Nota a sentenza cass. 21494/2014

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In caso di donazione indiretta effettuata tramite il trasferimento del danaro da padre a figlio, per evitare che il bene acquistato costituisca oggetto della comunione legale, non è sufficiente la dichiarazione resa dal padre e riportata nell’atto notarile di compravendita, con cui lo stesso riferisce che il pagamento del prezzo viene effettuato con danaro somministrato da costui in favore del figlio.

Così si è espressa la Suprema Corte nel caso de quo, in cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza o meno di una donazione indiretta, effettuata tramite l’acquisto di un immobile con danaro del padre, e le relative conseguenze in tema di comunione legale dei beni.

La sentenza emessa dai giudici di legittimità risulta di notevole interesse in quanto conferma e riepiloga una serie di principi -in tema di liberalità indirette- che possiamo considerare oramai consolidati:

a)  allorquando il donante elargisca del danaro al fine di permettere al donatario di procedere con l’acquisto di un determinato bene immobile –e quindi la disposizione sia specificamente finalizzata al suddetto acquisto–, si ha donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 5-08-1992, n. 9282)

b) per la validità delle donazioni indirette di un immobile non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. Ciò in quanto l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (cfr. Cass. civ. Sez. II, 16-03­2004, n. 5333; Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-06-2013, n. 14197).

c)  i beni acquisiti per effetto di una donazione indiretta devono ritenersi ricompresi nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 179 c.c., e più precisamente al comma 1, lettera b), ove è previsto che non costituiscono oggetto della comunione legale e sono beni personali del coniuge quelli acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione. (Cass. civ. Sez. I, 14-12-2000, n. 15778)

d) nella donazione indiretta, in particolare in quella realizzata attraverso l’acquisto del bene da parte di un soggetto con danaro che altro soggetto mette a sua disposizione con spirito di liberalità, l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti che lo pongono in essere, e non è quindi simulato.

Tale negozio produce non soltanto l’effetto diretto che gli è proprio, ma anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario, sicché non trovano applicazione alla donazione indiretta i

limiti di prova testimoniale, in materia di contratti e di simulazione (Cass. civ. Sez. II, 27-2-2004, n. 4015; Cass. civ. Sez. II, 15-01-2003, n. 502).

Ne consegue che, allorquando un soggetto agisca in giudizio per richiedere la divisione di un bene acquistato dal coniuge, è onere della parte convenuta che eccepisca l’esistenza di una donazione indiretta, quello di provare i fatti su cui l’eccezione si fonda, ex art. 2697 c.c.

Orbene, nel caso di specie, la Suprema Corte si è espressa proprio sull’assolvimento dell’onere probatorio della convenuta, la quale sosteneva che l’immobile da questa acquistato in costanza di matrimonio non rientrava nella comunione legale, perché oggetto di un atto di liberalità effettuato da parte del padre.

Al riguardo, i giudici di legittimità hanno ritenuto non sufficiente la dichiarazione resa dal genitore in sede di stipula della compravendita, secondo cui il pagamento del prezzo veniva effettuato con denaro da questi somministrato alla figlia, a titolo di donazione manuale, per consentirle di procedere all’acquisto dell’immobile.

Ciò in quanto il pagamento non era stato effettuato contestualmente alla stipula del rogito, bensì in data precedente; di talchè, la relativa attestazione del notaio –che riportava la dichiarazione del donante– non è munita di fede privilegiata, in quanto relativa a fatti non avvenuti in presenza dello stesso pubblico ufficiale.

Per tale motivo, non essendo state prodotte in sede di giudizio altre fonti di prova, la Corte ha ritenuto che non vi era modo di riscontrare la veridicità estrinseca della dichiarazione resa nell’atto di compravendita, né della rispondenza di questa alle effettive intenzioni delle parti.

Avv. Nicola Guaragnella del Foro di Bari (Studio Legale e Tributario Loconte & Partners)

Avvocato Nicola Guaragnella

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