Perdita del rapporto parentale: riconosciuto se non è esclusa la relazione

Il danno da perdita del rapporto parentale è riconosciuto se il convenuto non prova fatti che escludono la normale relazione affettiva.

Allegati

Il danno da perdita del rapporto parentale è riconosciuto ai prossimi congiunti se il convenuto non prova fatti che escludono la normale relazione affettiva. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Tribunale di Bologna -sez. III civ.- sentenza n. 674 del 17-03-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_BOLOGNA_N._674_2025_-_N._R.G._00000226_2022_DEL_13_03_2025_PUBBLICATA_IL_17_03_2025.pdf 4 MB

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Indice

1. I fatti


I figli, la coniuge e i nipoti di un signore deceduto presso un Ospedale locale adivano il tribunale di Bologna chiedendo l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per la morte del proprio congiunto e la sua condanna al risarcimento dei danni subiti iure proprio per la perdita del rapporto parentale nonché quelli subiti dal paziente per la morte (e loro trasmessi per via successoria).
In particolare, gli attori sostenevano che il proprio congiunto si era sottoposto ad n intervento chirurgico di sostituzione valvolare aortica presso l’ospedale convenuto, a seguito della visita cardiologica ove gli era stata diagnosticata una stenosi aortica severa. Dopo un paio di settimane dall’intervento, il paziente veniva dimesso in buona condizioni di salute. Ma dopo una settimana era nuovamente ricoverato presso l’ospedale a causa di un aumento del versamento pericardico e per un nuovo episodio di fibrillazione atriale. Dopo una decina di giorni dalle nuove dimissioni, era costretto nuovamente al ricovero a causa di uno stato febbrile e presso l’ospedale convenuto gli veniva diagnosticata un’endocardite da staphilococcus epidermidis, per la cura della quale i sanitari impostavano una cura antibiotica. Dopo circa tre mesi e mezzo il paziente decedeva per uno scompenso cardiaco.
Gli attori addebitavano la morte del proprio congiunto alla condotta dei sanitari dell’ospedale, che non avevano somministrato una terapia antibiotica dopo le dimissioni a seguito dell’intervento chirurgico e che non avevano correttamente gestito il decorso post-operatorio del paziente.
La struttura sanitaria, invece, contestava la responsabilità dei propri sanitari, chiedendo il rigetto delle domande attore. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

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La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

 

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2. Le valutazioni del Tribunale: la perdita del rapporto parentale


Per quanto riguarda il danno per la perdita del rapporto parentale, il giudice ha ricordato che la natura della responsabilità della struttura sanitaria è qualificabile come extracontrattuale ed è quindi riconducibile allo schema dell’illecito aquiliano: ciò in quanto, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e, dall’altro lato, i parenti non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”.
Conseguentemente, da un punto di vista del riparto dell’onere probatorio, gli attori che agiscono per il risarcimento del danno devono provare il fatto illecito, il danno subito, l’elemento soggettivo della colpa o del dolo in capo al danneggiante e il nesso di causalità tra fatto e danno.
Secondo il Tribunale, però, tale onere probatorio può essere assolto anche per il tramite della CTU medico-legale disposta dal giudice nel corso del giudizio. Infatti, la consulenza tecnica d’ufficio viene ad avere carattere percipiente e diventa essa stessa fonte di prova per l’accertamento dei fatti, dato che le conoscenze necessarie a rilevarli e a comprenderli sono estremamente tecniche.
Per quanto riguarda il danno, il Tribunale ha evidenziato come la morte di un prossimo congiunto, inteso come componente del nucleo familiare di origine (cioè genitore, figlio, fratello) o del nuovo rapporto familiare posto in essere (cioè coniuge, figlio), costituisce lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, quali sono gli affetti e le relazioni solidali interni alla famiglia. Tale lesione comporta un danno non patrimoniale che non può essere dimostrato, se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, con conseguente liquidazione necessariamente equitativa.
A tal proposito, secondo il giudice, l’esistenza stessa del rapporto di parentela deve far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e di norma, connaturale all’essere umano.
Si tratta, però, di una presunzione semplice, con la conseguente possibilità per il convenuto di dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra la vittima ed il superstite.
Pertanto, il giudice è obbligato a riconoscere il danno parentale ai congiunti prossimi della persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito, in assenza di condizioni specificamente dimostrate che escludano la normale relazione affettiva.
Per quanto riguarda, invece, i congiunti meno prossimi (come i nipoti), il nostro ordinamento riconosce ugualmente il diritto al risarcimento del danno per la lesione del rapporto parentale, a condizione che venga provata l’esistenza in concreto di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare deceduto.
Secondo il giudice, nel caso in cui il risarcimento del danno sia invocato dal congiunto non stretto e non convivente, non ci si potrà accontentare della mera lesione oggettiva del rapporto parentale, dovendo invece essere data prova del fatto che, nonostante la mancanza di convivenza, i rapporti tra le parti erano costanti e comunque caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà. Pertanto, il congiunto non prossimo che chiede il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio patito in conseguenza della lesione del rapporto parentale, senza poter usufruire delle semplificazioni probatorie fondate sule massime di comune esperienza (di cui possono invece usufruire i prossimi congiunti).

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che dalla relazione svolta dai CTU è emerso che la struttura sanitaria ha errato nell’esecuzione della sua prestazione, configurando così la colpa nella propria condotta.
In particolare, è possibile muovere due distinti addebiti alla struttura sanitaria: in primo luogo, per aver cagionato nel paziente l’infezione di origine nosocomiale che ha concorso nel determinismo dell’evento letale; in secondo luogo e successivamente, per l’operato colposo nel decorso post-operatorio dei sanitari che, non avendo effettuato le necessarie indagini diagnostiche suggerite dal quadro clinico del paziente, hanno ritardato la diagnosi e la cura dell’infezione in atto, così consentendo al processo infettivo di evolvere fino ad un livello di gravità irrimediabile.
Dette due condotte colpose della struttura sanitaria hanno quindi concorso a determinare l’evento mortale del paziente dovuto ad uno shock da scompenso cardiaco e settico.
Per quanto concerne, invece, il danno subito dagli attori per la perdita del rapporto parentale, la struttura sanitaria non ha dedotto né provato alcun fatto idoneo ad escludere il presunto normale affettivo tra i figli e il padre, né tra la coniuge e detto paziente.
Pertanto, il giudice ha ritenuto di riconoscere detto danno a favore di tali congiunti.
Per quanto riguarda le nipoti, il giudice ha riconosciuto altresì la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto detti attori hanno provato – mediante testimoni – la sussistenza di un rapporto affettivo stabile con il paziente deceduto, caratterizzato da reciproco affetto e solidarietà.  

Avv. Muia’ Pier Paolo

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