il ricorrente è stato immesso nel ruolo, non ha comportato la conversione del precedente rapporto di lavoro a termine in un rapporto a tempo indeterminato, bensì l’instaurazione di un rapporto di lavoro completamente nuovo e diverso.
Il lavoratore chiede sostanzialmente che se durante il periodo di lavoro precario abbia ottenuto delle progressioni di carriera, anche economiche, queste gli siano riconosciute nel momento in cui è stato stabilizzato.
La costituzione di tale rapporto a tempo indeterminato è avvenuta in virtù della valorizzazione dell’attività pregressa svolta, attività che è stata considerata come requisito essenziale ai fini dell’assunzione in ruolo, ma non trattasi certamente di una prosecuzione di quel rapporto.
Valutare positivamente, da parte dell’Ente, la pregressa attività a tempo determinato, rappresenta una concreta ed evidente “ragione oggettiva” per far si che possa essere esclusa la valorizzazione dell’anzianità pregressa senza incorrere in alcuna violazione del principio di non discriminazione. Il principio di non discriminazione trova una spiegazione approfondita nel volume “Il rapporto di lavoro pubblico”, a cui rimandiamo per approfondimenti.

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Il rapporto di lavoro pubblico

Il volume tratta il percorso normativo che ha interessato la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni esaminando le principali innovazioni introdotte dal legislatore nazionale ed europeo in materia di diritto del lavoro. In particolare, l’opera aiuta a ricostruire l’ordine logico del lungo e travagliato processo riformatore che va dalla legge n. 421 del 1992 alla riforma Brunetta del 2009 e alla legge Madia del 2015, per arrivare alla disciplina pattizia della contrattazione collettiva del 2022, stagione di importanti negoziati, nell’ambito delle riforme cosiddette abilitanti, ai fini dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’opera, con l’attenzione sempre rivolta alle implicazioni operative, descrive i principali atti di regolazione del rapporto di lavoro pubblico, in particolare negli enti locali, che vanno dalla sua costituzione, all’inquadramento e a ogni altro aspetto gestionale fino ai doveri e alle responsabilità del dipendente pubblico ed infine alla fase conclusiva del rapporto con la sua estinzione. Il lettore può inoltre accedere a un vasto formulario pronto all’uso di atti di macro e micro-organizzazione e di istituti contrattuali, riformulati con il nuovo CCNL e costantemente aggiornati fino al 31 dicembre 2023. In particolare, la sezione online dell’opera contiene schemi di regolamenti, di determine, di convenzioni, di bandi, di contratti, di codici di comportamento e di piani, tra cui il PIAO. Sono inoltre disponibili alcuni modelli Excel di calcolo personalizzabili e stampabili. Angelo CapalboSegretario generale, Cavaliere, avvocato, valutatore e pubblicista.

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2. Il principio di non discriminazione

L’obiettivo del principio di non discriminazione come concepito nella legislazione comunitaria è quello di offrire a tutte le persone le stesse opportunità all’interno della società, imponendo, in ambito giuridico, <<che situazioni comparabili non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti non siano trattate in modo identico, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato>>.
La naturale considerazione che ne deriva si riversa sulle diversità genetiche dei contratti, che qualora non venissero considerati diversi, finirebbero per comportare una discriminazione alla rovescia, in danno ai lavoratori a tempo indeterminato assunti con regolare concorso. Ecco quindi che il principio di non discriminazione sarebbe violato nel momento in cui la medesima anzianità, maturata durante il periodo di lavoro precario, venisse valutata due volte sia come requisito di accesso alla stabilizzazione, sia ai fini della progressione professionale nella stessa categoria di assunzione.
In buona sostanza, il principio di non discriminazione si pone come una sorta di “garanzia” a tutela dei soggetti strutturati, già assunti a tempo indeterminato e che la Corte di Giustizia ha riconosciuto anche nella sentenza qui in comento, non consentendo però che la stessa ragione oggettiva giustifichi una normativa nazionale che esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione del periodo svolto con contratto a termine al fine di valutarlo in sede di assunzione con contratto a tempo indeterminato.
Nel momento in cui gli ermellini affermano che la Corte di Giustizia riconosce il principio di non discriminazione come ragione oggettiva e quindi consente la possibilità all’Ente di non valutare due volte la pregressa attività, stabiliscono anche che non è giustificabile escludere sempre e comunque tale circostanza, lasciando così, di fatto, ampio margine discrezionale e decisionale ai giudici dei tribunali e delle corti d’appello i quali, nel corso degli anni, hanno prodotto un giudicato ampio e variegato.

3. La ragione oggettiva

Il ricorrente, nel corso del giudizio, ha affermato di avere diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro a termine, in conformità alla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE la quale prevede che per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. I criteri, quindi, del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
Perché sussistano ragioni oggettive è necessario che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dall’esistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta disparità risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine. I suddetti elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle mansioni stesse o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (così la Corte di Giustizia Europea nei procedimenti riuniti da C-302/11 a C-35/11).
In buona sostanza, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore a tempo determinato possono essere legittimamente negate purché lo stesso eserciti mansioni differenti in riferimento alla natura e caratteristiche delle stesse una volta stabilizzato, ovvero ricorrano altre ragioni oggettive che giustificano il differente trattamento. In merito alle mansioni contrattuali e alle maggiorazioni retributive, rimandiamo al volume “Il rapporto di lavoro pubblico”, che presenta un ottimo approfondimento in merito

4. La comparabilità delle mansioni

Qui è la stessa Corte Europea che detta i principi. Nella propria pronuncia, Sesta Sezione, del 18.10.2012, se da un lato ha ribadito il principio per il quale alla luce della Direttiva 1999/70/CE non è possibile escludere tout court ogni rilevanza all’attività lavorativa prestata prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, a seguito di stabilizzazione, per il solo fatto che tale attività fosse stata prestata nell’ambito di un rapporto di lavoro a termine, dall’altro esplicitamente ha affermato che, affinché detta attività lavorativa sia trattata in maniera del tutto equivalente a quella prestata nel corso di un rapporto a tempo indeterminato è necessario che essa sia “identica o simile ai sensi dell’accordo quadro”, e che, comunque, (pur in presenza di detta identità o similitudine), non sussistano ragioni oggettive che giustifichino un differente trattamento, come meglio illustrato sopra.
Concentrarsi su singoli progetti nel momento in cui si è assunti con contratto a termine significa dedicarsi a specifiche ricerche che sono cosa ben diversa da un’attività più a largo spettro qual è quella del ricercatore a tempo indeterminato. La specificità tecnica delle mansioni di un ricercatore assunto a tempo indeterminato è superiore e quindi diversa, avendo quest’ultimo una professionalità che, da un punto di vista qualitativo, è sovrastante a quella dell’assunto a tempo determinato.

5. Riconoscimento dell’anzianità: l’onere della prova e la decisione

Un principio giuridico sacrosanto e mai messo in discussione in giurisprudenza è rinvenuto nell’art. 2697 del codice civile, il quale illustra a chiare lettere che chi vanta un diritto deve provarne il fondamento. E qui, nel caso di specie, recepiamo tutta la forza di questa norma. Chi avvia un procedimento ha il dovere di provare i fatti costitutivi delle proprie ragioni e, il ricorrente, avrebbe dovuto, quale condizione necessaria, dimostrare attraverso la produzione di adeguata documentazione i fatti che costituiscono il bene della vita richiesto, assumendosi il rischio di non riuscirci.
Appare chiaro quindi che all’interno del giudizio, parte ricorrente, ha l’onere di provare che le mansioni svolte durante il periodo di lavoro precario, avrebbero dovuto essere uguali o comunque sostanzialmente simili di quelle svolte durante il periodo a tempo indeterminato. Peraltro, come è facilmente comprensibile, trattasi di circostanze da provarsi documentalmente. Non potrebbe essere diversamente: al fine di dimostrare l’identità delle mansioni, il dipendente avrebbe dovuto produrre atti formali o meglio ancora le pubblicazioni acclarate su riviste scientifiche che meglio avrebbero identificato gli studi fatti e l’attività svolta, con l’obbligo di concretizzare come la loro “funzione” fosse declinata dall’Ente nei rapporti di lavoro dei propri dipendenti a tempo indeterminato.
Ed è proprio qui che si insinua la capacità decisoria del giudice il quale non potendo sopperire alla mancanza di tale prova, ne può solo prendere atto non potendo estendere oltre misura gli elementi dedotti dal ricorrente o addirittura supplire a tale lacuna, più o meno indirettamente, e nel momento in cui accerta che la domanda difetta di un solido aggancio al fatto che dovrebbe legittimarla non ha scelta e deve rigettare il ricorso.

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Avv. Massimo Sabatini Terreni

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