Lavoro tempo determinato: disciplina e recenti modifiche 

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Il contratto di lavoro a tempo determinato, nel diritto del lavoro è un tipo di contratto di lavoro subordinato.
Dal punto di vista giuridico il termine è un elemento accessorio del contratto di lavoro subordinato.
Lo distingue dal contratto di lavoro a tempo indeterminato l’apposizione di un termine, il contratto in questo modo è sottoposto a una scadenza e quando si verifica il rapporto di lavoro cessa.
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Indice

1. Evoluzione del contratto a tempo determinato


La legge n. 230/1962
L’articolo 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, prevedeva la presunzione della durata di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, contemplando la possibilità di stipulare (e prorogare) un contratto di lavoro a termine esclusivamente in determinate e tassative ipotesi come ad esempio: lo svolgimento di attività stagionali, la sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto, l’esecuzione di lavori predeterminanti aventi durata predefinita nel tempo.
Il contratto doveva essere stipulato in forma scritta, tranne nel caso il rapporto non avesse durata superiore a dodici giorni lavorativi, e doveva contenere la durata del termine oltreché le ragioni della sua associazione.
Poteva essere prorogato esclusivamente una volta.
La violazione di queste previsioni comportava la trasformazione a tempo indeterminato del contratto.
 
Il “pacchetto Treu” del 1997
Nel 1997 vennero emanate una serie di norme, dette “pacchetto Treu”, dal cognome del ministro del lavoro del tempo Tiziano Treu,  che per la prima volta nella legislazione del diritto del lavoro in Italia introdussero forme di lavoro a tempo determinato, in particolare l’istituto del “lavoro interinale” e del “contratto di collaborazione coordinata e continuativa”.
 
Il Decreto Legislativo n. 368/2001
Il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, emanato in attuazione della direttiva dell’Unione Europea 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE (Unione delle Confederazioni Europee dell’Industria e dei Datori di lavoro) e CEEP (Centro Europeo delle Imprese Pubbliche) sul lavoro a tempo determinato, ha liberalizzato la disciplina dei contratti a termine abrogando la legge del 1962, aggiungendo ai requisiti per la valida instaurazione di un rapporto di forma e di sostanza, richiesti dalla previgente disciplina, altre prescrizioni di tipo quantitativo e negativo, vale a dire:
Forma: scritta ad substantiam, l’apposizione del termine, così come le relative ragioni giustificatrici, deve risultare da atto scritto.
Sostanza: ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Limiti: quantitativi la quale individuazione è rimessa ai CCNL di categoria.
Divieti: la norma impedisce di fare ricorso a contratti di lavoro a termine nei seguenti casi (tassativi):
·       sostituzione di scioperanti
·       trattamento di integrazione salariale in corso, per personale con le stesse mansioni
·       imprese inadempienti all’obbligo di valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626
·       unità produttive interessate, nel semestre precedente, da licenziamenti collettivi di lavoratori impegnati nelle stesse mansioni (salvo diversa disposizione degli accordi sindacali).
In caso di violazione dei requisiti di forma, di sostanza o dei divieti imposti, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato sin dall’origine.
Il rapporto di lavoro si deve svolgere nel rispetto del principio della parità di trattamento tra i lavoratori assunti a tempo determinato e quelli assunti a tempo indeterminato.
 
La legge Biagi del 2003
Il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276,  emanato sulla base della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, introdusse nuove tipologie di contratti di lavoro a termine, come quella del contratto a progetto nonché l’istituto della somministrazione di lavoro stabilendo che la stessa potesse essere sia a tempo determinato sia indeterminato.
 
La riforma del lavoro Fornero del 2012
La legge 28 giugno 2012, n. 92, modificando l’articolo 1 del decreto legislativo del 2001, stabilì che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, ma che questa prescrizione non sia richiesta nel caso ci sia instaurato un primo rapporto di lavoro subordinato di durata non superiore a dodici mesi quali che siano le mansioni alle quali venga adibito il lavoratore dipendente, sia nel caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Secondo questa riforma, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, direttamente a livello interconfederale o di categoria oppure in via delegata a livello decentrato, che la presunzione della durata a tempo indeterminato non operi nei casi nei quali l’assunzione a tempo determinato o la missione nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell’ambito di un processo organizzativo previsto dalla legge e nel limite complessivo del6% dei lavoratori impegnati in una unità produttiva.
 
Il decreto Poletti ed il Jobs Act
Il decreto Poletti ha liberalizzato le assunzioni a tempo determinato, a parte stabilire la durata massima del contratto in 36 mesi.
La legge pone, quale concreto e unico limite delle assunzioni a termine, l’obbligo di contingentamento delle stesse.
In particolare, nelle imprese sino a 5 dipendenti è sempre possibile assumere lavoratori a termine (non si impone nessun rapporto percentuale rispetto ai lavoratori non a termine), diversamente, nelle imprese con organico superiore a 5 dipendenti, il numero complessivo di contratti a termine stipulati dal datore non può superare il 20% del numero dei dipendenti.
In caso di violazione del limite percentuale in questione, il datore di lavoro è soggetto a pesanti sanzioni amministrative di natura pecuniaria: per ogni lavoratore assunto in eccedenza la sanzione è pari al 50% della retribuzione del lavoratore per ogni mese di lavoro (20% se si tratta di un solo lavoratore in più).
Per la legittimità delle assunzioni a termine è posto l’obbligo della forma scritta del contratto, che deve riportare il termine di scadenza del rapporto.
In mancanza di forma scritta, l’apposizione del termine è priva di effetto e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato.
Con la riforma introdotta dal Jobs Act, a partire da marzo 2015, il contratto a tempo indeterminato ha cessato di esistere per i nuovi assunti nel settore privato, e viene sostituito dal cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che prevede l’applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori dopo i primi tre anni di lavoro, ma in forma del tutto diversa dal contratto a tempo indeterminato precedente: la reintegrazione nel posto di lavoro è limitata ai casi di licenziamento discriminatorio e alcune fattispecie di licenziamento per giusta causa, e tendenzialmente sostituita dalla conciliazione e da una indennità economica.
Il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ha ribadito che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma contrattuale comune di un rapporto di lavoro, ma in conseguenza dell’emanazione delle altre norme per gli assunti a tempo determinato (e con qualsiasi altra forma contrattuale) a decorrere dal 7 marzo 2015 oppure dopo tre anni è prevista la conversione al nuovo contratto.
 
Il “decreto dignità” del 2018
Il Decreto Legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito in Legge 9 agosto 2018, n. 96, modificando il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ha ridotto la durata massima del contratto a tempo determinato da 24 a 12 mesi nonché le proroghe massime che vengono ridotte da 5 a 4.
Nello stesso tempo sono stati aumentati il limiti dell’indennità da corrispondere in caso di licenziamento illegittimo elevandolo da quattro a sei mensilità retributive, e modificando anche l’importo dell’offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro.


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2. La disciplina contenuta nel Decreto Legge 4/03/2023 n.48


Il Decreto Legge 4 maggio 2023 n 48 , intitolato a “Disciplina del contratto di lavoro a termine”, ha modificato la regolamentazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, sostituendo le lettere a) e b) dell’articolo 19 del decreto legislativo sui contratti di lavoro (d.lgs. n. 81/2015).
Come riporta il sito www.lavorosi.it, al contratto di lavoro può essere apposto un termine finale a condizione che lo stesso non abbia una durata superiore a dodici mesi.
Sino al 4 maggio 2023, il contratto a termine poteva avere una durata superiore a 12 mesi e non eccedente i 24 mesi, a condizione che ricorresse una delle seguenti condizioni:
 a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
A partire dall’entrata in vigore del Decreto Legge n.48/2023, ferma restando la possibilità di stipulare liberamente contratti a termine di durata non superiore a 12 mesi, è possibile stipulare contratti a termine di durata superiore a 12 mesi e non eccedente 24 mesi:
a) Nei casi previsti dai contratti collettivi dei quali all’articolo 51 del Decreto Legislativo n. 81/2015 e,  da “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e … contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
b) Se i predetti contratti collettivi non abbiano previsioni che diano seguito al rinvio compiuto dal Decreto Legge, l’individuazione delle situazioni in grado di legittimare l’apposizione di termini superiori a 12 mesi e non eccedenti i 24 mesi viene rimessa a:
“contratti collettivi applicati in azienda”.
Sembra derivarne che anche contratti collettivi non sottoscritti dagli agenti negoziali considerati dall’articolo 51 del Decreto Legisa. n. 81/2015 potranno tipizzare situazioni idonee a legittimare l’apposizione di termini più ampi (da 12 a 24 mesi);
“accordi tra le parti del contratto individuale di lavoro”, con due limiti.
  Il primo è di tempo: la facoltà delle parti individuali di procedere alla individuazione di casi in cui è possibile sottoscrivere contratti a termine di durata superiore a 12 mesi fino a 24 potrà essere esercita entro il 30 aprile 2024.
Il secondo limite è di merito: potrà essere prefigurato il superamento dei 12 mesi ma “per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva individuate dalle parti”. Viene così riecheggiata la formula a suo tempo adottata dal d.lgs n. 368/2001 (“E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo …”).
La formula fu occasione di un notevole contenzioso, che adesso il recente Decreto Legge n. 48/2023 sembra volere prevenire affermando che le “esigenze”, che in qualche modo motivano i contratti a termine, sono “individuate dalle parti”, così puntando ad esorcizzare interferenze esterne.
Il rinvio ai contratti individuali non traspare con assoluta chiarezza dal testo legislativo, ma è stata già avvalorata da primi commenti.
Le disposizioni introdotte dal Decreto Legge n. 48/2023 si collocano, come prospettato, nell’articolo 19 del decreto sui contratti, che si rivolge al contratto individuale di lavoro, elemento che sembra essere presupposto delle prime interpretazioni del recente provvedimento.
A stregua dello stesso, termini del contratto di lavoro subordinato che superano i 12 mesi sino a 24 mesi possono trovare applicazione anche in relazione a contratti relativi alla “sostituzione di altri lavoratori”..
Il Decreto Legge n. 48/2023 sostituisce anche la lettera b-bis del menzionato articolo 19 del Decreto Legislativo sui contratti e abroga il comma 1.1. dello stesso articolo, che costituiscono un precedente della scelta di rinviare ai contratti collettivi compiti di regolazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato.
Un precedente scaduto prima dell’avvento del Decreto Legge n. 48/2023, avendo svolto la sua attività sino al 30 settembre 2022.
Della previgente normativa il Decreto mantiene :

  • la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato senza il bisogno di giustificarne le ragioni quando la durata non eccede i 12 mesi
  • la disciplina delle proroghe e dei rinnovi e quella della durata massima non eccedente i 24 mesi
  • la possibilità di accertare la sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive che richiedono la necessità di prevedere un contratto della durata superiore a 24 mesi, ed entro il limite dei 36, presso le sedi territoriali dell’ Ispettorato Nazionale del Lavoro ( cd. Contratto in deroga assistita )
  • i limiti numerici dei lavoratori a termine in proporzione all’organico a tempo indeterminato in forza all’1 gennaio dell’anno di assunzione
  • le esenzioni ai limiti numerici in caso di avvio di altre attività per i periodi definiti dai contratti collettivi, attività stagionali, sostituzione di lavoratori assenti, lavoratori over 50
  •  le addizionali che il datore di lavoro è tenuto a pagare in caso di rinnovi del contratto a termine.

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A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

Dott.ssa Concas Alessandra

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