recensione a: ” Nuovi modelli organizzativi e tecniche gestionali nella P.A.: “Il Management Pubblico” di L. Laperuta “.

Scarica PDF Stampa
1. Per un’introduzione alle strategie di cambiamento organizzativo e gestionale in atto nella P.A.: dall’ “orientamento alla regola” all’ “orientamento al risultato”. 2. Il “Management Pubblico” tra globalizzazione e modernizzazione: le radici culturali più recenti del fenomeno in Italia. 3. La questione organizzativa e gestionale nella Scienza dell’Amministrazione Pubblica contemporanea. Una P.A. multiorganizzata e manageriale: auspicio o realtà?
 
1. Per un’introduzione alle strategie di cambiamento organizzativo e gestionale in atto nella P.A.: dall’ “orientamento alla regola” all’ “orientamento al risultato”.
Nel panorama editoriale dello scorso anno è apparso un contributo, istituzionale e di sintesi, riguardante le strategie di cambiamento organizzativo e gestionale in atto nella Pubblica Amministrazione italiana: “IL MANAGEMENT PUBBLICO. Organizzazione e strategie della P.A. Programmazione e pianificazione strategica. Controllo strategico e di gestione. Contabilità direzionale”, a cura di L. Laperuta (Napoli 2006, pp. 304, € 16,00, Serie “Manuali”, n. 97/3).
L’impostazione dell’opera è chiara e consiste nel cercare di fornire i primi elementi di studio e di valutazione del complesso fenomeno del c.d. “Management Pubblico” in Italia. A tal fine, attraverso una sistematica ricognizione della dottrina, della legislazione e della giurisprudenza in argomento, l’Autrice propone una preziosa sintesi scientifica della materia: “Il riconoscimento da parte del legislatore della possibilità per le amministrazioni pubbliche di utilizzare ‘strumenti di diritto privato’ (nell’adozione di atti non autoritativi), registra, sul piano normativo, il tangibile fenomeno di rinnovamento dei modelli organizzativi e delle tecniche gestionali della cosa pubblica improntati ad una metodica manageriale (‘new public management’), tutta concentrata sui risultati e sui programmi, piuttosto che sulle procedure (art. 1 L. 246/2005 di ‘semplificazione annuale’ e art. 1 L. 241/1990 sul ‘procedimento amministrativo’, novellato dalla L. 15/2005). Un’ ‘amministrazione che costi di meno e che funzioni meglio e soprattutto al servizio delle imprese e dei cittadini’: questa, negli ultimi quindici anni, è stata la logica di fondo che ha caratterizzato la pervasiva serie di interventi normativi, volti, per l’appunto, a riformare il rapporto Stato-cittadini, collocando questi ultimi al centro dell’attività di una Pubblica amministrazione sempre più orientata alla soddisfazione dei bisogni individuali su larga scala …[1] Traspare, insomma, la consapevolezza che la visione legalistico formale dell’attività amministrativa è superata dal concetto di azione organizzativa della pubblica amministrazione, che si preoccupa di identificare il modo migliore per gestire strategicamente risorse umane e tecnologie” (p. 3).
Il contributo è strutturato in una breve “Premessa” ed in 12 (dodici) capitoli. Non si rinviene una Nota bibliografica (ma, del resto, l’intendimento e lo sviluppo dell’opera può giustificare un tale tipo di scelta redazionale[2]). Nel primo capitolo (“Introduzione al management pubblico”, pp. 5-14) è descritto il fenomeno del “Management Pubblico”, in connessione con le radici culturali della c.d. “modernizzazione” amministrativa. Nel secondo capitolo (“L’organizzazione della Pubblica Amministrazione”, pp. 15-44) la Pubblica Amministrazione italiana, centrale e non, viene rappresentata quale “organizzazione”[3] e studiata nella propria evoluzione[4], sino a giungere alle novità dell’ultimo quindicennio[5] ed al complessivo “riordino” della stessa[6]. Nel terzo capitolo (“Il sistema della Pubblica Amministrazione”, pp. 45-52) l’Autrice introduce, anche alla luce di recenti ed autorevoli apporti dottrinali, la “visione sistemica” della P.A.[7], qualificandola come “sistema aperto”, influenzato da molteplici “variabili”[8], sino a giungere all’ipotesi scientifico-ricostruttiva dell’ ”ente pubblico” come “sistema aziendale”[9]. Il quarto capitolo (“I modelli organizzativi”, pp. 53-76) propone l’utilizzo dello strumentario della teoria dell’organizzazione al fenomeno amministrativo italiano, attraverso un’analisi della “questione organizzativa” e dei principali risultati della scienza organizzativa applicata[10] (comprese le rappresentazioni grafiche delle strutture: dal modello “funzionale”[11] a quello “divisionale”[12] a quello “per progetti”[13], sino a giungere alla struttura “a matrice”[14]), evidenziando – infine – la novità operativa delle più recenti teoriche dell’organizzazione c.d. “per processi”[15]. Il quinto capitolo, fra i più diffusi nell’economia del lavoro (“Il management delle risorse umane”, pp. 77-134) considera i temi della “cultura organizzativa”[16] e della “gestione strategica delle risorse umane”[17], anche attraverso l’analisi dei contributi – non solo sociologici – di Weber[18] e Crozier[19]; prosegue con l’analisi della privatizzazione del pubblico impiego italiano[20] e con l’esposizione delle fonti normative del rapporto di lavoro[21], sino a giungere a rappresentare i principali tratti – non solo giuridici – della “nuova” Dirigenza pubblica, anche con attenzione all’innovativo principio di “separazione fra politica e dirigenza”[22]; approfondisce il tema della “gestione delle risorse umane” e della “valutazione del personale”, allagando le vedute altresì alle problematiche della formazione[23], del “benessere organizzativo”[24] e del “modello delle competenze”[25]; conclude con l’esposizione delle principali novità in materia di flessibilità nella gestione delle risorse umane (lavoro a tempo parziale, a tempo determinato, telelavoro, somministrazione, collaborazioni esterne)[26]. Il sesto capitolo (“Economicità, efficacia ed efficienza”, pp. 135-147) introduce ed esplica, con l’aiuto della più sensibile dottrina in argomento, alcuni “modernizzanti” concetti, ormai entrati nel lessico comune del mondo amministrativo italiano: “economicità[27], efficienza[28], efficacia[29], rendimento[30], vantaggio competitivo[31], catena del valore[32], responsabilità sociale[33], bilancio sociale[34]. Il settimo capitolo (“Pianificazione e programmazione strategica”, pp. 147-174), premessi brevi cenni alla nozione di “processo decisionale”[35] ed ai “processi decisionali inclusivi”[36], propone una riflessione sulle diverse tematiche della “pianificazione”[37] e della “programmazione”[38] “strategiche”[39], anche alla luce della metodologia gestionale, sempre più adottata, c.d. “per obiettivi” (dall’acronimo “MBO”, cioè “Management By Objectives”)[40]. L’ottavo capitolo (“Il sistema dei controlli”, pp. 175-199) approfondisce il delicato tema dei controlli nella Pubblica Amministrazione, soffermandosi sulle novità introdotte dal D. Lgs. n. 286 del 1999 (le quattro tipologie di controllo: “di regolarità amministrativa e contabile”[41]; “di gestione”[42]; “strategico”[43]; “dirigenziale”), sui soggetti incaricati degli stessi (in particolare, sul – nuovo, dal 1994 – ruolo della Corte dei Conti) e sul controverso problema del c.d. “Internal Auditing”[44]. Il nono capitolo (“La strategia della qualità nella P.A.”, pp. 199-228) introduce al nuovo tema della “qualità”[45] nell’azione e nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione italiana (attraverso l’analisi dei seguenti temi: “Cittadino-Utente”[46]; “Quality Management”[47]; “Qualità Totale”[48]; “Circoli della Qualità”[49]; “Benchmarking”[50]; “Carta dei Servizi Pubblici”[51]; “I sistemi di gestione per la qualità” ed i “I principi di gestione ISO 9000:2000”[52]). Il decimo capitolo (“La strategia della comunicazione”, pp. 229-252) sviluppa la sempre più rilevante materia dell’informazione e della comunicazione pubblica[53], evidenziando anche i più recenti trends operativi (“comunicazione interna”[54] e “marketing territoriale”[55]). Il capitolo undicesimo (“La strategia dell’informatizzazione”, pp. 253-264) rappresenta al lettore i più recenti accadimenti, anche normativi, in materia di cc.dd. “E-Government”[56] ed “E-Procurement”[57], con un’attenzione specifica al “Codice dell’Amministrazione digitale”[58] ed ai nuovi diritti-doveri “digitali” del Cittadino[59]. L’ultimo capitolo, il dodicesimo (“Nozioni ed elementi di contabilità direzionale”, pp. 265-290), affronta la materia della contabilità direzionale nella Pubblica Amministrazione, ovvero del supporto aziendalistico-istituzionale al management[60], attraverso un’analisi differenziale della contabilità generale[61] ed analitica[62] (con particolare riguardo alla classificazione dei costi, ai metodi di collegamento tra la contabilità generale e quella analitica[63], ai problemi budgetari[64] ed all’applicazione dei principi contabili internazionali – IAS/IPSAS[65]).
 
2. Il “Management Pubblico” tra globalizzazione e modernizzazione: le radici culturali più recenti del fenomeno in Italia.
Complessa ed ai fini recensivi non conferente potrebbe apparire l’idea di esemplificare l’analisi completa del contenuto dei distinti capitoli dell’opera della Laperuta: si tratta di argomenti di approfondimento certo collegati dall’identità di oggetto (la Pubblica Amministrazione) e finalità (a volte descrittive, altre volte prescrittive) ma con metodologie di sviluppo alquanto differenti (fra tutte quelle giuridiche, storiche, economico-aziendalistiche, sociologiche ed organizzative). Probabilmente, il dato che accomuna e caratterizza l’intero lavoro è quello di evidenziare i profili di contatto tra la – vecchia e nuova – gestione della cosa pubblica (il “Management Pubblico”) e la conduzione delle organizzazioni private (in un ottica aziendalistica): “Il processo di modernizzazione dell’amministrazione pubblica, attualmente in corso, è partito all’inizio degli anni novanta in un contesto ambientale di crisi finanziaria ed è stato spinto in prevalenza dall’esigenza di ridurre i costi delle amministrazioni e dei servizi pubblici. In una fase immediatamente successiva si acquisì la consapevolezza che il contenimento dei costi costituiva soltanto uno degli obiettivi da perseguire: diventava infatti prioritario anche il miglioramento della qualità dei servizi e delle prestazioni offerte dalle amministrazioni pubbliche. L’obiettivo divenne allora – richiamando lo slogan del ‘National Performance Review’, lo straordinario programma di riforma amministrativa promosso negli stessi anni da Bill Clinton e Al Gore – un’amministrazione che ‘faccia meglio e costi meno’ e soprattutto al ‘servizio della collettività e delle imprese’ … Assumevano così una particolare importanza il tema della qualità dei servizi pubblici e il ruolo centrale del cittadino, non solo nella veste di destinatario dei servizi ma anche quale risorsa strategica per valutare la rispondenza dei servizi erogati ai bisogni reali, così come percepiti dai soggetti fruitori. Ancora, si evidenziava l’emergere di una nuova cultura organizzativa orientata soprattutto a disancorare la Pubblica amministrazione dalla caratterizzante visione legalistica formale in vista dell’adozione di una logica gestionale improntata al raggiungimento del risultato” (p. 5)[66].  Questo ricordato processo di “modernizzazione” della Pubblica Amministrazione non ha interessato, come evidenzia la unanime dottrina in argomento, soltanto l’Italia, bensì tutta l’Europa oltre che i Paesi extraeuropei di democrazia competitiva occidentale (ad esempio, Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Canada, Sudafrica, Singapore, Argentina e Cile). Infatti, negli anni Novanta, logiche innovative molto simili hanno presieduto, con gli adattamenti richiesti dalle specificità dei singoli contesti, ed anche in ragione di pressanti stimoli di alcune organizzazioni internazionali[67], ai programmi di riforma amministrativa varati dapprima nel Regno Unito, poi negli USA e nei Paesi Nord Europei, quindi in Germania e, infine, in questi ultimi anni, anche in Francia: “Si è trattato di un processo di dimensione mondiale per il quale si è ormai imposto il nome di ‘NEW PUBLIC MANAGEMENT’ (NPM), a significare la congiunzione tra il carattere pubblico delle organizzazioni e l’ispirazione aziendalistica delle tecniche di gestione … Il NPM … è un approccio prevalentemente normativo ‘che focalizza l’attenzione sulla trasformazione dello stile manageriale pubblico per consentire una maggiore misurabilità e valutazione delle prestazioni ai fini dell’obiettivo ultimo della riduzione della spesa pubblica’ (Pollit)” (p. 6). Lo sforzo, con altre parole ma sempre in accordo con l’intendimento espresso dall’Autrice, è quello di implementare la modernizzazione dello Stato e delle sue articolazioni basandola su metodi e tecniche proprie delle scienze aziendalistiche ed organizzative e, tuttavia, tenendo in debito conto le peculiarità di una macrostruttura che si caratterizza per pubblicità nell’essenza e nelle finalità. D’altro canto, “la questione della modernizzazione della Pubblica amministrazione è di fondamentale importanza: un’amministrazione efficiente, un progresso reale nei servizi resi ai cittadini e alle imprese è tale da influire direttamente anche sullo sviluppo economico del Paese. Si tratta, nella sostanza, di ricostruire la macchina amministrativa dello Stato migliorandone il prodotto, sopprimendo procedure inutili, semplificando quelle necessarie, riducendo incombenze e pesi” (p. 6).
In Italia, in particolare, l’opera di modernizzazione amministrativa, secondo l’Autrice, affonda le proprie – più recenti – radici in due documenti ritenuti “fondamentali nella storia dell’Amministrazione italiana”: 1) “Il Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato”, presentato il 16 novembre 1979 dall’allora Ministro della Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini; 2) “Il Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni” ed il correlato “Indirizzi per la modernizzazione delle amministrazioni pubbliche”, predisposti dal Ministro per la Funzione Pubblica Sabino Cassese.
Nello specifico, il c.d. “Rapporto Giannini”, “… organizzato in cinque capitoli (introduzione, tecniche di amministrazione, tecnologia delle amministrazioni, personale, riordinamento dell’amministrazione dello Stato), tra le principali disfunzioni della Pubblica Amministrazione, indicava, in particolare, la cattiva qualità delle leggi che regolavano l’organizzazione e l’attività amministrativa, additandola quale principale causa del distacco dei cittadini dai poteri pubblici” (p. 8)[68].Nel c.d. “Rapporto Cassese”, inoltre, “… Il Ministro documenta che ad un’organizzazione piramidale (Ministeri-uffici periferici regionali, provinciali e subprovinciali) si era affiancata un’organizzazione ‘stellare’ (quella consistente in enti autonomi territoriali e non) senza che venisse modificata la prima: che a fronte di un numero alto di dipendenti non corrispondeva un miglioramento della loro utilizzazione per la produzione di servizi alle famiglie e alle imprese; che si rendeva necessario ‘rompere l’intrico legislativo per passare da un’amministrazione di procedure ad un’amministrazione di risultati’ “ (p. 9)[69].
Da allora, sempre secondo la Laperuta, il processo di riforma delle strutture amministrative e dei comportamenti gestionali in Italia ha subito diversi cicli di affermazione legislativa: in particolare, l’Autrice segnala il biennio 1988-1990, quello 1993-1994 e gli anni 1997-1999[70].
 
3. La questione organizzativa e gestionale nella Scienza dell’Amministrazione Pubblica contemporanea. Una P.A. multiorganizzata e manageriale: auspicio o realtà?
Gli avvenimenti politico-economici, interni ed internazionali, succedutisi in questo ultimo ventennio (dalla fine della Guerra Fredda e dal crollo delle ideologie non religiose totalizzanti alla Informatizzazione di massa ed alla Globalizzazione), anche in Italia hanno riportato l’attenzione del “grande pubblico”, e non solo degli studiosi dell’argomento, sul tema di una gestione non più “congiunturale” (cioè strettamente finalizzata al mantenimento di una situazione di permanenza nell’Alleanza Occidentale) ma efficiente, efficace, trasparente e partecipata dell’Amministrazione Pubblica. La questione organizzativa e gestionale (ovvero manageriale) ha ripreso un forte vigore – così – pure negli studi specificamente ad essa dedicati, ovvero in quelli di Scienza dell’Amministrazione, intesa come disciplina di secondo grado, punto di contatto e momento di confronto fra le diverse esperienze giuridiche, storiche, economiche, sociologiche, politologiche aventi in comune un unico oggetto: la Pubblica Amministrazione[71]. Come dimostrato nel pregevole contributo qui recensito, sulla scia di un trend internazionale (specificamente dei Paesi OCSE)[72], anche in Italia managerialità e multiorganizzazione stanno sempre più caratterizzando la “modernizzazione” delle istituzioni amministrative: il processo di adattamento risulta in corso ormai da almeno quindici anni, con alterne vicende e con risultati non sempre positivi: non solo “auspici”, quindi, ma anche “realtà”[73]. La conferma di quanto appena evidenziato è costituita dal fatto che, ormai, tutti i Governi, indipendentemente dalla caratterizzazione di centro-destra o di centro-sinistra, hanno posto fra i primari obiettivi del proprio programma la politica di riforma dell’Amministrazione Pubblica: e hanno, con alterne vicende, fatto seguire anche “fatti” più o meno significativi alle – non sempre da considerarsi “scontate”“parole”. La crisi del vecchio modello di Welfare-State, dunque, e le possibili soluzioni, che vedano un nuovo ruolo del fenomeno amministrativo (e, conseguentemente, del Management Pubblico) sono sotto gli occhi di tutti, esperti e non della Scienza dell’Amministrazione.
Il volume della Laperuta offre una rassegna ed una sintesi delle principali novità, manageriali ed organizzative appunto, che stanno sempre più caratterizzando il fenomeno amministrativo in Italia, con un approccio indubbiamente sincretico: aspetti giuridici, storico-istituzionali, politologici, sociologici, organizzatori ed economico-aziendalistici si fondono in un’opera di sintesi della materia di indubbio valore non solo storico-ricostruttivo, come invece potrebbe lasciare intendere la collocazione editoriale[74].
Il lavoro, anche per semplicità espositiva e costruzione redazionale “a più livelli” di approfondimento[75], si offre alla lettura non solo di un pubblico universitario (per formazione, esami o attività di ricerca) e di appartenenti alla Pubblica Amministrazione (per progressioni interne o concorsi vari) ma anche di tutti coloro (auspicabilmente a politici ed amministratori della cosa pubblica, ai vari livelli di governo) che vogliano meglio comprendere l’inizio e le direzioni, a volte pure contraddittorie, del complesso mutamento in corso nell’Amministrazione Pubblica italiana.
 
 
Marco Rondanini
                 
Le opinioni espresse nel presente scritto sono da ricondursi unicamente all’autore dello stesso, restando impregiudicate le posizioni delle Istituzioni formative e/o lavorative di riferimento (Università Cattolica ed Agenzia delle Entrate). Eventuali errori grammaticali o sintattici, non evidenziati in sede di rilettura, sono anch’essi da attribuirsi all’autore. Il presente scritto è stato sottoposto, preventivamente, al sommario esame del Tutor universitario dottorale Prof. M. Scazzoso, che si ringrazia per le osservazioni critiche formulate in argomento.
 


[1] “Si pensi all’affermazione giuridica del ‘principio di separazione fra politica e dirigenza’ (D. Lgs. 165/2001, L. 15/2005), all’introduzione di ‘forme flessibili di assunzione delle risorse umane’ (D. Lgs. n. 276/2003), al ‘potenziamento delle strutture di front-office’, quali servizi di interazione fra amministrazione e cittadino utente (sportelli URP, Centri per l’impiego etc.), all’implementazione del ‘modello strategico dell’e-government’ (cfr. D. Lgs. 82/2005 recante ‘Codice dell’amministrazione digitale’). E, ancora, all’ ‘adozione degli indicatori di efficienza e di economicità’ e dello strumento di verifica del ‘controllo di gestione’ al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto costi/risultati (cfr. D. Lgs. 286/1999)” (p. 3).
[2] Peraltro, la pregevole conferenza (e lo stimolo di approfondimento) dei contributi, soprattutto dottrinali, utilizzati potrebbe ancora meglio risaltare in ragione di una breve e finale Nota bibliografica, eventualmente “ragionata”, di cui si auspica la redazione in un’eventuale prossima edizione dell’opera.
[3] “… il termine ‘amministrazione’ è connotato da una duplicità semantica, in quanto può indicare: ‘l’attività di amministrazione’, ovvero la funzione amministrativa, quale cura concreta di interessi pubblici; la ‘sede’ dell’attività amministrativa, ovvero il ‘soggetto’ che quell’attività svolge (GIANNINI). Con riferimento a questa seconda accezione, la scienza politica e la scienza dell’amministrazione suggeriscono di utilizzare la locuzione di amministrazione-apparato o di ‘amministrazione-organizzazione’ … L’essenza dell’organizzazione è ravvisabile, secondo la felice sintesi di Gilberto Capano [e, prima ancora, secondo i teorici dell’organizzazione, quali ad esempio S. Zan], nei principi di ‘divisione’ e di ‘integrazione’, vale a dire nella necessità, da un lato, di dividere il lavoro tra diversi individui e/o gruppi, e dall’altro, di integrare i diversi apporti individuali e/o di gruppo in vista della realizzazione dell’obiettivo comune … L’organizzazione è fondata sui seguenti presupposti: a) l’esistenza di uno scopo (mission) … b) la razionalità cosciente … c) la complessità dei compiti … d) la dimensione …” (pp. 15-16).
[4] “Il testo più antico di disciplina generale dell’amministrazione statale, ma anche l’ultimo prima del D. Lgs. n. 300 del 1999, è stato la cd. ‘legge Cavour’ del 1853. La legge 1483/1853 (riordinamento dell’amministrazione centrale e della contabilità generale dello Stato) diede un assetto moderno allo Stato sabaudo, conformandolo al modello montesquieano della divisione dei poteri e della responsabilità dell’Esecutivo di fronte al Legislativo. L’oggetto fondamentale della riforma fu appunto il potere esecutivo, ovvero la pubblica amministrazione; l’obiettivo di Cavour era una ristrutturazione delle strutture amministrative che le rendesse coerenti al modello. A questo fine tutte le competenze amministrative furono concentrate nei Ministeri, e vennero abolite le ‘aziende’, che fino ad allora svolgevano la gestione economica dei servizi amministrativi. Il risultato fu una struttura piramidale, con il vertice occupato dal Ministro, legittimato in quanto membro del Governo dalla fiducia del parlamento – e quindi degli elettori. Soltanto il Ministro poteva emanare atti (tutti i provvedimenti dell’amministrazione, infatti, portavano la sua firma), in quanto esclusivamente sulla sua persona incombeva la responsabilità politica (ROMANO). La concezione ideologica di fondo era che, se la funzione esecutiva è svolta in virtù di un’investitura elettorale, attraverso la mediazione del Parlamento, allora tutta la struttura amministrativa deve far capo ad organi responsabili davanti alle Camere ed al corpo elettorale. Corollario del principio della separazione dei poteri, con il correlato principio della fiducia parlamentare, era dunque la struttura piramidale della pubblica amministrazione, che deve essere, per così dire, ‘riassunta’ tutta nella persona del Ministro responsabile. In un modello così congegnato non v’è posto per entità amministrative al di fuori della struttura ministeriale (ROMANO)” (pp. 16-17). In sintesi, la storia amministrativa italiana sembra mostrare – secondo l’Autrice e con l’estensione di ulteriori particolari, cui si rinvia (pp. 17-18) – che il modello aziendale (e/o quello delle “amministrazioni parallele”) abbia avuto momenti di alterna importanza e vigenza: prima del 1848; all’inizio del ‘900; con il fascismo; nel dopoguerra e negli anni ’70/‘80. La disciplina degli anni ’90, quindi, ed è una provvisoria conclusione del recensore, non apparirebbe estranea alla nostra tradizione istituzionale, come invece un comune sentire pretesamene “modernizzatore” tenderebbe a far credere.
[5] “L’amministrazione statale, tuttavia, non ha subito riorganizzazioni di portata generale sino agli anni novanta. Vi sono state sì riforme parziali …Ma il risultato è stato quello di una pubblica amministrazione comunque sempre meno coerente ed efficiente, una ‘amministrazione in briciole’ (MELIS) … Il primo programma generale di riforme amministrative della storia repubblicana è stato progettato, ma solo in parte eseguito, nel biennio 1993-1994, dal Governo Ciampi (e, più precisamente, dal Ministro della Funzione Pubblica Cassese). Ne costituisce un risultato la riforma del pubblico impiego e della dirigenza pubblica (D. Lgs. 29/1993), o meglio le successive correzioni ed integrazioni. Soltanto il secondo tentativo degli anni novanta ha avuto il tempo di svilupparsi compiutamente. Si tratta delle ‘riforme Bassanini’ e, in particolare, dei decreti legislativi di riordino” (pp. 18-19).
[6] “Il ruolo dello Stato, nel rapporto con le autonomie, è decisamente mutato. L’amministrazione diretta ha ceduto il passo alla funzione di indirizzo e coordinamento … In particolare l’art. 11 [della L. n. 59 del 1997, c.d. “Bassanini 1”] ha delegato al Governo l’emanazione di decreti legislativi di riordino della struttura amministrativa statale e degli enti pubblici nazionali. Ne è seguita la più grande riforma amministrativa del dopoguerra, paragonabile per entità soltanto alla ‘riforma De Stefani’ del 1927 ma ad essa superiore se si considera che il riordino dei Ministeri adottato con il D. Lgs. 300/1999 è stato la prima legge organica sulla materia dopo la Legge Cavour del 1853 (L. 1483/1853) … I decreti delegati dall’articolo 11 (e dall’art. 21 per l’amministrazione scolastica) hanno razionalizzato l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno riordinato i Ministeri, riorganizzato, fuso o soppresso le amministrazioni centrali ad ordinamento autonomo, le aziende di Stato e gli enti pubblici nazionali. Il posto centrale spetta, senza dubbio, al già citato decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300, che costituisce ora il principale referente normativo dell’organizzazione amministrativa statale … Il riordino dell’amministrazione statale, disposto dall’art. 11 della legge 59/1997 e attuato con i decreti legislativi elencati all’inizio del paragrafo (lett. A), si è ispirato ai principi stabiliti dal successivo art. 12. Quest’ultimo, in primo luogo, ha posto un obiettivo generale: la ‘razionalizzazione della distribuzione delle residue competenze statali’ fra i diversi Ministeri nonché fra questi e la Presidenza del Consiglio dei Ministri … In parallelo al riordino delle strutture centrali dello Stato, l’art. 11 comma 1, ha autorizzato il Governo alla riorganizzazione degli organi periferici delle amministrazioni centrali” (pp. 19-21). L’Autrice prosegue descrivendo – anche con confronti diacronici – le novità nell’organizzazione ministeriale centrale (pp. 21-24) e periferica (particolare attenzione è dedicata agli organi di rappresentanza governativa, quali il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie ed il Prefetto titolare di Prefettura-Ufficio Territoriale di Governo /UTG: pp. 24-29). Di significativo interesse risulta poi l’approfondimento sulle – vecchie e nuove (ante e post D. Lgs. n. 300 del 1999) – Agenzie (esecutive) ed Autorità amministrative indipendenti (pp. 29-36). Conclude il capitolo una disamina delle novità apportate dal c.d. “federalismo amministrativo” (“… una forma molto ampia di ‘conferimento’ di funzioni cedute dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali”) e dalla “sussidiarietà”(pp. 36-39), sino a giungere alla riforma del Titolo V della Costituzione (L. Cost. n. 3 del 2001) ed alla sua attuazione (L. n. 131 del 2003 e L. n. 306 del 2004): un paragrafo è dedicato anche alla c.d. “devolution”, il cui referendum – dall’esito negativo – è stato successivo alla pubblicazione del volume.
[7] “La teoria dei sistemi rappresenta uno dei più recenti indirizzi di studi organizzativi … Nel contesto ambientale l’organizzazione non è che una componente, un sottosistema di un insieme sistemico più grande, di cui fa parte e con cui interagisce … Dall’ambiente, l’organizzazione … riceve degli ‘input’ … tali input vengono interpretati, trasformati … e riproposti ancora all’ambiente come ‘output’ … Per mantenere … l’ equilibrio dinamico [l’organizzazione] dovrà dotarsi di uno strumento di autoregolazione e di controllo che segnali tempestivamente eventuali disfunzioni e permetta di correggerle. Questo tipo di controllo, necessario al sistema per autoregolarsi, è detto ‘feedback’” (pp. 45-46).
[8] “La pubblica amministrazione, in quanto organizzazione deve essere considerata un ‘sistema aperto’, ovvero un macrosistema caratterizzato: dalla peculiarità degli scopi da perseguire; dalla complessità delle funzioni di governo … L’amministrazione pubblica, pertanto, è un sistema che: trova la sua origine nelle istanze dei cittadini per il tramite dei politici; effettua trasformazione di risorse; produce risposte che tornano ai cittadini sotto forma di servizi … Le variabili sono, dunque, gli elementi costitutivi del sistema amministrativo e possono essere ricondotte a cinque tipologie: la variabile ‘risorse umane’ costituita dal personale pubblico che opera all’interno del sistema; essa è analizzata da differenti angolazioni: dalla competenza all’esperienza, dalla formazione professionale, dall’età anagrafica … ; la variabile ‘struttura organizzativa’ intesa come rete di rapporti gerarchici e funzionali esistenti fra i membri dell’apparato amministrativo pubblico; la variabile ‘procedure’, vale a dire l’iter burocratico o la sequenza di comportamenti che permettono la trasformazione degli input, penetrati nel sistema sotto forma di domanda, in output; la variabile ‘tecnologia’, ossia ogni tipo di risorsa di cui dispone il sistema amministrativo, dal momento che il livello tecnologico presente nell’organizzazione influenza la stabilità dell’ambiente interno e il suo equilibrio; la variabile ‘vincoli normativi’ rappresentata da tutti gli atti (leggi, circolari, regolamenti) che disciplinano, in maniera più o meno organica, gli aspetti dell’azione amministrativa. L’ ‘efficacia’ di un’organizzazione dipende dal livello di coerenza delle sue variabili; un’organizzazione sarà efficace quando: gli elementi che compongono il sistema sono coerenti e interdipendenti; un processo interno di adattamento continuo garantisce coerenza tra strategie ed ambiente esterno” (pp. 47-48).
[9] “Negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione si è essenzialmente orientata verso modelli teorici e tecnici di tipo aziendale nelle funzioni di amministrazione, di organizzazione, di contabilità e di controllo …” (p. 50). Il contributo recensito prosegue esponendo le caratteristiche essenziali del modello dell’ “azienda pubblica composta”, proposto da autorevole dottrina (Borgonovi), esplicitandone le caratteristiche (pp. 41-52).
[10] “… la questione cioè attinente all’individuazione delle modalità di organizzazione dell’attività amministrativa in grado ad un tempo di mettere in atto l’innovazione normativa, coinvolgere e responsabilizzare gli attori amministrativi, procedere alla verifica dei risultati con il concorso degli utenti (CERASE)” (p. 53). L’Autrice prosegue (pp. 54-62). introducendo il concetto di “rete organizzativa” e le più consuete rappresentazioni grafiche (“organigramma verticale”, “organigramma orizzontale”, “organigramma ripiegato”, “livellogramma” ed “organigramma circolare”).
[11] “La struttura funzionale corrisponde alle condizioni di stabilità, quando i livelli quantitativi e le caratteristiche qualitative dei beni o dei servizi prodotti e le esigenze dei clienti-utenti rimangono perfettamente stabili nel tempo … è il più antico e conosciuto [modello organizzativo], e deriva il suo nome dal fatto che ogni ruolo di comando corrisponde ad una funzione presente nel processo produttivo, il quale attraversa quindi necessariamente più unità organizzative da monte a valle. E’ un modello, dunque, che privilegia la specializzazione … accanto alle posizioni direttamente collegate al processo produttivo, e cioè le unità e gli uffici di ‘line’, sono previsti ruoli di ‘staff’, privi di autorità diretta, ma con compiti di ausilio tecnico. Il modello è altresì caratterizzato dall’accentramento delle decisioni al vertice e dalla ripetitività ed analogia dei compiti affidati ai vari reparti o uffici. Ci sono tre livelli organizzativi: al livello di ‘direzione generale’ spetta il coordinamento delle diverse aree funzionali; al livello di ‘direzione delle aree’ spetta l’organizzazione, il coordinamento ed il controllo delle diverse aree; il terzo livello è quello delle ‘unità operative’ con compiti perlopiù esecutivi che deve tradurre in pratica le direttive dei responsabili d’area” (p. 63). Di interesse risultano altresì le successive considerazioni (pp. 63-64) in ordine ai possibili vantaggi e svantaggi del presente modello organizzativo, unitamente alle correlate tavole esplicative (che ben caratterizzano anche il prosieguo del presente capitolo).
[12] “La struttura divisionale corrisponde alle condizioni di elasticità operativa, quando l’organizzazione si trova nella necessità di decidere mutamenti rapidi ed efficienti nei livelli quantitativi dei beni o servizi prodotti … ebbe le prime applicazioni pratiche negli anni ’20 presso la Du Pont e la General Motors. Il modello raggruppa in ‘divisioni’ le varie attività in base al mercato (es. …. Prefettura di Ferrara) o alla linea di prodotti … anziché in base alle attività produttive e decentra il potere di gestione al livello di vertice di ogni divisione. Le divisioni vengono affidate a dirigenti che sono totalmente responsabili delle decisioni strategiche, amministrative e operative riguardanti l’area di prodotti o di mercato loro assegnata” (p. 64).
[13] “La struttura per progetti corrisponde alle condizioni di elasticità strategica, quando l’organizzazione deve reagire ai mutamenti che intervengono nei caratteri qualitativi dei beni o servizi prodotti … Alle strutture preposte alle attività ordinarie si affiancano dei progetti temporalmente definiti, dove si studiano e si sperimentano prodotti, servizi, soluzioni ed interventi innovativi. Ciascun progetto è affidato alla responsabilità di un ‘project manager, che ne risponde direttamente alla direzione generale, e impone di reclutare un gruppo di progetto, costituito in genere da persone dotate di skills e competenze professionali diverse, provenienti da varie unità organizzative (che si trovano, in tal caso, a partecipare a due strutture: quella istituzionale da cui dipendono per l’attività ordinaria e quella di progetto) o, in alcuni casi, dall’esterno dell’organizzazione” (pp. 65-66). 
[14] “La struttura a matrice corrisponde all’esigenza di un cambiamento costante e istituzionalizzato delle strutture, dovuto ai continui mutamenti della tecnologia e delle esigenze dell’ambiente. Consiste in una sorta di sofisticazione ed istituzionalizzazione della struttura per progetti. Anch’essa prevede una sovrapposizione di una struttura dinamica per compiti non di routine alla struttura istituzionale di routine” (p. 66).
[15] “Il modello dell’ ‘organizzazione per processi’ costituisce un modello del tutto alternativo e incompatibile con una tradizionale struttura di tipo gerarchico-funzionale … L’organizzazione per processi, infatti, al contrario di quella gerarchico-funzionale: – ha pochissimi livelli gerarchici; generalmente solo due: quello del management generale e quello del management operativo; – i processi sono gestiti integralmente all’interno di ciascuna unità del livello operativo; – i dirigenti delle unità di livello operativo adottano direttamente ed autonomamamente le decisioni e se ne assumono la relativa responsabilità; – gli operatori lavorano in un’ottica di polifunzionalità, e gestiscono direttamente i rapporti con l’utenza; – i controlli hanno luogo non sulle attività, ma esclusivamente sui risultati; – l’integrazione orizzontale fra le diverse unità coinvolte nella realizzazione di risultati complessi ed obiettivi strategici avviene attraverso ruoli di co-management … Per tutti questi motivi l’organizzazione per processi è oggi il modello organizzativo più adatto a rispondere in modo simultaneo ai problemi di qualità del servizio, di innovazione, di flessibilità e di contenimento dei costi” (pp. 67-68). L’Autrice prosegue proponendo il modello del “Business process reengineering” (BPR) e del “Public organization reengineering” (POR), concludendo con i “flow chart” / diagrammi di flusso (pp. 68-75).
[16] “Il vecchio modello burocratico di organizzazione era basato su un sistema ordinato e circoscritto di componenti che funzionavano in modo da routinizzato, affidabile e prevedibile: si trattava di un modello fondato sull’osservanza della regola, sulla divisione del lavoro, sulla formulazione di una linea gerarchica che legava superiori e subordinati e che andava dal vertice alla base dell’organizzazione e in cui ogni dipendente riceveva ordini solo da un superiore, nonché sulla separazione della pianificazione del lavoro dalla sua esecuzione … La tradizionale struttura di tipo gerarchico-funzionale, caratterizzata dal coordinamento verticale, è stata sostituita da un nuovo modello organizzativo fondato sui paradigmi dell’organizzazione per processi e del miglioramento continuo (Kaizen), vale a dire su di un processo cognitivo di apprendimento collettivo giorno per giorno, che consenta a tutti, attraverso piccoli passi di lavorare sempre meglio e, nello stesso tempo, di vivere sempre meglio lo spazio ed il tempo sociale sul luogo di lavoro. Il Kaizen è esattamente l’opposto delle ‘one best way’ dei classici: mentre infatti la one best way impone per via gerarchica soluzioni dettate dal vertice che si ritengono universalmente e definitivamente valide, il Kaizen coinvolge, attraverso la mobilitazione delle naturali energie creative dei piccoli gruppi, tutto il personale dell’organizzazione nella continua ricerca di soluzioni che per definizione non sono mai definitive, ma sempre ulteriormente migliorabili e adattabili al variare delle tecnologie e delle risorse disponibili, delle esigenze dei clienti/utenti e delle condizioni ambientali contingenti … La prima caratteristica essenziale del nuovo modello è ‘la semplicità della struttura, che diviene quella di una lean organization, un’organizzazione piatta, sostanzialmente articolata su due soli livelli gerarchici, quello del management generale e quello del management operativo. Meno livelli gerarchici vuol dire soprattutto meno vincoli, meno verifiche di carattere formale, e insieme più creatività e tempi più ridotti nell’adozione delle decisioni. La seconda caratteristica qualificante è rappresentata dalla forte autonomia operativa e decisionale e dalla diretta responsabilità delle unità organizzative con riguardo ai risultati conseguiti, per tale motivo esse devono essere dotate di tutte le competenze professionali necessarie alla gestione, dall’inizio alla fine, di ciascun processo di lavoro e devono favorire la realizzazione di una fitta rete di relazioni con altri soggetti pubblici e privati da coinvolgere nel raggiungimento degli obiettivi. La terza caratteristica essenziale è quella di un governo dell’organizzazione non più basato su norme e regole di carattere formale, ma sulla condivisione della cultura del miglioramento continuo. Il funzionamento stesso del nuovo modello richiede, infatti, il costante coinvolgimento ed il fattivo impegno di tutti i livelli dell’organizzazione, che sono chiamati a dare il proprio contributo al miglioramento continuo tanto della qualità dei servizi erogati, quanto dello stesso ambiente di lavoro” (pp. 77-79).
[17] “Nel processo di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione … un ruolo strategico è, senza dubbio, attribuito ad una migliore utilizzazione delle risorse umane, intese non solo in senso quantitativo, cioè come insieme dei lavoratori che prestano la loro attività, ma anche in senso qualitativo, cioè come il complesso delle abilità professionali (skills) conoscenze culturali e degli aspetti emotivi e motivazionali” (p. 79).
[18] “Il termine burocrazia, impiegato per la prima volta in Francia nel 1700, passa poi in uso in tutti i paesi europei per definire un’organizzazione relativamente complessa a cui i governanti e legislatori ricorrono per l’attuazione delle loro decisioni, costituita da uffici, cioè da un apparato statale di funzionari nominati e non eletti, organizzati gerarchicamente e dipendenti da un’autorità centrale. Max Weber (1894-1920), tra i primi ad occuparsi della struttura sociale delle organizzazioni, elabora un concetto di burocrazia che, non rappresentando fedelmente la realtà, si pone come modello ideale e si rivela di grande utilità per: effettuare analisi di casi concreti; individuare, in maniera molto generale, le caratteristiche di un ampio periodo storico” (pp. 79-80). L’Autrice, quindi, esplicita, con dovizia di riferimenti concettuali (cui si rinvia, alle pp. 80-82), le caratteristiche salienti del modello, individuate – in sintesi – nella “razionalità” e “divisione del lavoro”.
[19] “Ne ‘Il fenomeno burocratico’, pubblicato nel 1963, il sociologo francese Crozier effettua una critica radicale al concetto ‘weberiano’ di burocrazia. La burocrazia – afferma l’Autore – non è quell’apparato potente, solerte, discreto, efficiente, razionalmente orientato allo scopo descritto da Weber, ma nasce fin dall’inizio come un organismo rigido, inefficiente, pignolo e privo di fascino, ma che concede, a chi le sa sfruttare, nicchie insospettate di indipendenza privata. Il metodo di diagnosi e di intervento a livello operativo proposto da Crozier è quello dell’ ‘analisi strategica dei comportamenti burocratici’: per comprendere il funzionamento di un’organizzazione burocratica non ci si può limitare né alla verifica della conformità dei comportamenti rispetto alle norme, alla maniera dei ‘classici’, né allo studio degli atteggiamenti psicologici dei singoli, come suggeriscono ‘interazionisti’ e ‘motivazionisti’. Neppure è sufficiente studiare le funzioni di un sistema burocratico, come propongono i ‘funzionalisti’. Si devono invece analizzare le strategie che gli attori, individuali e collettivi, adottano nei quotidiani rapporti reciproci dentro il quadro delle regole formali dell’organizzazione. Le stesse ‘funzioni’ vanno lette ed interpretate come effetto delle strategie che i diversi soggetti pongono in atto. Al concetto di strategia è strettamente connesso quello di potere: in un sistema burocratico, dove per definizione tutto deve essere impersonale e prevedibile, il potere non appare tanto legato, come sosteneva Weber, alla possibilità legittimata di ottenere obbedienza ad uno specifico comando, quanto alla capacità di un soggetto di fare propri e riuscire a difendere dei margini, sia pure minimi, di libertà di scelta”: secondo la condivisibile lettura del contributo di Crozier ad opera della Laperuta e con riferimento specifico all’analisi in termini di potere nei rapporti sociali esistenti all’interno delle organizzazioni, l’esercizio del potere ha sempre un carattere personale e va tenuto distinto dall’autorità in senso formale. E’ proprio tra queste nicchie del sistema che si creano inattesi rapporti tra le persone, considerabili in termine di potere: nella realtà esistono sempre margini dovuti all’imponderabile, situazioni in cui le procedure previste non sono sufficienti e soprattutto, gli esseri umani non sono sempre riconducibili a comportamenti predeterminati. Così, la prevedibilità del comportamento diventa una prova di inferiorità, mentre chi, per la natura del lavoro o per le proprie capacità strategiche riesce a conservare aspetti non prevedibili nell’esplicazione del suo ruolo, è per ciò stesso in posizione di superiorità: “Le lotte di potere, … secondo Crozier, … si spiegano come lotte per conquistare o mantenere il controllo delle fonti di incertezza”. Aggiungasi che “… l’incapacità di trasformarsi [delle organizzazioni burocratiche] va interpretata non come una conseguenza inattesa, ma come una prerogativa accettata ed intrinseca al modo di essere della burocrazia. Questa è infatti costituita in modo da non avere al suo interno nessuno strumento istituzionale per potersi correggere … anche per la burocrazia giunge un momento di rottura: essendo infatti priva di meccanismi capaci di garantirle un continuo e fisiologico adattamento alle nuove esigenze sociali, la burocrazia può cambiare solo ‘per crisi’, e cioè per sussulti improvvisi e drammatici che la investono totalmente …” (pp. 82-85). La conclusione di Crozier, sempre come ricostruito dalla Laperuta, è per la necessarietà di un’Amministrazione Pubblica che abbia una dimensione imprenditoriale con riferimento ai ruoli dei propri dipendenti e che concorra sempre più a trasformarli da burocrati in managers: “E’ infatti meglio correre il rischio di illeciti amministrativi in un sistema che funziona, sostiene Crozier, piuttosto che avere la certezza della paralisi di un sistema privo di iniziativa”.L’Autrice termina l’interessante e concreto approfondimento dedicato a Crozier segnalando l’importanza di un’opera del sociologo pubblicata alla fine degli anni ’80: “L’impresa in ascolto”, dove “… la risorsa umana diventa la risorsa fondamentale, quella intorno alla quale ruotano tutte le altre. E le organizzazioni devono essere pronte all’ascolto se vogliono iniziare l’apprendimento di una gestione adeguata al mondo post-industriale … quattro elementi essenziali della nuova logica: 1) la capacità di innovazione assume un ruolo primario rispetto a quella di razionalizzare … 2) il capovolgimento del rapporto quantità-qualità in favore della seconda, attraverso la quale passa l’innovazione … 3) l’importanza centrale della risorsa umana … 4) la dipenda della capacità di innovare … sempre più dalla qualità e dalla pertinenza degli investimenti immateriali … La nuova logica, filtrata dall’essenziale apporto dell’esperienza, si muove secondo Crozier intorno a tre basilari principi organizzativi: 1) ‘il principio di semplicità’ … Si tratta di passare dalla concezione dell’organizzazione come ‘l’arte di fare grandi cose con uomini mediocri’ a quella di ‘arte di rendere gli uomini non mediocri’, dando professionalità all’individuo invece di complicare strutture e procedure, sviluppando le risorse umane invece di controllarle … 2) ‘Il principio di autonomia’. Per fare in modo che sia lo spirito dell’operatore a rispondere al problema, è necessario che questo operatore abbia la libertà e la responsabilità di agire …. Il principio in questione può attuarsi nelle diverse forme della decentralizzazione, della delega e dell’autonomia in senso proprio … 3) ‘Il principio della direzione attraverso la cultura’ … ‘dopo che il management scientifico ha insegnato come ‘organizzare le cose’, oggi bisogna tornare a ‘dirigere gli uomini’, vale a dire ad elaborare uno stile di governo molto meno gerarchico, che permetta di ‘sfuggire alla pesantezza dei regolamenti dell’ordine burocratico’” (pp. 85-89).
[20] “Con la legge di delega 23-10-1992 n. 421 e il D. Lgs. 3-2-1993 n. 29, confluito successivamente nel D. Lgs. 165/2001 (T.U. pubblico impiego), il legislatore ha effettuato la scelta della ‘privatizzazione’ del pubblico impiego (con alcune eccezioni per determinate categorie di dipendenti), all’interno di un processo di complessiva ‘reingegnerizzazione dell’amministrazione pubblica’, in nome dei principi di economicità ed efficienza …” (p. 89).
[21] “L’assetto delle fonti delineato dalla riforma integra gli estremi di un sistema organico in cui il rapporto di pubblico impiego, o meglio il rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche, viene regolato dal diritto comune e dai contratti collettivi, mentre alla fonte unilaterale (legge, regolamento o atti di organizzazione) viene lasciata la disciplina dell’ordinamento delle amministrazioni pubbliche …” (p. 90).
[22] Sul rapporto politica – dirigenza amministrativa il contributo recensito propone (alle pp. 99-104) una disamina delle principali fonti normative in argomento, a partire dal DPR n. 748 del 1972 e sino a giungere al D. Lgs. n. 165 del 2001 (dove il lavoro segnala gli artt. 4 e 14) ed alla L. n. 145 del 2002 (unitamente alla circolare esplicativa Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione Pubblica del 31.07.2002); una menzione specifica è rivolta, altresì, al D. Lgs. n. 267 del 2000 (per quanto attiene agli Enti Locali, in particolare, evidenzia l’art. 107).
[23] “Al fine di mantenere e, possibilmente, accrescere la competenza del personale alle dipendenze della amministrazioni pubbliche, l’art. 4 della L. 3/2003 ha introdotto l’art. 7bis al D. Lgs. 165/2001, prevedendo che le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e gli enti pubblici non economici debbano predisporre annualmente un ‘piano di formazione del proprio personale’. Il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle a tale scopo, disponibili, prevedendo l’impiego delle risorse interne, di quelle statali e comunitarie, nonché le metodologie formative da adottare in riferimento ai diversi destinatari … deve: essere preceduta da un’esatta individuazione dei fabbisogni formativi; coinvolgere i potenziali destinatari dell’intervento formativo” (p. 106): l’Autrice si sofferma, in argomento, anche sul contenuto della “Direttiva Frattini” del 13.12.2001 (pp. 107-109)
[24] A questo proposito, l’Autrice, ricollegandosi al contenuto della recente Direttiva Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica del 24.03.2004 (attuativa dell’art. 7 del D. Lgs. n. 165 del 2001) afferma che “… per lo sviluppo e l’efficienza delle amministrazioni, le condizioni emotive dell’ambiente in cui si lavora, la sussistenza di un clima organizzativo che stimoli la creatività e l’apprendimento, l’ergonomia degli ambienti di lavoro, [costituiscono] elementi di fondamentale importanza ai fini dello sviluppo e dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche” (pp. 109-110).
[25] “… quindi a verificare anche come siano stati raggiunti gli obiettivi e non solo se questi ultimi siano stati conseguiti … Boyatzis (1982) definisce in particolare la competenza come una caratteristica intrinseca di un individuo casualmente collegata a una performance eccellente in una mansione e che si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità … Il concetto di competenza professionale è ampio e articolato e in letteratura numerosi sono gli approcci teorici ed operativi. Tuttavia si può rintracciare un elemento comune: il punto di osservazione è il soggetto” (pp. 113-114): l’Autrice prosegue con una disamina sulle competenze “di soglia”, “distintive” e “di ruolo”, sviluppando il modello dottrinale proposto anche alla luce delle più importanti correnti di pensiero in argomento (pp. 114-115, cui si rinvia).
[26] “Nella più recente legislazione in materia di lavoro pubblico il tema della flessibilità ha ormai assunto un particolare rilievo. Ciò rappresenta una decisa inversione di tendenza rispetto ad un passato caratterizzato da un elevato tasso di frammentarietà degli strumenti della flessibilità, per effetto di interventi legislativi settoriali volti a disciplinare fenomeni di precariato o l’utilizzo ante litteram di modelli atipici (lavoratori socialmente utili, volontari, collaboratori esterni). Il principale referente normativo è rappresentato dall’art. 36 , comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001 secondo cui le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale, possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste per il settore privato. Il legislatore ha dunque voluto pienamente ‘legittimare l’introduzione di forme di lavoro alternative al contratto a tempo indeterminato anche nel pubblico impiego, rimettendo come previsto per il settore privato, all’autonomia collettiva la funzione di controllo e di orientamento al loro utilizzo’ (VOLTATTORINI)” (p. 120). L’Autrice prosegue con una dettagliata disamina delle nuove (e “vecchie”, ma rivisitate) fattispecie giuslavoristiche oggi previste dal nostro ordinamento (pp. 120-134, cui si rinvia).
[27] “La gestione di determinate risorse può essere considerata ‘economica’ se gli sprechi risultano contenuti al minimo, ottenendosi in tal modo il massimo di beni e servizi prodotti (output) dalle risorse disponibili (input)” (pp. 135-136).
[28] La nozione di efficienza, tradizionalmente comprende l’efficienza “tecnica” (“Il grado di efficienza sta ad indicare la produzione della massima quantità di determinati beni e servizi (output) in rapporto ad una data quantità di risorse o, viceversa, la produzione di una data quantità di determinati beni e servizi con la minima quantità di risorse”: pp. 136-137) e l’efficienza “allocativa” (“… misura la soddisfazione ottenuta da parte del consumatore dei beni e dei servizi in rapporto alla produzione pubblica”: p. 137).
[29] “… implica il raffronto fra risultati programmati e risultati raggiunti” (p. 138).
[30] “… il modo di essere e di operare di una organizzazione in rapporto all’utile che si può ottenere da essa (BORGONOVI) … dunque misura il grado di efficienza (costi sostenuti) e di efficacia (risultati raggiunti) raggiunto dalle prestazioni offerte dalla pubblica amministrazione (performance). Esso tiene altresì conto dell’impatto politico, delle aspettative cioè e dei giudizi dei destinatari dell’azione amministrativa, nonché del contesto politico-istituzionale (STELLA, RIGHETTINI) … va distinto dal ‘rendimento istituzionale’ che attiene alla capacità di una istituzione di rispondere alle sfide poste dall’ambiente al proprio funzionamento, ovvero di fornire soluzioni a bisogni, domande od opportunità insoddisfatte (DENTE)” (pp. 138-139). Di particolare interesse risulta il riferimento alla teoria di Hirschmann che, in materia, propone la possibilità di accrescere il rendimento delle Pubbliche Amministrazioni attraverso i seguenti tre strumenti: “… ‘il decentramento’, grazie al quale si accresce la capacità di controllo del management; ‘la valutazione’, che attraverso l’impiego di varie metodologie (analisi costi/benefici, analisi comparata) consente di misurare gli scostamenti di qualità, di costo e professionalità; ‘la concorrenza’, che accresce il rendimento allorché il cliente ha la possibilità di ricevere da un altro ente l’erogazione dello stesso servizio” (p. 139).
[31] Trattasi di elaborazione teorica di alcuni docenti di Harvard (tra cui M. Porter), formulata inizialmente negli anni ’70: “… strategie in grado di far acquistare all’azienda (pubblica o privata) una posizione di leadership sulla concorrenza nella conquista dei mercati. Tale vantaggio è in genere legato alla capacità dell’azienda stessa di sfruttare un’innovazione: in tal caso essa godrà di una ‘leadership di costo’, poiché l’innovazione le permetterà di divenire il produttore a più basso costo nel settore in cui opera” (p. 139).
[32] Sempre il gruppo di studiosi di cui alla Nota precedente ha elaborato il concetto di “catena del valore” o “value chain”: “… quale metodologia sistematica per esaminare tutte le attività che svolge un’azienda e le rispettive interrelazioni, al fine di valutare dinamicamente se e quanto il vantaggio competitivo venga raggiunto, mantenuto e difeso … Per comprendere il valore pubblico generato … l’analisi della catena del valore può trovare complemento nell’individuazione di ‘drivers’ per le differenti attività o servizi (REBORA, RUFFINI) … Il concetto di driver non coincide quindi con quello di indicatore o di parametro quantitativo espressivo del risultato ottenuto … è un riferimento per la valutazione del servizio” (pp. 140-141).
[33] La definizione di “Corporate Social Responsibility” (CSR) “… viene fornita dalla Commissione Europea quale ‘integrazione, su base volontaria, da parte delle imprese delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate’ (stakeholder) … la pubblica amministrazione è in buona sostanza, chiamata a promuovere presso le imprese il rispetto dei diritti umani, e dei diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente, l’adozione di prassi gestionali improntate alla trasparenza” (p. 142).
[34] “… Si tratta di un documento che integra quello tradizionale soffermandosi, in particolar modo, sugli aspetti di natura qualitativa, focalizzando l’attenzione sul modo attraverso cui viene creato benessere per la collettività. Esso può assumere importanti valenze che fanno riferimento all’ambito della rendicontazione sociale, della comunicazione interna ed esterna ed infine della pianificazione strategica” (p. 143). Di interesse sistemico risulta altresì essere l’operazione di differenziazione fra bilancio sociale delle organizzazioni private e di quelle pubbliche: “… il bilancio sociale [nelle organizzazioni pubbliche] svolge pressappoco le stesse funzioni [di quelle dei bilanci sociali delle organizzazioni private], più una: quella di migliorare la qualità della democrazia di una determinata comunità … mettendo a disposizione del cittadino una serie di informazioni sull’operato … grazie alle quali la sua deliberazione diventa più consapevole e perciò più efficace … [rende] il cittadino informato, e proprio in ragione di una sua più motivata consapevolezza, ad essere partecipe del processo decisionale, a intervenire non solo come soggetto al quale il bilancio sociale viene presentato, ma come protagonista delle scelte e delle decisioni fin dall’inizio, in modo da essere nello stesso tempo destinatario della rendicontazione e partecipe delle attività sottoposte a rendicontazione” (pp. 143-144).
[35] “La decisione riguarda una scelta in presenza di una situazione complessa, nell’ambito della quale l’informazione disponibile va utilizzata al fine di valutare quale delle alternative possibili sia la migliore, relativamente all’obiettivo e allo stadio di informazione di chi deve decidere” (p. 147). L’Autrice propone, quindi, un’analisi delle fasi decisionali: “… analisi dei motivi … individuazione degli obiettivi … individuazione delle alternative … analisi di ogni alternativa …confronto fra le diverse alternative … scelta finale” (pp. 147-148).
[36] “I processi decisionali inclusivi sono quelle scelte di rilevanza pubblica compiute mediante il coinvolgimento di altre amministrazioni, associazioni, soggetti privati o comuni cittadini … Lo sviluppo dei processi decisionali inclusivi … è il sintomo evidente del passaggio da un’amministrazione autoritaria, unica depositaria dell’interesse generale ad un’amministrazione ‘catalitica’, che non prende le decisioni in prima persona, ma cerca di prenderle stimolando la partecipazione, l’iniziativa e la corresponsabilizzazione della società civile (OSBORNE, GAEBLER, BOBBIO)” (pp. 148-149).
[37] “… il piano indica gli obiettivi da raggiungere nel lungo periodo … la fase di pianificazione strategica rappresenta un’operazione prettamente politica”: l’Autrice analizza, poi, nel dettaglio, le singole fasi del processo di pianificazione, alla luce delle più recenti acquisizioni della dottrina e della prassi operativa aziendalistiche (pp. 152-162, cui si rinvia).
[38] “L’attività di programmazione è volta a definire i programmi che sono strumentali al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nella precedente fase di pianificazione. E’ una fase essenzialmente tattica, incentrata sulla scelta delle alternative, avente lo scopo di realizzare il miglior rapporto tra valore dei mezzi impiegati e valore dei beni e servizi prodotti. Nella fase di programmazione si individua un sistema completo di obiettivi specifici, selezionando, per ciascun obiettivo, i programmi che si ritengono efficaci (programmi, cioè, idonei a realizzare gli obiettivi prefissati) ed individuando, fra i programmi efficaci, quelli efficienti (in grado, cioè di essere attuati con il minimo dispendio di energie) … La programmazione è normalmente rapportata al medio periodo (3-5 anni) ed è scorrevole nel senso che ad ogni aggiornamento, annuale, il periodo della programmazione si sposta in avanti di un anno … si assiste al predominio del momento tecnico sul momento politico … essa ha rilevanza endogena, cioè è rivolta verso l’interno dell’amministrazione” (pp. 162-163).
[39] Particolare spazio espositivo è proposto, nel contributo recensito, alla Direttiva Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica del 27.12.2004, dove “… nelle amministrazioni dello Stato il processo di programmazione ha per obiettivo quello di organizzare in modo efficace ed efficiente il complesso delle attività finalizzate a definire l’indirizzo politico e ad attuarlo (‘implementation’ delle politiche pubbliche) mediante atti e comportamenti amministrativi” (p. 165); segue una dettagliata disamina delle fasi – proposte – del processo di programmazione strategica.
[40] “… è un modo nuovo di intendere l’azione manageriale, scaturito da un intenso dibattito e dalla sintesi di diversi contributi dagli anni ’60 (in primis Paul Drucker) ai nostri giorni, diretto a combattere l’immobilismo, l’inefficienza e gli altri aspetti negativi invariabilmente presenti nelle strutture di tipo burocratico, siano esse pubbliche o private … significa che ogni manager imposta la sua azione attraverso l’individuazione d il perseguimento di obiettivi specifici e il più possibile quantificabili tramite indicatori di risultato. Gli obiettivi vengono contrattati con il livello immediatamente superiore e devono essere raggiunti entro un periodo di tempo predeterminato (di regola nel corso dell’anno successivo) … Il livello gerarchico più elevato (… per una Pubblica Amministrazione il vertice politico), attraverso un processo detto appunto di ‘pianificazione strategica’ … contratta ed assegna al livello del ‘management generale’ un primo ordine di obiettivi, detti obiettivi ‘stategici’ … che delineano le linee generali di azione ed indicano le priorità che l’organizzazione intende seguire nel prossimo futuro nei vari ambiti che rientrano nella sua ‘mission’. Alla fine del periodo concordato, l’operato del general management è verificato intermini di stato di conseguimento degli obiettivi strategici tramite l’attività detta appunto di ‘controllo strategico’, affidata in genere ad un ‘ufficio di controllo interno’, di diretta collaborazione … del vertice politico. Il livello del general management … contratta ed assegna a sua volta ai ‘managers’ del livello ‘operativo’ una serie di obiettivi, detti ‘gestionali’, la cui realizzazione combinata conduca al raggiungimento degli obiettivi strategici. L contrario di questi ultimi, gli obiettivi gestionali comportano realizzazioni di carattere operativo e sono pertanto quantitativamente misurabili attraverso ‘indicatori di risultato’. Il processo che si conclude con l’assegnazione degli obiettivi gestionali è definito ‘programmazione gestionale operativa’, poiché comporta una preventiva contrattazione tra i due livelli di management non solo sugli obiettivi e sui loro tempi di realizzazione, ma anche sulle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie a ciascun manager del livello operativo per portare a termine il suo compito” (pp. 150-151): l’Autrice prosegue con un’analisi dei più usati indicatori di risultato e dei più adottati “drivers” (p. 151, cui si rinvia).
[41] "… lo strumento diretto a garantire la legittimità, la regolarità e correttezza dell’azione amministrativa. Esso è svolto da organi già previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti delle pubbliche amministrazioni, e in particolare dagli organi di revisione, ovvero gli uffici di ragioneria, nonché dai servizi ispettivi … compresi is servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato … questo controllo deve essere successivo … non si applicano … le disposizioni che escludono l’obbligo di denuncia alla Corte dei Conti dei fatti produttivi di danno erariale emersi in sede di controllo” (pp. 182-183).
[42] “ … ha lo scopo di verificare l’efficacia, l’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto costi/risultati” (p. 183): l’Autrice esamina, quindi, in generale i principali strumenti del management pubblico (pp. 184-187) ed, in particolare, le novità apportate dai sistemi di contabilità analitica (per centri di costo) e di “reporting” (pp. 187-190).
[43] “… valuta l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti … Tale attività deve supportare quella di programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo ed è svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politico-amministrativo, a cui riferiscono in via riservata … è la sede in cui maggiormente si sviluppa la dialettica politica-gestione” (p 190).
[44] “… o revisione interna consiste in una sistematica attività intesa ad esaminare e riferire alla direzione su tutto quanto concerne l’efficacia e l’efficienza dei meccanismi di controllo interno” (p. 177): il D. Lgs. n. 286 del 1999 ha contribuito, secondo l’Autrice, a diffondere nella Pubblica Amministrazione la “cultura della valutazione”, valorizzando il “concetto aziendalistico” di “sana amministrazione”, strettamente complementare “all’introduzione della distinzione fra indirizzo politico e gestione” (pp. 179-180). Nota ma rimarcabile l’osservazione secondo cui, con la nuova disciplina, “… scompare, altresì, per gli addetti alle strutture che effettuano controllo di gestione, la valutazione dei dirigenti e il controllo strategico, nonché l’obbligo di denuncia alla Corte dei Conti” (p. 182).
[45] “Secondo la definizione proposta dalla norma UNI ISO 8402 la qualità è ‘l’insieme delle proprietà di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite’ … L’approccio alla qualità è articolato in quattro strategie di base: 1) ‘cittadino al primo posto’ … 2) ‘la qualità dell’organizzazione’ … 3) ‘il miglioramento continuo’ … 4) ‘il coinvolgimento delle risorse umane’ “ (pp. 201-203). In argomento, è recentemente intervenuto il Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella P.A., L. Nicolais, con la Direttiva del dicembre 2006 “Per una Pubblica Amministrazione di qualità” (rinvenibile sul sito Internet istituzionale: www.funzionepubblica.gov.it ): “… In altre parole, l’estremo tentativo di un cambio di rotta che neppure le numerose riforme degli anni ’90 sono riuscite a realizzare. In ogni caso l’iniziativa di Nicolais rappresenta la seconda tessera, dopo il varo del disegno di legge di semplificazione, del mosaico per riformare la PA che il Governo Prodi sta disegnando e che si dovrebbe tradurre nelle prossime settimane in ulteriore pacchetto di interventi. Cinque gli obblighi immediati per le strutture centrali e locali, che scattano per effetto della direttiva: prevedere ‘specifici obiettivi di miglioramento delle prestazioni in sede di pianificazione e programmazione’; sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie; ancorare le retribuzioni di risultato dei dirigenti ai risultati effettivamente conseguiti nell’azione per innalzare gli standard qualitativi; coinvolgere nell’operazione i soggetti esterni interessati, a cominciare dalle associazioni di categoria; ricorrere a meccanismi di ‘autovalutazione’. Gli uffici dovranno insomma cominciare a misurare la loro attività e i loro risultati …” (M. Rogari, “Nel piano Nicolais il bonus-risultati ai dirigenti statali”, in Il Sole 24 Ore, 20.12.2006, p. 5).
[46] “La centralità che l’utente progressivamente acquisisce segna il passaggio dal modello della ‘citizenship’, secondo cui l’amministrazione pubblica regola il complesso delle relazioni con i cittadini quasi esclusivamente attraverso la legge, al modello della ‘citizenry’, fondato sull’idea di un’amministrazione che considera i cittadini quale ‘risorsa cruciale per la produzione di regole, sia per il proprio funzionamento interno, sia per il miglioramento della qualità dei servizi (RIGHETTINI)” (p. 200).
[47] “… è una tecnica di gestione dei processi produttivi, utilizzata inizialmente nel settore industriale e, poi, diffusasi nel campo di servizi. Essa è caratterizzata dal ricorso continuo a strumenti che consentono la misurazione e valutazione: degli elementi costitutivi dei prodotti e dei servizi; dei giudizi espressi dai destinatari dei prodotti e dei servizi. La metodologia … nasce negli inizi del ventesimo secolo, diffondendosi prima negli Stati Uniti e poi in Europa; il suo obiettivo è quello di superare definitivamente l’approccio ispettivo al controllo, proponendo l’adozione di tecniche di misurazione delle performance e la classificazione dei difetti in base alla loro gravità … la qualità può, quindi, considerarsi la somma tra: ‘qualità erogata’, che considera dal punto di vista tecnico ciò che il cliente/utente riceve; ‘qualità percepita’ che considera gli aspetti che l’utente ritiene utili per una valutazione del servizio” (pp. 204-205)
[48] “… è la traduzione del termine inglese ‘company wide quality control’, che significa letteralmente ‘controllo di qualità su tutta l’impresa’. La considerazione base è la seguente: la qualità del prodotto (bene o servizio) come punto focale di ogni organizzazione è impossibile da raggiungere se non vi è qualità nei processi che ad esso sottostanno. A sua volta, la qualità dei processi non può essere attuata senza una organizzazione appropriata, retta da una adeguata leadership e dalla convinta partecipazione dei dipendenti. ‘Prodotto’, ‘processo’, ‘organizzazione’, ‘leadership’ e ‘partecipazione’ sono i cinque pilastri della qualità totale … un processo di miglioramento continuo (‘kaizen’, secondo il termine giapponese)” (pp. 206-207).
[49] “… gruppi di lavoratori appartenenti allo stesso settore produttivo che su base spontanea si trovano periodicamente per analizzare i problemi aziendali e proporre delle soluzioni … c’è da dire peraltro che, rispetto all’esperienza giapponese, i circoli di qualità non hanno molto attecchito in Europa e in America. La cultura occidentale è certo più individualista e le forme di rappresentanza delle maestranze sono assai differenti, tali da non permettere spesso l’inserimento di una terza struttura fra gerarchia aziendale e organizzazione sindacale” (p. 209).
[50] “… è una tecnica di misurazione della qualità basata sul confronto fra processi/servizi del proprio ente con quelle dell’ente migliore operante nel medesimo settore” (pp. 209-210). L’Autrice prosegue con la distinta esplicitazione delle varie tipologie e dei processi metodologici di “benchmarking”.
[51] Introducendo l’affermazione progressiva, anche in Italia, del “principio di partecipazione” rispetto al monopolio dei servizi pubblici, l’Autrice affronta diffusamente il tema del controllo di qualità nei servizi pubblici, anche avvalendosi del prezioso ausilio delle teoriche di A. Hirschman (le note: “Exit, Voice and Loyalty”). Conclude l’approfondimento un’interessante analisi, anche comparata, delle Carte dei Servizi Pubblici (pp. 211-219).
[52] “I ‘Sistemi di gestione per la qualità’ sono oggi disciplinati da norme emanate da appositi organismi dell’ISO (International Standardization Organization). Per lo sviluppo e la revisione delle norme ISO 9000, opera a livello internazionale il comitato tecnico ISO/TC176 ‘Quality management and quality assurance’ … Ai lavori di questo Comitato partecipano oltre sessanta paesi, attraverso i rispettivi organismi nazionali di normazione. Per l’Italia partecipa l’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), con la sua Commissione tecnica ‘Qualità ed affidabilità’. A livello di Unione Europea opera inoltre il CEN (Comitato Europeo di Normazione). Vision 2000 è il programma decennale di revisione e miglioramento delle norme ISO 9000 del Comitato tecnico ISO/TC176 dell’ISO, che ha dato luogo alle edizioni 1994 e 2000 … Le norme ISO 9000:2000 affermano che ‘il successo nella conduzione di un’azienda o di un’organizzazione in genere può dipendere dall’attuazione di uno o più sistemi di gestione. Questi dovrebbero essere progettati per raggiungere gli obiettivi e migliorare con continuità le prestazioni, in modo da soddisfare le mutevoli esigenze ed aspettative dei clienti e delle altre parti interessate’ (tra le quali vengono espressamente menzionati i dipendenti, la proprietà, i fornitori e la stessa collettività). Pertanto, oggi la stessa scelta della struttura da dare ad una qualsiasi organizzazione non può più essere considerata come totalmente discrezionale o arbitraria, ma si deve piuttosto muovere entro un ambito ben delimitato di opzioni. Se, infatti, si desiderano possedere i requisiti previsti dalle norme internazionali sulla qualità, e ben poche organizzazioni pubbliche o private, già nel presente ed a maggior ragione nel prossimo futuro, potranno permettersi di farne a meno, ci si deve conformare, anche nella progettazione delle organizzazioni, ai criteri ed ai principi indicati dalle norme ISO 9000. LA ‘International Standardization Organization’, come espressamente affermato da Giuseppe Bonazzi [un noto studioso italiano di teoria delle organizzazioni], costituisce oggi un vero e proprio ‘campo organizzativo’, ossia ‘un’area riconosciuta di vita istituzionale che svolge un’ininterrotta azione di normazione e di controllo sull’attività di altri enti’. E le sue norme delineano in modo abbastanza preciso un ‘modello isomorfico’ di riferimento, che recepisce un sistema integrato di assunti proposti da diversi approcci di successo del pensiero organizzativo (sistemico, motivazionista, neostrutturalista, Total Quality Management, BPR e Organizzazione per Processi, ecc.), tutti ampiamente sperimentati e verificati attraverso l’esperienza concreta nel corso degli anni e pertanto, convalidati dal concorde giudizio dei massimi esperti a livello mondiale. La norma UNI EN ISO 9000:2000, nel punto 0.2 stabilisce che, ai fini del conseguimento degli obiettivi per la qualità, le organizzazioni devono conformarsi ad otto principi di gestione: 1) ‘Orientamento al cliente’. ‘Le organizzazioni dipendono dai propri clienti e dovrebbero pertanto capire le loro esigenze presenti e future, soddisfare i loro requisiti e mirare a superare le loro stesse aspettative’ … 2) ‘Leadership’. ‘I capi stabiliscono unità d’intenti e di indirizzo dell’organizzazione. Essi dovrebbero creare e mantenere un ambiente interno che coinvolga pienamente il personale nel perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione’ … 3) ‘Coinvolgimento del personale’. ‘Le persone a tutti i livelli costituiscono l’essenza dell’organizzazione ed il loro pieno coinvolgimento permette di porre le loro capacità al servizio dell’organizzazione’ … 4) ‘Approccio per processi’. ‘Un risultato desiderato si ottiene con maggiore efficienza quando le relative attività e risorse sono gestite come un processo’ … 5) ‘Approccio sistemico alla gestione’. ‘Identificare, capire e gestire, come fossero un sistema, processi tra loro correlati contribuisce all’efficacia ed all’efficienza dell’organizzazione nel conseguire i propri obiettivi’ … 6) ‘Miglioramento continuo’. Il miglioramento continuo delle prestazioni complessive dovrebbe essere un obiettivo permanente dell’organizzazione …7) Decisioni basate su dati di fatto’. ‘Le decisioni efficaci si basano sull’analisi di dati ed informazioni’ … 8) ‘Rapporti di reciproco beneficio coi fornitori’. ‘Un’organizzazione ed i suoi fornitori sono interdipendenti ed un rapporto di reciproco beneficio migliora, per entrambi, la capacità di creare valore’ … Si può concludere che immaginare oggi di intraprendere qualsiasi forma di intervento sulle organizzazioni al di fuori del ‘campo organizzativo’ costituito dai principi di gestione conenuti nelle norme ISO 9000, che riflettono la sintesi degli attuali saperi e degli apporti integrati di diversi paradigmi e discipline operata a livello internazionale, appare assolutamente insostenibile, anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere di poter fare a meno di richiedere formalmente le certificazioni di qualità … Ciò in quanto i diversi approcci scientifici allo studio delle organizzazioni succedutisi e affermatisi nell’arco degli ultimi decenni hanno consentito di pervenire ad una serie di scoperte e di conoscenze ampiamente dimostrate e consolidate, certamente ancora perfettibili e soggette ad ulteriori verifiche ed evoluzioni nel futuro, ma di cui, allo stato attuale, non si può assolutamente non tener conto in modo rigoroso nella progettazione dell’innovazione e del cambiamento in qualunque organizzazione pubblica o privata” (pp. 219-225).
[53] “… ormai [è] una dimensione di fondamentale importanza nell’agire istituzionale. In particolare, la comunicazione come obbligo generale dell’amministrazione è un’esigenza che scaturisce dal nuovo ordine, non più gerarchico ma funzionale, tracciato in prima battuta dalle leggi Bassanini, che collega ed unisce i diversi livelli di governo e le rispettive amministrazioni in una dimensione paritaria e partecipata. Il nuovo modello dunque assume la comunicazione quale risorsa strategica, in grado di mobilitare le risorse necessarie per dare effettività ai diritti dei cittadini e rispondere ai loro bisogni … Per comunicazione pubblica si intende ogni attività rivolta a fornire messaggi ed informazioni da amministrazioni pubbliche o altri enti erogatori di servizi pubblici agli utenti dei servizi … Nei processi di trasformazione che hanno investito l’intero settore pubblico, si è evidenziato il passaggio da una fase in cui lo Stato non comunicava, ma tutt’al più ‘informava’ gli amministrati con messaggi unidirezionali, ad una fase in cui, in conseguenza di una crescente democratizzazione del paese, il problema della comunicazione fra poteri pubblici e cittadini si è affermato in maniera preponderante” (pp. 228-231). L’Autrice prosegue sul tema compiendo una approfondita analisi della L. n. 241 del 1990 (e succ. mod. ed intgr., quali, ad esempio, la L. n. 15 del 2005) e della L. n. 150 del 2000.
[54] “Si tratta di un processo complesso di comunicazione, utilizzata per la diffusione di informazioni, comunicati, dati, compiti all’interno di un’organizzazione, perché destinata al pubblico interno, sia dipendente sia collaboratori … Essa, se gestita in maniera sistematica costituisce ‘la vera chiave di volta dei cambiamenti organizzativi e gestionali dell’amministrazione … perché rafforza il senso di appartenenza dei dipendenti e stimola gli apporti costruttivi alla realizzazione dei programmi’ … Sotto il profilo operativo le modalità per promuovere la comunicazione interna possono essere di tipo: ‘top-down’ … ‘bottom-up’ … ‘a rete’ … Fra i vari strumenti di comunicazione interna (bacheche, affissioni, lettere) è privilegiato l’uso della posta elettronica …” (pp. 250-251).
[55] “… con il termine di ‘marketing’ territoriale si intende l’insieme degli strumenti per la promozione del ‘prodotto territorio attraverso una comunicazione capace di valorizzarne le potenzialità di sviluppo, le caratteristiche socio-economiche e ambientali … Diventa cioè indispensabile un approccio aziendalista dei sistemi territoriali, considerati alla tregua di imprese integrate” (p. 252).
[56] “… si intende l’impiego di soluzioni informatiche nello svolgimento dell’attività amministrativa al fine di garantire, per effetto di una più agevole circolazione delle informazioni tra apparati pubblici, tempestive risposte ai cittadini’ …Il modello ruota intorno ai seguenti elementi chiave: erogazione di servizi … riconoscimento digitale … canali di accesso … enti eroganti … interoperabilità e cooperazione … infrastruttura di comunicazione” (pp. 253-254). Di particolare interesse risulta l’analisi della Direttiva 27 luglio 2005 del Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie sulla c.d. “strategia multicanale”: “Nella direttiva si specifica che la locuzione di ‘servizi on line’ ricomprende i servizi non mediati dallo sportello a cui è possibile accedere in modalità remota tramite i seguenti canali: web, chioschi telematici, tv digitale, call center, telefoni cellulari” (p. 254). In relazione alle modalità di interazione – come affermato nel Documento della Presidenza del Consiglio Europeo di Nizza del novembre 2000 – i servizi on line sono classificati su quattro livelli: “… cioè vanno dalla disponibilità on-line di informazioni alla possibilità di scaricare la modulistica, alla possibilità di attivare un procedimento, allo svolgimento dell’intera transazione on-line” (p. 254).
[57] “Con tale termine si fa riferimento ad un complesso insieme di tecnologie, procedure, operazioni e modalità organizzative che, attraverso l’utilizzazione di internet e del mercato elettronico, permettono l’acquisto di beni e servizi on-line …uno strumento essenziale per ridurre la spesa per la fornitura di beni e servizi poiché rende le procedure di acquisto snelle, rapide e trasparenti … Rimane ferma la possibilità per le amministrazioni di effettuare gli approvvigionamenti di beni e servizi con le tradizionali procedure di scelta del contraente anche utilizzando, a supporto del procedimento, sistemi elettronici e telematici secondo le disposizioni della normativa vigente” (pp. 261-263).
[58] D. Lgs. n. 82 del 2005: “… Secondo quanto espresso dal Consiglio di Stato nel Parere 11995/04 nell’Adunanza Plenaria del 7 febbraio 2005 con il Codice è stato raccolto ‘per la prima volta in modo organico il tema dell’utilizzo delle ‘tecnologie dell’informazione e della comunicazione (cd. ICT)’ nelle pubbliche amministrazioni, nonché della disciplina dei fondamentali principi applicabili al documento informatico e alla firma digitale” (pp. 256-257).
[59] “… a) Diritto all’uso delle tecnologie (art. 3) … b) Diritto alla partecipazione al procedimento informatico e all’accesso (art. 4) … c) Diritto di effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (art. 5) … d) Diritto all’utilizzo della posta elettronica certificata (art. 6) … d) Diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7) … f) Diritto alla partecipazione (art. 9) … g) Diritto a trovare on-line tutti i modelli e i formulari validi ed aggiornati (art. 57) …” (257-259). L’Autrice prosegue dettagliatamente esaminando gli strumenti della P.A. digitale, quali la posta elettronica certificata, la firma digitale, i documenti informatici ed il protocollo elettronico, i siti Internet della P.A. e le carte elettroniche (pp. 259-261, cui si rinvia).
[60] “La contabilità direzionale costituisce il sistema di raccolta, rielaborazione ed esposizione delle informazioni, in certi casi già precedentemente elaborate dalla contabilità generale, necessarie per la gestione dell’azienda [comprese,  quindi, le aziende pubbliche composte]. L’utilità della contabilità direzionale nei confronti della gestione è soprattutto rivolta alla programmazione e al controllo della gestione. Gli strumenti di cui si avvale … sono la contabilità analitica, il budget l’attività di reporting”(pp. 265-266).
[61] “La contabilità generale viene considerata come ‘un sistema di registrazioni o rilevazioni quantitative attraverso il quale si determinano il risultato economico d’esercizio, l’entità e la composizione del capitale di bilancio’ … Le informazioni prodotte dalla contabilità generale non sono sufficienti a guidare gli organi d’impresa [o d’azienda pubblica composta] nei processi decisionali e nel controllo della gestione per difetto di analiticità e tempestività. La contabilità generale rileva risultati riferiti all’azienda nella sua globalità, piuttosto che parti dell’azienda o combinazioni produttive particolari (reparti, prodotti, processi ecc.). Inoltre, essa considera solo le operazioni già avvenute. Nella sostanza la contabilità generale risponde ad obiettivi di informazione prevalentemente esterna e, solo secondariamente, di informazione interna” (p. 266).
[62] “La contabilità analitica o industriale o dei costi rileva costi, ricavi e margini di particolari oggetti (prodotti, linee di prodotto, centri di costo, sezioni di attività) individuabili all’interno del sistema aziendale. Essa consente di elaborare sia dati riferiti alla gestione passata sia informazioni aventi carattere revisionale. La contabilità analitica è una tecnica amministrativa riguardante la predeterminazione, la rilevazione, l’imputazione, il raggruppamento, il controllo, l’analisi dei costi e dei ricavi di gestione. La contabilità analitica può essere, quindi, intesa come uno strumento per la direzione; essa, infatti, ha lo scopo di determinare il costo di tutte quelle variabili aziendali tipicamente interne, come ad esempio i prodotti, le lavorazioni, i centri, le attività, i processi ecc.” (p. 266).
[63] “… metodologie che permettano di travasare nella contabilità analitica le informazioni relative ai costi e ai ricavi rilevate originariamente dalla contabilità generale … [il] sistema duplice contabile … risulta quello maggiormente utilizzato nella pratica” (pp. 281-282).
[64] “Fra i sistemi della contabilità per direzione (management accounting) il più diffuso è il budget, strumento relativamente facile da costruire, ma complesso nelle sue dimensioni funzionali, spaziando dagli aspetti direttamente contabili a quelli del controllo direzionale, agli aspetti organizzativi che la sua adozione implica o induce nell’organizzazione. Il termine ‘budget’ deriva dall’antico francese ‘bougette’ che, a sua volta, si ricollega al latino ‘bulga’. Indica la bisaccia di cuoio contenente i conti e i documenti di bilancio pubblico che in Inghilterra il Cancelliere dello Scacchiere leggeva alla Camera dei Comuni. Il budget conosce la sua prima diffusione negli anni ’20 nell’ambito delle amministrazioni pubbliche americane, poi comincia ad essere utilizzato nelle realtà industriali … Il budget, come sistema di contabilità per costi, è uno strumento di grande utilità per l’attività di direzione in quanto permette di combinare tra loro i principali fattori organizzativi (personale, mezzi, procedure). Le attività tipiche dei sistemi di programmazione e controllo direzionale, cioè la scelta degli obiettivi, la traduzione in direttive operative e la verifica della loro attuazione, trovano nel budget l metodo per il coordinato, efficiente ed efficace impiego delle risorse e per il confronto fra i risultati effettivi e quelli desiderati … il budget non è … una previsione dell’andamento economico-finanziario della gestione, ma un insieme di programmi per obiettivi o, … ‘un programma d’azione’ … non è costruito sulla logica ‘incrementale’ … ma varia al variare dei piani d’azione, cioè degli obiettivi che la gestione si prefigge di raggiungere. Cià spiega perché, in alcune aziende, ha preso piede il metodo ZBB (zero base budget): all’interno di una logica prefigurativa di mercato ogni anno nella costruzione del budget si riparte da zero” (pp. 282-284). L’Autrice prosegue, poi, con una attenta disamina delle diverse tipologie di “budget” (operativo, degli investimenti, finanziario, master budget) e delle principali modalità di costruzione dello stesso.
[65] “L’applicazione degli International Public Sector Accounting Standards (IPSAS), ovvero dei principi contabili internazionali (IAS) adattati al settore pubblico, presume l’abbandono del sistema di contabilità finanziaria (tipico delle pubbliche amministrazioni europee), che si fonda sul principio di cassa, e l’adozione di un sistema di rilevazione dei fatti di gestione basato sul principio della competenza economica … L’obiettivo è la creazione di un linguaggio contabile comune quale strumento per indurre la gestione delle risorse pubbliche al perseguimento di una maggiore trasparenza e in particolare di un più oculato impiego dei mezzi a disposizione … E’ naturale, dunque, che il passaggio agli IPSAS richiedendo un cambiamento netto, presupponga, innanzitutto, un cambiamento radicale di cultura non realizzabile nel breve periodo” (pp. 288-289). Segnalo una tabella di raccordo, contenente – con distinta indicazione di riferimenti – i 20 principi IPSAS e gli IAS correlati.
[66] “Segnale evidente e positivo di questa tensione al rinnovamento è stata l’approvazione del D. Lgs. 29/1993 dove si rinvengono gli elementi portanti del processo riformatore: separazione fra politica ed amministrazione, principio di responsabilità, cultura del risultato, gestione per obiettivi, efficacia, efficienza, controlli, valutazioni. In particolare nell’art. 12 (così come nella successiva direttiva ministeriale 27 gennaio 1994), si individuavano la partecipazione e ‘l’ascolto dei cittadini’ quali strumenti utili e costruttivi per verificare la qualità e l’efficacia dei servizi prestati. Lo stesso decreto è stato in seguito superato dal D. Lgs. n. 286/1999 per la parte afferente alla sistemazione dell’insieme dei controlli, al processo di programmazione, alla valutazione ed al controllo strategico (organicamente costituiti come sistema integrato con il controllo di gestione), alla valutazione dei dirigenti” (pp. 5-6).
[67] “Fra le istituzioni che hanno avuto maggior peso nella diffusione del ‘New Public Management’ va segnalata l’OECD (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) che dall’inizio degli anni ’80 ha focalizzato la propria attenzione sulle tematiche di management pubblico fino all’istituzione di un apposito comitato denominato PUMA (Public Management) che è divenuto la sede preminente per lo svolgimento dell’attività in materia di gestione della cosa pubblica, con l’obiettivo di coadiuvare i Governi dei Paesi membri nei processi di elaborazione e realizzazione di politiche efficaci, responsabili e trasparenti. Il PUMA opera innanzitutto a livello intergovernativo attraverso il Comitato di gestione pubblica, che riunisce i responsabili degli organi centrali di gestione dei Paesi membri con l’obiettivo di definire e realizzare programmi per rafforzare la nuova gestione pubblica, i sistemi di elaborazione delle politiche e la performance delle istituzioni pubbliche. A supporto dell’attività del PUMA dalla fine degli anni ’80 ha operato un’altra organizzazione nell’ambito dell’OECD, orientata ai Paesi dell’Europa dell’Est. L’istituzione si chiama SIGMA ed è gestita in cooperazione con il programma comunitario PHARE. La sua missione consiste nel promuovere il buon governo e migliorare l’efficienza del settore pubblico nei Paesi dell’Europa orientale” (p. 6). A tal proposito, il recensore segnala anche, oltre al ruolo della Banca Mondiale ed al Fondo Monetario Internazionale (fautori di un approccio fortemente manageriale al fenomeno amministrativo: vedasi l’ampia documentazione contenuta nei siti www.worldbank.org e www.imf.org , sub “Public Administration” ), l’attivismo (più “debole”, sotto il profilo manageriale) di un’altra organizzazione internazionale, l’ONU, attraverso la propria struttura “United Nations Online Network in Public Administration and Finance” (UNPAM: www.unpam.org ). 
[68] “La Commissione Barettoni Arleri, che fu istituita successivamente alla presentazione del Rapporto Giannini, si occupò soprattutto di fattibilità legislativa. Nella relazione finale [del Rapporto Giannini] vengono enucleati i fattori di maggiore incidenza sulla difficile attuazione delle leggi e sulla carente copertura finanziaria delle stesse: la copertura amministrativa della legge, intesa quale idoneità degli apparati amministrativi all’applicabilità specifica di quanto dispone la norma; la progettazione legislativa, ossia la tecnica di redazione degli atti normativi-drafting; la fattibilità quale valutazione preventiva degli impatti della norma sui destinatari della stessa e del contesto normativo nel quale si inseriva” (pp. 8-9).
[69] “Cassese denuncia infatti l’inflazione normativa quale causa della complicazione e della lentezza dell’azione amministrativa, rilevando che: più alto è il numero delle norme in vigore più frequente è la richiesta amministrativa di correggerle o aggiornarle, con il rischio di duplicazioni o sovrapposizioni delle stesse; più alto è il numero delle norme, più minuziose le loro prescrizioni, minore è l’autonomia dei corpi politico-amministrativi non centrali (dalle Regioni, ai Comuni, alle Università)” (p. 9).
[70] “Da allora il processo di riforma della struttura amministrativa è stato scolpito da un ciclo legislativo che parte dal biennio 1988-90 (cfr. L. 400/19888 sulla Presidenza del Consiglio; L. 241/1990 sul procedimento amministrativo e diritto di accesso agli atti della P.A.; L. 142/1990 in materia di ordinamento delle autonomie locali), attraversa le iniziative del ’93-94 (D. Lgs. 29/1993 in materia di privatizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e di introduzione del sistema dello spoils system; L. 20/1994 sulla riforma dei controlli amministrativi e contabili della Corte dei Conti), ed è stato pressoché completato dalle leggi e dai provvedimenti delegati del ’97-98, concentrati sui temi del decentramento, del federalismo amministrativo e della semplificazione … Di questi ultimi si rende doveroso menzionare: la L. 59/1997, che, delegando il Governo all’emanazione di decreti legislativi di riordino dell’amministrazione statale, ha gettato non solo le basi per la prima riforma organica dei Ministeri, prevedendone la razionalizzazione e la distribuzione delle competenze, ma ha altresì previsto un esteso conferimento di funzioni amministrative in favore delle autonomie territoriali (cfr. D. Lgs. 112/1998). Inoltre ha introdotto il modello dell’ ‘organizzazione per progetti’: l’art. 12 lett. R) contempla infatti la possibilità di istituire amministrazioni o uffici di missione, finalizzati al conseguimento di uno specifico obiettivo; il D. Lgs. 300/1999 con il quale è stata esercitata la delega finalizzata al riordino dei Ministeri; il D. Lgs. 286/1999, che dispone il riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio con l’intento di rivitalizzare i controlli di risultato e i controlli interni, e che contiene indicazioni di metodo e organizzative per la diffusione della ‘cultura della valutazione’” (pp. 9-10).
[71] In argomento, fra i contributi più recenti, si cfr.: R. D’Amico (a cura di), “L’analisi della pubblica amministrazione. Teorie, concetti e metodi. Vol. I. La pubblica amministrazione e la sua scienza”, Milano 2006; M. Rondanini, “Per un’introduzione non solo giuridica alla Scienza dell’Amministrazione: ‘La pubblica amministrazione e la sua scienza’.  di R. D’Amico. Recensione”, in “Diritto & Diritti”, Rivista giuridica on-line (www.diritto.it ).
[72] In materia di riforme amministrative dell’ultimo ventennio nei Paesi OCSE la letteratura è molto ampia. Fra i più utilizzati dalla dottrina italiana, si cfr.: B. Guy Peters, “La Pubblica Amministrazione”, Bologna 1999 (trad. it.; l’ultima edizione, in inglese, la quinta cioè, è del 2001: Id., “The Politics of Bureaucracy”, London and New York); C. Pollit – G. Buckert, “La riforma del management pubblico”, Milano 2002 (trad. it.; l’ultima edizione, la seconda, in inglese, è del 2004: Id., “Public Management Reform. A Comparative Analysis”, Oxford). Si consulti, altresì, l’ampio materiale rinvenibile nel sito OCSE, sub “Public Administration Reform”: www.oecd.org .
[73] Anche in questo caso, come nella Nota precedente, la dottrina è prodiga di contributi. Per limitarci ad un recente ed interessante lavoro italiano, di carattere analitico e riepilogativo, e con cui il recensore condivide l’idea di una riforma amministrativa italiana – da ormai un quindicennio – in corso “ad alterne vicende”, si cfr.: A. Natalini, “Il tempo delle riforme amministrative”, Bologna 2006. Per una altrettanto recente considerazione di sintesi, cfr.: E. Borgonovi, “Evoluzione delle funzioni delle amministrazioni pubbliche e cultura di management”, in “Azienda Pubblica”, n. 2 del 2006, pp. 189-195.
[74] L’auspicio è che, nella prossima ed auspicabile edizione, possano trovare collocazione anche considerazioni ed approfondimenti più ampi di taglio storico-istituzionale e politologico, proprio come si constata dalla lettura, ad esempio, di opere similari, di “management pubblico” cioè, del mondo anglosassone.
[75] Segnalo positivamente l’uso di: caratteri di differente grandezza in distinti paragrafi; il neretto ed il corsivo; tavole esplicative; paragrafi di approfondimento; glossari; indice analitico-alfabetico.

Rondanini Marco

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento