Precetto: valido anche se manca l’avvertimento sul sovraindebitamento

Redazione 19/04/16
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Il precetto rimane valido anche se manca l’avviso previsto dall’art 480 c.p.c. sulla possibilità di ricorrere alla procedura di sovraindebitamento.

È quanto recentemente affermato dal Tribunale di Milano il quale ha sconfessato l’orientamento secondo il quale il mancato avviso era causa di nullità.

Come noto, l’art. 13, co. I, lett. a) d.l. 83/ 15 ha novellato l’art. 480, co. 2, c.p.c. introducendo, dopo la previsione per la quale il precetto ” deve contenere a pena di nullità l’indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è atta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge (…)” la seguente disposizione: “Il precetto deve altresì contenere l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore”.

Il legislatore non ha tuttavia espressamente disciplinato le conseguenze della mancanza nel precetto del nuovo avvertimento, lasciando la questione alla valutazione giudiziale.

A parere del giudice meneghino, l’avvertimento in esame non può comportare la nullità del precetto.

Invero, gli “avvertimenti” previsti dalle norme processuali sono tesi a svolgere una funzione fondamentale (nella prospettiva dell’esercizio del diritto di difesa e dell’effettività del contraddittorio) di garanzia, rappresentando al destinatario dell’atto che contiene l’avvertimento l’esistenza di situazioni giuridiche che un soggetto normalmente sfornito di cognizioni tecniche (quale è, di regola, la parte non assistita da un legale) non è in grado di conoscere.

Ferma l’indiscutibile importanza degli avvertimenti, deve peraltro tenersi presente l’esigenza di bilanciare la garanzia del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) con la ragionevole durata dei giudizi (artt. 111 Cost., 6 C.E.D.U.); esigenza che ha indotto la Suprema Corte ad affermare ormai da tempo la necessità di interpretare le norme processuali in una prospettiva funzionale che impone la tendenziale preclusione della rinnovazione di atti non in grado di offrire risultati diversi rispetto a quelli già prodottisi (tra le altre, Cass., 19 maggio 2009, n. 11585).

Attraverso l’avvertimento di cui all’art. 480, co. 2, ultima parte c.p.c., il legislatore ha inteso informare il debitore della esistenza di una procedura (quella disciplinata dalla l. n. 3/12) che, destinata, nelle intenzioni del legislatore, a perseguire obiettivi particolarmente importanti (la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento è, secondo la relazione illustrativa della l. n. 3/12, tesa ad ” evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori, ma, soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato”), ha avuto sino ad oggi applicazioni limitatissime a causa di una mancata, adeguata informazione ai debitori.

Il giudice milanese ha ritenuto che, anche se i precetti non recano l’avvertimento introdotto dal legislatore del 2015, deve tuttavia valutarsi se il debitore ha comunque avuto conoscenza dell’esistenza delle procedure disciplinate dalla l. n. 3/12.

È ovvio che formulando l’opposizione, il debitore dimostra di essere consapevole della facoltà che la legge gli riconosce, per maturare la quale consapevolezza prevedere appunto l’avvertimento.

In altri termini, nonostante la carenza del precetto, se c’è comunque stata l’informazione che il novellato art. 480, co. 2, c.p.c. tende ad assicurare, la dichiarazione di nullità del precetto (cui seguirebbe la notifica di nuovo precetto, questa volta conforme alle previsioni della norma da ultimo citata) si tradurrebbe nell’imposizione al creditore dell’obbligo di rinnovare un atto che non potrebbe avere risultati diversi rispetto a quelli già prodotti.

In conclusione, il giudice ha affermato che avuto riguardo all’art. 156, co. 1, c.p.c., la mancanza dell’avvertimento in esame non è sanzionata espressamente dalla legge (la nullità è infatti prevista – sempre dall’art. 480, co. 2, c.p.c.- per i soli casi di mancata indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, ove eseguita separatamente dal precetto o per la mancata integrale trascrizione del titolo nel precetto ove richiesta per legge); inoltre, (nella prospettiva dell’art. 156, co. 3, c.p.c.) nel caso di specie, è stato comunque raggiunto lo scopo dell’avvertimento.

Trib. Milano, 18.02.2016

Trib. Milano, sent. n. 4347 del 30.03.2016

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