Ravvedimento operoso: l’attenuante è automatica?

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Il ravvedimento operoso secondo l’art. 73 comma 7, d.P.R. 309/1990 non conduce automaticamente al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 74 comma 7, d.P.R. 309/1990. Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale .

Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n. 5631 del 14-01-2024

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Indice

1. La questione: il ravvedimento operoso


La Corte di Appello di Torino riformava parzialmente una sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato, tra gli altri, alcuni imputati per taluni reati in materia di stupefacenti.
In particolare, i giudici di secondo grado riduceva la pena ad uno degli accusati, alla luce dell’accordo concordato dalle parti ex art. 599-bis cod. proc. pen., ad anni cinque e mesi quattro di reclusione.
Ciò posto, avverso questa decisione veniva proposto ricorso per Cassazione ed uno dei condannati nel giudizio di merito, per il tramite del suo difensore, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al comma 7 degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 quanto all’attenuante della collaborazione atteso che il ricorrente aveva offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e, a suo avviso, la decisione della Corte territoriale erroneamente si era basata sull’utilità del risultato. Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto generico e, in quanto tale, infondato, posto che le due fattispecie rispondono a presupposti diversi.
Difatti, secondo un costante orientamento nomofilattico, il riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta automaticamente anche quello dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non coincidendo i presupposti delle due circostanze, in quanto la prima riguarda l’assicurazione, “ex post”, delle prove dei commessi reati e, ai fini della sua applicazione, è necessario che i dati forniti siano nuovi, oggettivamente utili e costituiscano tutte le conoscenze a disposizione del dichiarante, mentre per la concessione della seconda, è necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato, nel corso della consumazione del reato, sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensì l’attività complessiva del sodalizio criminoso (Sez. 3, n. 23528 del 19/01/2018).
Ebbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, per gli Ermellini, l’unico dato, che il ricorrente valorizzava nel ricorso per entrambe le attenuanti speciali, era l’aver posto a disposizione degli inquirenti tutto il suo patrimonio conoscitivo, obiettivamente utile, non tenendo quindi conto di questo indirizzo interpretativo.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che il ravvedimento operoso secondo l’art. 73 comma 7, d.P.R. 309/1990 non conduce automaticamente al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 74 comma 7, d.P.R. 309/1990.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un precedente orientamento nomofilattico, che il riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta automaticamente anche quello dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non coincidendo i presupposti delle due circostanze, in quanto la prima riguarda l’assicurazione, “ex post”, delle prove dei commessi reati e, ai fini della sua applicazione, è necessario che i dati forniti siano nuovi, oggettivamente utili e costituiscano tutte le conoscenze a disposizione del dichiarante, mentre per la concessione della seconda, è necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato, nel corso della consumazione del reato, sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensì l’attività complessiva del sodalizio criminoso.
E’ dunque sconsigliabile intraprendere una linea difensiva che richieda congiuntamente il riconoscimento di tali circostanze, senza tenere conto della specificità di ciascuna di esse.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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