Cosa occorre ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale, di cui agli artt. 336 e 337 c.p.
(Riferimento normativo: Cod. pen., artt. 336, 337)
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1. La questione
La Corte di Appello di Messina, in parziale riforma di una sentenza con cui il giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato colpevole dei delitti di cui agli artt. 632 e 639-bis (capo 3), 633 e 639-bis (capo 4) e 337 c.p. (capo 5), nonché delle contravvenzioni di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo 1), artt. 44, comma 1, lett. b) e 93, 94, 95 D.P.R. cit. (capo 2), assolveva costui dalla contravvenzione di cui al capo 2) perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in mesi nove di reclusione.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva vizio di motivazione con riguardo al reato di resistenza a pubblico ufficiale, dal momento che, secondo il ricorrente, l’imputato, abbassandosi la mascherina, aveva contravvenuto a una regola di igiene straordinaria, senza prospettare alcuna possibile minaccia di contagio, dichiarando invece di voler rendere nota agli operanti la presenza di una neoformazione in zona orale.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che la Corte territoriale aveva rappresentato le ragioni della piena sussistenza del reato di resistenza a un pubblico ufficiale, consideravano la motivazione ivi addotta non censurabile in sede di legittimità, perché essa perfettamente coerente con il principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità per cui, ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale, di cui agli artt. 336 e 337 c.p., non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l’uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, sì che la pubblica funzione ne risulti impedita o ostacolata (Sez. 6, n. 2104 del 16/12/2021; Sez. 6, n. 49468 del 18/11/2015; Sez. 6, n. 7482 del 03/12/2007; Sez. 1, n. 5757 del 21/11/1986).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa occorre ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale, di cui agli artt. 336 e 337 c.p..
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, ai fini dell’integrazione di questi illeciti penali, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l’uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, sì che la pubblica funzione ne risulti impedita o ostacolata.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare la sussistenza di codeste fattispecie delittuose.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in questa sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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