Nei concorsi che prevedono la correzione informatizzata delle prove mere irregolarità procedurali o organizzative non rappresentano sempre una violazione sostanziale delle regole poste a presidio dell’anonimato e della trasparenza

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Riferimenti normativi: art. 97 della Costituzione, artt. 12 e 14 del D.P.R. n. 487/1994

Con questa recente pronuncia il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ribadisce alcuni principi essenziali in tema di tutela delle regole dell’anonimato e della segretezza nelle procedure concorsuali.

I giudici, in particolare, esaminano il ricorso relativo ad una procedura selettiva caratterizzata dalla somministrazione ai candidati di un questionario a risposta multipla con successiva correzione delle schede di risposta per mezzo di una procedura automatizzata.

Per lo svolgimento delle operazioni concorsuali – compresa l’attività di vigilanza durante la prova scritta d’esame – l’Ente citato in giudizio si è avvalso dell’assistenza di una società esterna specializzata nelle attività in questione, con la quale ha stipulato apposito contratto.

La selezione, come detto, è consistita nella somministrazione ai candidati di un questionario composto da cinquanta quesiti a risposta multipla.

Come solitamente accade nelle selezioni di questo tipo, ai candidati sono state distribuite anche una scheda anagrafica (contenente i dati identificativi di ciascun concorrente: nome, cognome, data e luogo di nascita) e una scheda delle risposte sulla quale riportare le soluzioni ai quesiti ritenute corrette.

L’abbinamento tra ciascun elaborato (scheda delle risposte) ed il suo autore (scheda anagrafica) è stato garantito dalla presenza di un codice a barre (nel caso in questione serigrafato) «che i candidati hanno apposto su ciascuna delle due schede, la seconda delle quali (contenente le risposte al questionario) è stata corretta a mezzo di lettori ottici».

Proprio quest’ultima circostanza e, quindi, l’automatizzazione delle attività di correzione delle schede di risposta – che “esclude ogni margine di discrezionalità valutativa”, rendendo questa attività “radicalmente diversa dalla valutazione di stampo comparativo degli elaborati originali effettuata dalla commissione di concorso” (Consiglio di Stato sez. IV, 15 ottobre 2019, n.7005) – secondo i giudici vale di per sé sola e a priori come garanzia di tutela del principio dell’anonimato nella procedura concorsuale.

Per il collegio, infatti, non integra violazione del suddetto principio la circostanza che i candidati, avendo ricevuto il materiale di concorso «senza alcun plico e senza busta», abbiano «esposto sul banco, ben visibile al personale di sala, una scheda anagrafica compilata con nome, cognome, luogo e data di nascita, nonché codice a barre di abbinamento alla scheda delle risposte»: i giudici, invero, hanno ritenuto che la correzione mediante lettore ottico e il ricorso ai codici a barre (addirittura, come detto, serigrafati nel caso in questione), che hanno permesso l’abbinamento tra scheda anagrafica e scheda delle risposte, abbiano determinato «l’assoluta irrilevanza della lamentata visibilità, sui singoli banchi, delle generalità dei candidati» salvaguardando il principio di anonimato.

Il T.A.R., dunque, evidenzia come il rispetto di tale principio richieda misure organizzative e operative diverse a seconda delle modalità di espletamento della singola procedura concorsuale.

Infatti, mentre in una prova scritta che implica la correzione di elaborati originali da parte della Commissione il principio de quo impone di «salvaguardare a priori ogni possibile riconoscimento del candidato», in una prova con quiz a risposta multipla, con punteggi predeterminati e corretta per mezzo di sistemi automatizzati – quale quella sottoposta all’attenzione del collegio – il rispetto di tale principio deve essere finalizzato semplicemente «a prevenire ogni possibilità di scelta nell’assegnazione dei test ai singoli candidati, nonché ogni possibilità di sostituzione e manipolazione del foglio risposta e dell’esito della correzione automatica».

La differenza tra le due ipotesi è talmente marcata che i giudici arrivano addirittura ad affermare che nel secondo caso (quando ci si trova di fronte ad un “giudizio oggettivo e meccanicamente determinato”) «diventa irrilevante in sé l’identificazione del candidato, che anzi può facilitare le procedure informatizzate»!

Quel che rileva per i giudici, dunque, è sostanzialmente la funzione svolta dalla Commissione di concorso nell’ambito della procedura selettiva: quando ai commissari non sono demandate funzioni valutative in senso stretto, ma attività di semplice sorveglianza prodromiche ad una procedura informatizzata di correzione delle schede di risposta, la mera identificabilità del candidato non integra la violazione del principio dell’anonimato se non ricorrono in concreto «ulteriori indizi tali da potere, anche solo astrattamente, insinuare il dubbio della segretezza della procedura concorsuale» (T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 9 giugno 2016, n.759 pure richiamata nella sentenza in esame).

Le motivazioni

Le motivazioni esaminate spingono a ritenere che, in caso di correzione informatizzata delle prove, mere irregolarità procedurali o organizzative, riconducibili alla casistica in precedenza richiamata, non rappresentano una violazione sostanziale delle regole poste a presidio dell’anonimato e della trasparenza delle operazioni concorsuali e, pertanto, non determinano un vulnus insanabile della procedura preselettiva.

Si tratta di una decisone isolata nel panorama giurisprudenziale e, di conseguenza, solo eventuali future pronunce chiariranno se le argomentazioni fornite dal T.A.R. rappresentano la regola del caso particolare o pongono le basi per un principio generale da considerare nelle procedure concorsuali.

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Maria Cristina Cefaratti

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