Promessa di matrimonio: la rottura ingiustificata non legittima al risarcimento dei danni non patrimoniali

Redazione 04/01/12
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di Anna Costagliola

Se il matrimonio salta per colpa di uno dei promessi sposi, perché ci ha ripensato senza un «giusto motivo», questi è tenuto a risarcire i danni alla parte ripudiata prima del fatidico sì. È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza del 2 gennaio 2012, n. 9, con la quale, tuttavia, si esclude il risarcimento anche dei danni morali disposto dalla Corte d’appello nella statuizione impugnata.

A giudizio degli Ermellini, il risarcimento dei danni conseguenti all’ingiustificata rottura della promessa di matrimonio va circoscritto alle spese fatte e alle obbligazioni contratte dal promissario in vista del programmato evento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 81 c.c. Se è indubbia, per la Corte, la inidoneità della promessa di matrimonio a far sorgere un’obbligazione a contrarre matrimonio, la rottura ingiustificata della promessa formale e solenne non può in ogni caso considerarsi comportamento lecito. Il recesso senza giustificato motivo, infatti, configura pur sempre il venir meno alla parola data e all’affidamento ingenerato nel promissario, e dunque un comportamento violativo delle regole di correttezza e di autoresponsabilità che non può considerarsi lecito o giuridicamente irrilevante. Tuttavia, poiché la legge tende a salvaguardare fino alla pronuncia del fatidico «si» la piena ed assoluta libertà di ognuno di contrarre o meno le nozze, il recesso senza giustificato motivo si sottrae all’applicazione dei principi generali in tema di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, così come alla piena responsabilità risarcitoria che consegue a detti principi. Ad evitare, però che il danno subito dal promissario abbandonato rimanga del tutto irrisarcito, viene addossata al recedente ingiustificato non una piena responsabilità per danni ma una obbligazione ex lege a rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio ex art. 81 c.c. (es. ricevimento, partecipazioni, bomboniere, abito da sposa, viaggio di nozze ecc.). Peraltro, l’assenza di qualsivoglia riferimento nel testo della citata disposizione al termine «responsabilità» rende evidente come l’intento perseguito dal legislatore non sia tanto quello di predisporre una forma di punizione per il responsabile della rottura, quanto piuttosto quello di tutelare l’affidamento incolpevole di quella parte che, in vista della celebrazione del matrimonio, abbia in buona fede sostenuto delle spese.

In definitiva, nessun’altra voce di danno patrimoniale, diversa da quelle relative alle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa della promessa, è risarcibile, meno che mai gli eventuali danni non patrimoniali. Come sottolinea la Corte, ammettere la rilevanza degli interessi non patrimoniali, degli affetti e dei diritti della persona del promissario che si lamentano lesi a seguito della rottura della promessa richiederebbe il presupposto imprescindibile dell’assoggettamento della promessa di matrimonio e del suo inadempimento ai principi generali in tema di responsabilità anziché ai soli effetti espressamente previsti dall’art. 81 c.c. Ciò che sembra impensabile ai giudici della Cassazione, giacché l’assoggettamento a un tale regime si tradurrebbe in una forma di pressione indiretta sul promittente nel senso dell’accettazione di un legame non voluto, in dispregio della garanzia di libertà della scelta se contrarre o meno matrimonio.

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