La sentenza n. 29852/2025 della Corte di Cassazione affronta in modo approfondito il tema della riabilitazione penale, chiarendo come debba essere valutata la buona condotta del condannato. La Suprema Corte ribadisce che l’assenza di nuovi reati non basta: occorre dimostrare un concreto e costante recupero a un modello di vita rispettoso delle regole sociali, anche non penalmente sanzionate. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, il Codice di Procedura Penale e norme complementari, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon
Indice
- 1. La questione: inosservanza o erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178 e 179 cod. pen., 125, comma 3, cod. proc. pen. (riabilitazione)
- 2. La soluzione adottata dalla Cassazione
- 3. Conclusioni: la Suprema Corte “spiega” come va valutata la buona condotta
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1. La questione: inosservanza o erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178 e 179 cod. pen., 125, comma 3, cod. proc. pen. (riabilitazione)
Il Tribunale di Sorveglianza di Catania provvedeva su una opposizione a un’ordinanza, con la quale era stata respinta una richiesta di riabilitazione in ragione della condotta irregolare tenuta successivamente al fatto dal condannato, denunciato per furto aggravato e appropriazione indebita. Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il difensore, il quale deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178 e 179 cod. pen., 125, comma 3, cod. proc. pen.. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, il Codice di Procedura Penale e norme complementari, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto infondato alla luce dei seguenti principi di diritto: 1) la prova costante ed effettiva di buona condotta implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita (Sez. 1, n. 8030 del 23/1/2019; Sez. 6, n. 5164 del 16/1/2014), in guisa tale che non basta la sola assenza di elementi negativi successivi alla condanna e, anzi, qualsiasi nota negativa in ordine al comportamento del condannato può essere apprezzata come prova di valenza contraria a quella richiesta dal legislatore (Sez. 1, n. 11572 del 5/2/2013); 2) in tema di riabilitazione, il giudice, ai fini della valutazione della sussistenza del presupposto del mantenimento della buona condotta, può considerare anche l’esistenza di una o più denunce o la sola pendenza di procedimenti penali o amministrativi per fatti successivi a quelli cui inerisce la domanda, a condizione che ne sia apprezzato il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da provare il mancato recupero del condannato (Sez. 1, n. 13753 del 21/1/2020); 3) le denunce per fatti successivi alla sentenza cui si riferisce l’istanza di riabilitazione non sono automaticamente ostative alla concessione della stessa, ma possono essere valutate per trarre da esse, in considerazione della natura e gravità dei nuovi reati, elementi di persuasione in ordine al giudizio globale, positivo o negativo, di mantenimento della buona condotta e di conseguimento dell’emenda (Sez. 1, n. 46270 del 24/10/2007).
Per la Corte di legittimità, infatti, in applicazione di questi criteri ermeneutici, il Tribunale di sorveglianza, ritenendo che i comportamenti tenuti dal ricorrente dopo la condanna fornissero dimostrazione di una condotta irregolare, non espressiva di un coretto modello di vita, aveva in tal modo adottato una motivazione non censurabile, se si considera che le condanna, per cui era stata chiesta la riabilitazione, riguardava il reato di peculato e che le nuove denunce si riferivano, tra l’altro, ad addebiti di appropriazione indebita per diverse decine di migliaia di euro.
Oltre a ciò, gli Ermellini facevano altresì presente che, in ogni caso, restava il fatto che la concessione della riabilitazione è subordinata alla dimostrazione positiva del ravvedimento del richiedente, desumibile dai comportamenti regolari tenuti nel periodo minimo previsto dalla legge e sino alla data della decisione sull’istanza.
Orbene, per la Corte, ai fini dell’accertamento della buona condotta, la personalità dell’istante va verificata alla luce di tutto quanto accaduto non solo nel periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dalla estinzione della pena inflitta, ma anche in quello successivo (Sez. 1, n. 13665 del 22.3.2022) posto che l’aver dato prova effettiva e costante di buona condotta è una condizione di natura comportamentale, sicché il comportamento sintomatico che il giudice deve prendere in considerazione a tali fini non ha limiti di tempo, salvo quello iniziale dato dalla esecuzione o estinzione della pena per cui si chiede la riabilitazione (Sez. 3, n. 57 del 12/1/2000).
In questa prospettiva, quindi, sempre ad avviso dei giudizi di piazza Cavour, deve tenersi conto che la buona condotta richiesta dall’art. 179 cod. pen., ai fini della normale riabilitazione da condanna penale, “postula l’instaurazione ed il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto (senza la previsione di alcun genere di sanzione giuridica) da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale” (Sez. 1, n. 196 del 3/12/2002), trattandosi di una condizione non meramente negativa pretesa dall’ordinamento per l’ammissione alla riabilitazione, vale il principio secondo cui nel procedimento di sorveglianza sussiste un onere di allegazione a carico del soggetto che invochi un provvedimento favorevole, consistente nella prospettazione ed indicazione dei fatti sui quali la richiesta si fonda, incombendo poi sul giudice il compito di procedere, anche d’ufficio, ai relativi accertamenti (Sez. 1, n. 48719 del 15/10/2019; cfr., in tema di riabilitazione, Sez. 1, n. 34987 del 22/9/2010).
Ebbene, per i giudici di legittimità ordinaria, sotto questo profilo, il ricorso si limitava a censurare come l’ordinanza impugnata non avesse proceduto ad una adeguata analisi della condotta tenuta dal ricorrente successivamente alla condotta, indicando come unico elemento sintomatico di “effettiva e costante buona condotta” la circostanza che l’istante svolgeva una attività lavorativa, reputando quanto appena esposto palesemente insufficiente non solo perché, di contro, il Tribunale aveva individuato elementi specificamente negativi, ma soprattutto perché le denunce del ricorrente successive alla condanna riguardavano proprio condotte che sarebbero state commesse nell’esercizio della detta attività lavorativa.
Il ricorrente, dunque, per il Supremo Consesso, non aveva assolto all’onere di allegazione di positivi elementi suscettibili di approfondimento da parte del giudice che invece, per parte sua, aveva del tutto adeguatamente preso in considerazione i fatti di valenza sfavorevole desumibili dagli atti, cui aveva in modo ragionevole annesso il carattere ostativo all’accoglimento della richiesta.
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3. Conclusioni: la Suprema Corte “spiega” come va valutata la buona condotta
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito il modo in cui va valutata la buona condotta ai fini della riabilitazione.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di una giurisprudenza nomofilattica conforme, in sostanza quanto segue: Ai fini della riabilitazione, la buona condotta deve risultare da un comportamento concreto e costante che dimostri l’effettivo recupero del condannato a un corretto stile di vita, non essendo sufficiente la mera assenza di nuovi reati, fermo restando che il giudice deve valutare globalmente la personalità dell’istante, valutando anche eventuali denunce o procedimenti pendenti, purché significativi di condotte devianti. Tali elementi, del resto, non sono automaticamente ostativi, ma vanno esaminati nel merito, tenuto conto che la buona condotta va comunque accertata su un arco temporale ampio, oltre il minimo legale di tre anni, e coincide con l’adozione di uno stile di vita conforme alle regole della convivenza civile, anche non penalmente sanzionate. Ad ogni modo, spetta al richiedente allegare fatti concreti a sostegno della propria istanza, mentre il giudice è tenuto a verificarli, anche d’ufficio.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba comprendere in che termini possa essere applicato siffatto istituto.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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