Biancamaria Consales
Così ha ribadito la quinta sezione civile della Suprema Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 2916 del 7 febbraio 2013, sul ricorso presentato da un contribuente avverso un avviso di accertamento concernente IVA.
In particolare, nell’articolazione del proprio ricorso, il ricorrente lamentava la falsa applicazione, nell’assunzione della prova, dell’art. 7, comma 4 del d.lgs. 546/1992, essendosi basata la sentenza impugnata su sommarie informazioni testimoniali ed intercettazioni telefoniche, in violazione sia del predetto art. 7, sia dello stesso 246 c.p.c.
La Corte di cassazione ha ritenuto tale motivo di ricorso infondato.
“Quanto al profilo concernente le sommarie informazioni testimoniali – hanno affermato i giudici – va rilevato che il comma 4 dell’articolo 7 del d.lgs. 546/1996, stabilisce che nel processo tributario non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale. Nella fattispecie in esame non sono state dedotte prove testimoniali, bensì intercettazioni telefoniche e verbali di testimonianze raccolte dalla guardia di finanza”.
In tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza, bensì di mere informazioni acquisite, ex se, di dirimente efficacia probatoria, che non si pongono in contrasto con il citato comma 4, articolo 7.
In particolare, si è precisato che la posizione in questione, in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia della narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio; le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori, invece, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova anche a favore del contribuente.
Quanto, poi, al profilo attinente alle intercettazioni telefoniche, la Corte ha stabilito che il divieto, posto dall’articolo 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a domini processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie.
La regola propria del diritto tributario, applicabile in materia di IVA, è quella desumibile dall’art. 63 del d.P.R. 633/1972, a norma del quale la guardia di finanza, cooperando con l’ufficio, trasmette documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria. E l’autorizzazione è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, non essendo prevista per filtrare l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto.
Ciò posto, un atto legittimamente assunto in sede penale e trasmesso all’amministrazione tributaria giusta il richiamato articolo 63, entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare.
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