I molteplici profili della cittadinanza: una riflessione

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Nelle società occidentali le voci che chiedono di essere ascoltate sono numerose ed eterogenee. Esse invocano un reale cambiamento di mentalità che consenta di superare le abitudini e le tradizioni radicate nella società e di valorizzare il confronto tra diversi. La riflessione sulla nozione di cittadinanza appare, dunque, rilevante proprio al fine di mettere in luce le difficoltà insite in tale concetto che, per tradizione, si esprime quasi esclusivamente in termini di appartenenza territoriale e culturale1.
Per approfondimenti si consiglia: La cittadinanza italiana -Dalla teoria all’applicazione pratica

Indice

1. Il concetto di cittadinanza


Il termine cittadinanza è nato con la nascita delle prime comunità umane stabili. Secondo Marshall esso fornirebbe “la chiave per la comprensione delle dinamiche di una moderna democrazia”, attribuendo diritti e doveri a tutti i ceti sociali emergenti con lo sviluppo della moderna società industriale. Esso indica sostanzialmente l’appartenenza ad una comunità politica e sociale, ma soprattutto, l’insieme dei diritti e dei doveri che vi sono connessi e assume diversi significati anche in relazione all’organizzazione dello Stato2.
Da un punto di vista prettamente giuridico/formale consente di individuare chi è membro della società comune e chi, invece, non lo è, contrapponendo colui che appartiene allo Stato, all’estraneo, quest’ultimo a sua volta distinguibile in “straniero” e “apolide”3. Tale appartenenza non è casuale e spontanea, ma voluta e realizzata dall’ordinamento giuridico positivo che, mediante le sue leggi, attribuisce al soggetto un complesso di diritti e doveri, contribuendo alla formazione della sua identità comunitaria. Se ne ricava un’immagine giuridica di cittadino che appartiene allo Stato con il bagaglio di diritti e doveri ad esso riconosciuti: “non si è definiti cittadini perché si hanno determinati diritti e doveri, ma si hanno determinati diritti e doveri perché si è cittadini”4.
Un’appartenenza partecipativa chiaramente riscontrabile nell’immagine del cittadino delineata dall’art. 3 della Costituzione, che gli attribuisce uno status, consistente nella partecipazione egualitaria alla “vita politica, economica e sociale del Paese”, e anche nella figura di cittadino configurata dagli artt. 48, 49, 50, 51 e 54 della Costituzione che indicano i diritti e i doveri ad esso spettanti.


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2. La cittadinanza quale strumento di unione e di divisione sociale


Se l’attribuzione di tale status comporta il sorgere di un senso di appartenenza ad una comunità stabile, tuttavia, parallelamente determina la contrapposizione dei cittadini ai non cittadini. La cittadinanza, nozione giuridica che unisce, origina anche una divisione asimmetrica del mondo, veicolando l’idea che tutto ciò che rileva si trova dentro la città, mentre al di fuori della stessa c’è il caos, il disordine e l’assenza di valore. E anche il linguaggio, non solo giuridico, conferma questa concezione: tutte le parole, che ruotano intorno alla nozione di cittadinanza, rimandano a concetti quali “città”, “civile”, “civiltà”, “cittadino”. Insomma, parole che lungi dall’indicare una delle tante forme di convivenza sperimentate nel corso della storia dall’umanità, si riferiscono a quella specifica, del vivere civile in città. Oggi, tale funzione bipolare della cittadinanza è accelerata dal massiccio fenomeno migratorio. Gli stranieri che giungono nel nostro Paese sono portatori di diversità e proprio per questo, molto spesso, vengono percepiti come “non-persone”5. Secondo molti autori per contrastare tale contrapposizione cittadino/estraneo sarebbe opportuno e necessario valorizzare un concetto di cittadinanza capace di comporre le conflittualità derivanti dalle molteplici culture a confronto, piuttosto che focalizzare l’attenzione su un’accezione finalizzata, semplicisticamente all’attribuzione automatica e passiva di status.
Cittadinanze variabili ed eterogenee che tengono conto delle caratteristiche individuali di ciascuna persona, preservandone la dignità, la libertà e l’uguaglianza.

3. Cittadinanza: dalle origini all’età moderna


Il significato politico di cittadinanza si fonda sulla partecipazione ai pubblici poteri, distinguendo il cittadino dal suddito. Tale accezione troverebbe la sua più ampia esplicazione solo nelle democrazie, mentre nei sistemi autocratici, gli individui, restando esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica, assumono il ruolo di sudditi6. Infine, la concezione sociologica contrappone il cittadino all’emarginato o all’escluso, opposizione meno rigida rispetto a quella che caratterizza il rapporto cittadino/straniero e cittadino/suddito, esistendo stadi intermedi di inclusione che consentono all’individuo di entrare o uscire facilmente dall’una o dall’altra categoria. Storicamente parlando la nozione di cittadinanza affonda le proprie radici nella cultura greca. Nell’antica Grecia la cittadinanza era un requisito che trovava il suo presupposto nell’esistenza della polis. Infatti, il termine corrispondente a quello di cittadinanza, era politeìa e poteva assumere un duplice significato: uno passivo che indicava legalmente la condizione di appartenenza alla polis, e uno attivo, di carattere sociale, riguardante il contributo di ciascun individuo alla vita della città.
La polis era una vera e propria forma di vita sociale che rendeva liberi gli uomini e permetteva loro di ottenere quel perfezionamento morale il cui raggiungimento superava la fugacità dell’esistenza. Un organismo vitale in cui era molto importante l’integrazione e che promuoveva la solidarietà umana e la parità di diritti, doveri, cultura ed educazione7. Il cittadino ammesso a far parte della comunità politica, all’interno della polis, non poteva rinunciare a tale ruolo, in quanto tale comportamento sarebbe stato contrario alla natura stessa dell’uomo che, come parte di una comunità più vasta, si indentificava con lo Stato. Tutti gli altri soggetti erano, invece, esclusi dalla comunità politica, pur facendo parte del gruppo sociale8.
Diverso il concetto di cittadinanza legato alla civitas romana, espressione di appartenenza alla comunità politica e fonte di particolari prerogative oltre che di doveri contributivi e militari. Dalla cittadinanza romana erano esclusi, gli schiavi, gli apolidi e gli stranieri, in quanto la piena capacità giuridica era attribuita solo a coloro a cui era riconosciuto lo “status civitatis9.
Sarà poi solo la filosofia illuminista e la Rivoluzione francese a riprendere e rivalutare, dopo il Medioevo e l’assolutismo monarchico, questi concetti.
Infatti, con la crisi dello Stato antico e la nascita di aspirazioni universali l’appartenenza che aveva caratterizzato il mondo antico non sembra più indispensabile, iniziando a prevalere l’idea secondo la quale l’uomo non realizza sé stesso e le sue aspirazioni esclusivamente all’interno della comunità politica.
Secondo Claudio De Luca “Fu a partire dalla Rivoluzione francese, con il sorgere di una tipica figura di Stato nazionale e di diritto, con il tramutarsi delle strutture politiche e sociali in forme essenzialmente unitarie sul fondamento dello spirito nazionale, che l’idea della cittadinanza emerge con chiarezza di contorni e divenne oggetto di specifica considerazione sistematica da parte dei legislatori, per cui di leggi vere e proprie sulla cittadinanza non può parlarsi se non a partire da questo periodo”10.
Il cittadino è tale perché appartiene al nuovo Stato rivoluzionario, condividendone gli alti ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Una cittadinanza, quella della Francia rivoluzionaria, “generale”, perché estesa a tutti, e “astratta”, in quanto riconosciuta al di là della appartenenza a ceti o ad altri gruppi sociali. Inoltre, non solo verticale, perché indica il rapporto esistente tra individuo-Stato, ma è anche orizzontale, tesa a definire il rapporto cittadini-cittadino. Una nozione fortemente politica che pone l’accento sul particolare ruolo del cittadino nello Stato, fonte di diritti e doveri, in contrapposizione a quello che era l’ancien régime con i suoi privilegi e vincoli feudali. Gli individui sono tutti uguali in quanto cittadini ed hanno il diritto di essere rappresentati politicamente in una Assemblea Nazionale.
Nella fase odierna, che ha inizio con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, l’affermazione dei diritti diviene, appunto, universale, nel senso che i destinatari non sono più soltanto i cittadini, ma tutti gli uomini. La cittadinanza diventa accezione che abbraccia gli esseri umani in quanto portatori di eguali diritti fondamentali. Nell’età nella quale viviamo, definita da Noberto Bobbio “l’età dei diritti”11, gli esseri umani non sono soltanto titolari di diritti in quanto cittadini di uno Stato, ma anche titolari di diritti fondamentali universalmente indiscutibili, idealmente riconosciuti ed effettivamente protetti. Il soggetto portatore di cittadinanza ha la possibilità di entrare in rapporto con qualsiasi Stato e far valere i propri diritti.
Le Costituzioni moderne riconoscono un valore all’essere umano a prescindere dall’appartenenza alla comunità politica. La dignità umana costituisce, pertanto, il valore politico fondamentale di ogni regime democratico.
Insomma, nell’ambito della filosofia politica odierna la cittadinanza indica il godimento dei diritti civili, politici e sociali, ma anche il godimento dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
Lo studio della cittadinanza, in sintesi, assume particolare rilievo ed è utile dal punto di vista sociale, politico e filosofico, proprio perché le riflessioni che intorno ad essa si sviluppano ci conducono fin dentro il cuore dei problemi connessi alla democrazia e al suo esercizio, permettendoci di valutare non solo il funzionamento delle istituzioni democratiche dal punto di vista della qualità della vita pubblica e privata dei cittadini, ma anche la conflittualità attualmente esistente tra la tutela dei diritti, garantita dallo Stato costituzionale e i processi di globalizzazione che incidono sempre di più sul loro effettivo godimento e sulla possibilità di una loro protezione a livello internazionale.

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Renzo Calvigioni, Tiziana Piola | Maggioli Editore 2019

Note

  1. [1]

    MARINO M., Il mito della cittadinanza. Analisi e problemi in prospettiva pedagogica, 2005.

  2. [2]

    MARINO M., op. ult. cit.

  3. [3]

    MINDUS P., Cittadini e no. Forme e funzioni dell’inclusione e dell’esclusione, Firenze, 2014.

  4. [4]

    MANCINI G., Cittadinanza e ‘Status’ negli antichi e nei moderni, Libreria dell’Università Editrice Pescara, 2000.

  5. [5]

    STARA F., Il confine attraversato etica dell’ospitalità ed esercizio dell’esclusione.

  6. [6]

    CARUSO C., VALENTINI C., Grammatica del costituzionalismo.

  7. [7]

    PUGLIESE CARRATELLI G., Dalla ‘polis’ all’‘urbs’, in AA.VV., Principi e forme della città, Libri Scheiwiller, Milano 1993.

  8. [8]

    Fra le opere monografiche che hanno ad oggetto la cittadinanza v: CORDINI G., Studi giuridici in tema di cittadinanza, Napoli, 1998.

  9. [9]

    GROSSO G., Lezioni di storia del diritto romano, Torino, 1965.

  10. [10]

    DE LUCA C., Educare alla cittadinanza. Quale futuro?, in SPADAFORA G., Verso l’emancipazione. Una pedagogia critica per la democrazia, Roma, 2010.

  11. [11]

    BOBBIO N., L’età dei diritti. Dodici saggi sul tema dei diritti dell’uomo, Einaudi, Torino 1990.

Chiara D’Antuono

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