È risarcibile il danno per la lesione del rapporto parentale solo se il danno biologico subito dal congiunto è grave. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la lesione del rapporto parentale
Madre e figlia adivano il Tribunale di Napoli nei confronti di un dentista e di un’ortodontista per fare accertare la loro responsabilità per i danni causati alle attrici a seguito di un non corretto intervento odontoiatrico.
In particolare, le attrici sostenevano che nel 2013 la figlia (allora quattordicenne) si era rivolta al dentista per ricevere delle cure odontoiatriche e quest’ultimo le aveva consigliato di effettuare un trattamento ortodontico, affidandola alle cure dell’ortodontista (secondo convenuto nel giudizio). Quest’ultimo sanitario effettuava un primo intervento sull’arcata superiore dentale della paziente e successivamente anche sull’arcata inferiore. Dopo diversi mesi, l’ortodontista montava sull’arcata superiore un arco curvo verso il basso e forniva alla paziente degli elastici di trazione per consentire un miglior posizionamento degli elementi dentari e la chiusura del morso.
Dopo qualche mese da detto ultimo intervento, però, sul volto della paziente si evidenziavano delle alterazioni estetiche e precisamente un allungamento verso il basso del massiccio facciale con totale esposizione della gengiva.
La paziente era quindi costretta, dopo qualche anno, a sottoporsi ad un intervento per eliminare il predetto inestetismo.
In ragione di tali fatti, le attrici formulavano due distinte domande risarcitorie: la paziente per ottenere il risarcimento del danno biologico e della sua componente legata alla lesione della vita di relazione nonché il risarcimento per la violazione del consenso informato; invece l’altra attrice, madre della paziente danneggiata, per ottenere il risarcimento della lesione del rapporto parentale, dovuta al patimento connesso nel veder soffrire la propria figlia per l’inestetismo causato dai due medici.
Si costituivano in giudizio entrambi i medici convenuti, contestando – per quanto qui di interesse – la sussistenza di una propria responsabilità nella causazione dell’evento dannoso. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Preliminarmente, il giudice ha evidenziato che la responsabilità invocata dalle attrici nei confronti dei due medici è inquadrabile all’interno della responsabilità contrattuale.
Infatti, nell’ambito della responsabilità professionale medica, si configurano due diverse fattispecie: la posizione della struttura sanitaria, che è sempre inquadrabile nella responsabilità contrattuale; la posizione del medico, che invece è astrattamente inquadrabile sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale. Nel caso di specie, secondo il giudice, si rientra nella prima ipotesi in quanto i medici sono stati scelti dalla paziente (e quindi si è configurato un rapporto contrattuale tra dette parti).
In ragione del regime contrattuale, il paziente attore deve soltanto provare l’esistenza del contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario astrattamente idoneo a determinare l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di una nuova patologia; mentre il paziente non ha l’onere di provare né la colpa del sanitario convenuto né tanto meno la sua gravità. Spetterà invece al sanitario dedurre e soprattutto provare la mancanza di colpa oppure che la stessa non è grave.
Per quanto concerne i danni invocati dagli attori, il giudice si è soffermato sul danno per la violazione del consenso informato.
A tal proposito, il giudice ha evidenziato che il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.
A tal fine, però, non è idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico; né rileva, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente (la quale, invece, incide soltanto sulle modalità dell’informazione, che deve essere adattata al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone).
Tuttavia, secondo il giudice, non è sufficiente per l’attore – che chiede il risarcimento del danno per violazione del consenso informato – dimostrare che non gli sono state fornite le informazioni con le caratteristiche di cui sopra. Infatti, l’attore deve altresì fornire la prova che la condotta omessa dal sanitario avrebbe evitato l’evento lesivo se il medico l’avesse tenuta: in altri termini, il paziente dovrà provare che egli avrebbe rifiutato l’intervento che ha comportato la lesione della salute, se fosse stato compiutamente informato.
Infine, per quanto riguarda il danno per la lesione del rapporto parentale, invocato dalla madre della paziente, il giudice ha evidenziato come tale tipologia di danno può sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto sono particolarmente gravi.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, i periti nominati dal Tribunale hanno accertato che l’ortodontista ha correttamente eseguito l’iter diagnostico, svolgendo tutti gli esami necessari, ma poi ha errato nella individuazione delle scelte terapeutiche da adottare per risolvere la patologia individuata.
In considerazione di ciò, il giudice ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta posta in essere da detto medico (l’ortodontista) e il danno alla persona subito dalla paziente, sostanziatosi nel periodo di inabilità temporanea della paziente.
Il Tribunale ha poi ritenuto parimenti sussistente il danno alla vita di relazione lamentato dalla paziente attrice. A tal fine, infatti, quest’ultima ha dimostrato attraverso le dichiarazioni dei testimoni di aver subito un peggioramento delle proprie condizioni di esistenza e di relazione, in quanto fortemente a disagio per il suo sorriso. Tale peggioramento e prolungamento della condizione di disagio nella vita di relazione della attrice ha portato il giudice a personalizzare il danno biologico aumentandolo di ben €.5.000.
Per quanto riguarda, invece, il danno per la violazione del consenso informato, il giudice ha ritenuto di rigettare la relativa domanda formulata dalla paziente attrice, in quanto – nonostante dall’istruttoria sia emersa la carenza degli aspetti informativi da parte dei convenuti – l’attrice non ha neanche allegato, né provato, che non si sarebbe sottoposta all’intervento in questione se fosse stata adeguatamente informata dal medico.
Infine, il giudice ha altresì rigettato la domanda formulata dalla madre della paziente danneggiata e finalizzata al risarcimento del danno per la lesione del rapporto parentale.
Secondo il giudice, infatti, nonostante si possa presumere che la madre abbia nutrito profonda tristezza legata alla sofferenza della figlia nel vedere il proprio sorriso modificarsi a seguito dei trattamenti sanitari in questione, non ritiene sussistente un forzoso stravolgimento delle abitudini di vita della suddetta madre. Infatti, detta attrice, pur essendosi adoperata nell’aiutare la figlia per le migliori cure accompagnandola in un iter terapeutico fuori regione, non ha vissuto la necessità di assistere un prossimo congiunto con una forma di disabilità o con gravi patologie (senza contare che la condizione della figlia si è completamente ripristinata a seguito dell’intervento riparatore).
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