La mediazione bancaria alla luce della Riforma Cartabia

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Il presente contributo si preoccupa di dare una panoramica dei recentissimi interventi legislativi in materia di mediazione, con particolare riguardo alla mediazione bancaria.

Indice

1. Le recenti modifiche della Riforma Cartabia in mediazione


L’art. 7 del d.lgs. 149 del 2022 (Riforma Cartabia) contiene rilevanti modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 su svariati aspetti: ambito di applicazione, procedimento, effetti, ecc.
La riforma Cartabia sulla mediazione obbligatoria, anzitutto aumenta le materie per le quali la mediazione è necessaria.
La disciplina previgente prevedeva la necessità della mediazione per le seguenti materie: di locazione; di comodato; di affitto di azienda; di diritti reali; di divisioni; di successioni ereditarie; di patti di famiglia; di risarcimento dei danni da responsabilità medica e sanitaria; responsabilità da diffamazione a mezzo stampa; di contratti assicurativi, bancari e finanziari.
La riforma Cartabia a queste materie ha aggiunto le seguenti: associazione in partecipazione; consorzio; franchising; opera; rete; somministrazione; società di persone e subfornitura.
In materia di contratti bancari, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, spetta al creditore opposto esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione pena l’improcedibilità del ricorso e la contestuale revoca del decreto.
La stessa Cassazione a Sezioni Unite ha enunciato il principio di diritto, secondo cui “nella controversia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1bis del d.lgs n. 28 del 2010 i cui giudizi vengono introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che ove essa non si attivi alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato art. 5 comma 1bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo” (cfr. Cass. SS.UU. n. 19596/2020; Trib. Rieti 16.01.2023).
L’art.5, comma 1 bis, del d.lgs. 28 del 4.3.2010 dispone che “colui che intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal d. lgs. 8.10.2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.lgs. 1.9.1993, n. 385, e successive modificazioni, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 187-ter del Codice delle assicurazioni private di cui al d.lgs. 7.9.2005, n. 209, per le materie ivi regolate.”
Il secondo comma dello stesso art. 5, fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, prevede che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, possa disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Come ha chiarito la recente ordinanza della Sez.2, n 22736 del 21.8.2021 la prima ipotesi, quella dell’articolo 5, comma 1 bis, d.lgs. 28/2010, si riferisce alla mediazione obbligatoria nelle materie ivi indicate, che deve essere introdotta prima dell’instaurazione del giudizio, quale condizione di procedibilità dello stesso e la cui mancanza ai fini della declaratoria di improcedibilità deve essere eccepita a pena di decadenza dalla parte o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza; la seconda, disciplinata dall’art. 5, comma 2, d. lgs 28/2010, attiene alla mediazione c.d. delegata, che può essere disposta dal giudice sulla base di una valutazione discrezionale che tiene conto della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento delle parti.

2. L’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per i contratti «bancari e finanziari»


L’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per i contratti «bancari e finanziari» trova la sua disciplina nelle norme sui contratti bancari contenuta nel codice civile e nel testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993), e quella relativa alla contrattualistica ed agli strumenti finanziari disciplinata dal testo unico finanziario (d.lgs. n. 58/1998) e che non si può dunque estendere l’obbligo di mediazione alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, a questo sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all’acquisto o all’utilizzo dello specifico bene coinvolto (Sez. 3, 13.5.2021, n.12883; Sez.3, 22.11.2019, n. 30520).
Analogamente si è ispirata a una lettura restrittiva la pronuncia della Cassazione (Sez.6-1, 20.5.2020, n. 9204) secondo la quale la controversia avente ad oggetto il pagamento di un assegno bancario a persona diversa dall’effettivo beneficiario, non è sottoposta alla mediazione obbligatoria, trattandosi di fattispecie che non rientra nell’ambito dei contratti bancari, perché la convenzione di assegno, se può trovarsi inserita anche nel corpo dei detti contratti, conserva sempre la propria autonomia, rientrando l’assegno nel novero dei servizi di pagamento ai sensi dell’art. 2, lett. g), del d.lgs. n. 11 del 2010, che prescindono dalla natura «bancaria» del soggetto incaricato di prestare il relativo servizio.
Tanto premesso, l’esclusione della tipicità della fideiussione come contratto bancario, regolato come tale dal codice civile o dal Testo unico bancario, porta ad escludere l’obbligatorietà della mediazione ai sensi dell’art.5, comma 1 bis, del d.lgs. 28 del 4.3.2010.
In ogni caso, appare decisivo il rilievo che secondo l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, a cui il Collegio intende assicurare continuità, nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1- bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo (Sez. U, n. 19596 del 18.9.2020, Rv. 658634 – 01; Sez. 3, n. 21 del 8.1.2021, Rv. 660180 – 01). Di conseguenza, quand’anche il provvedimento fosse stato pronunciato ai sensi del comma 1 bis a titolo di imposizione obbligatoria del tentativo di mediazione, e non già ai sensi del comma 2, a titolo di mediazione facoltativa, l’onere di impulso e l’interesse a coltivare la mediazione sarebbe comunque gravato sulla Banca convenuta opposta, attore sostanziale.


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3.  La disciplina dell’Arbitrato bancario finanziario (ABF)


L’art.128 bis Tub stabilisce che:”1. I soggetti di cui all’articolo 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela.
2. Con deliberazione del CICR, su proposta della Banca d’Italia, sono determinati i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Le procedure devono in ogni caso assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela.
3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non pregiudicano per il cliente il ricorso a ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento.
3-bis. La Banca d’Italia, quando riceve un esposto da parte della clientela dei soggetti di cui al comma 1, indica all’esponente la possibilità di adire i sistemi previsti dal presente articolo.”
In buona sostanza, il Tub istituisce l’ABF. L’Arbitro bancario finanziario (d’ora innanzi: ABF) rappresenta, per unanime opinione, il sistema di risoluzione alternativa delle controversie che, nel panorama italiano, ha riscosso e sta riscuotendo il maggior successo applicativo. Dopo aver dato conto dei provvedimenti che ne costituiscono il fondamento normativo, il presente lavoro intende, analizzando la disciplina del suo funzionamento, evidenziare le ragioni di questo successo e segnalare il principale aspetto critico, legato alla funzione, legislativamente assegnatagli, di valutazione del cd. merito creditizio su segnalazione del prefetto.
A dispetto del nomen iuris dell’istituto, l’ABF non costituisce una variante di arbitrato rituale, né di arbitrato irrituale. Esso, benché venga chiamato “Arbitro” presenta dei tratti differenti rispetto all’arbitrato. In particolare non sussiste alcuna volontà delle parti di devolvere la decisione di ogni attuale o futura lite all’ABF. Insomma, non esiste nulla di assimilabile ad un compromesso o ad una clausola compromissoria, poiché vi è, da una parte, la banca che è obbligata per legge ad aderire all’ABF e dall’altra parte, vi è il cliente libero di decidere se avviare o meno il procedimento avanti all’ABF.
L’ABF decide secondo diritto,  ma la decisione è inidonea a definire la lite, dato che resta salva la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero di attivare ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti e interessi.
L’ABF trova il proprio originario fondamento normativo nell’art. 29 l. 28.12.2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), che ha aggiunto in seno al t.u.b. (d.lgs. 1.9.1993, n. 385) l’art. 128 bis (Risoluzione delle controversie), poi a più riprese modificato (cfr. d.lgs. 29.12.2006, n. 303, art. 1, co. 6; d.lgs. 27.1.2010, n. 11, art. 35, co. 10; d.lgs. 13.8.2010, n. 141, art. 1; d.lgs. 15.3.2017, n. 37, art. 1).
In forza della previsione del co. 2 cit., il CICR, con deliberazione 29.7.2008, n. 275, ha stabilito i criteri fondamentali per lo svolgimento delle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie, contestualmente affidando alla Banca d’Italia il compito di curarne l’organizzazione e il funzionamento in concreto.
Di conseguenza, la disciplina di dettaglio dell’ABF è interamente dettata da deliberazioni (di rango regolamentare) della Banca d’Italia, adottate in conformità alle modalità stabilite dal provvedimento (della medesima Banca d’Italia) 24.3.2010 (pubblicato nella G.U. n. 102 del 4.5.2010, Disciplina dell’adozione degli atti di natura normativa o di contenuto generale della Banca d’Italia nell’esercizio delle funzioni di vigilanza bancaria e finanziaria, ai sensi dell’articolo 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262), periodicamente aggiornate sulla base non soltanto dell’evoluzione legislativa, ma anche delle esigenze riscontrate a livello applicativo e pubblicate sui siti Internet dell’ABF e della Banca d’Italia.

4. Il riconoscimento legislativo dell’ABF


Diversi provvedimenti legislativi di rango primario adottati successivamente all’istituzione dell’ABF fanno riferimento ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie previste dall’art. 128 bis:
1) innanzitutto, l’art. 40 d.lgs. 27.1.2010, n. 11 (Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE – PSD – Payment Services Directive), che indica come rimedio stragiudiziale per la clientela dei servizi di pagamento il sistema dell’ABF;
2) l’art. 5, co. 1 (dichiarato illegittimo da C. cost., 6.12.2012, n. 272) e co. 1-bis (inserito dall’art. 84, co. 1, lett. b, d.l. 21.6.2013, n. 69, conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 98, e, da ultimo, modificato dall’art. 11 ter d.l. 24.4.2017, n. 50 conv. con mod. dalla l. 21.6.2017, n. 96), d.lgs. 4.3.2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), che indicano lo svolgimento del procedimento avanti all’ABF come equipollente all’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, ai fini della procedibilità della domanda giudiziale;
3) l’art. 141 octies, co. 1, lett. e), c. cons., inserito dall’art. 1 d.lgs. 6.8.2015, n. 130 (Attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE), che annovera l’ABF tra i metodi extragiudiziali di risoluzione delle controversie da adottare per ottemperare agli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
Tra gli interventi legislativi, peraltro, si segnala l’art. 1, co. 1, lett. b), d.l. 24.3.2012, n. 29, conv. con mod. dalla l. 18.5.2012, n. 62, che ha aggiunto in fondo all’art. 27 bis del d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. con mod. dalla l. 24.3.2012, n. 27, un nuovo co. 1-quinquies, con cui, in modo non del tutto ortodosso, da un lato, è stato espressamente (e direttamente) riconosciuto l’ABF come istituito dai provvedimenti regolamentari ricordati e, dall’altro, gli è stata attribuita, in aggiunta alla funzione di risoluzione stragiudiziale delle controversie per cui era stato istituito, una nuova funzione.
Analiticamente, pertanto, possono essere interessati dal procedimento davanti all’ABF sia le banche, sia gli intermediari iscritti nell’albo ex art. 106 t.u.b., sia i confidi iscritti nell’albo ex art. 112 t.u.b., sia gli istituti di moneta elettronica, sia gli istituti di pagamento, sia la Poste Italiane s.p.a., in relazione all’attività di «bancoposta».
Atteso che non svolgono attività bancaria in senso proprio, non rientrano nell’ambito dell’ABF né gli agenti in attività finanziaria, né i mediatori creditizi, ex artt. 128 quater e 128 sexies t.u.b., i quali si limitano, rispettivamente a promuovere e concludere contratti tra clientela ed intermediari e, a mettere in relazione l’una con gli altri.
Gli intermediari aventi sede in altro Stato membro dell’Unione Europea, che operano in regime di libera prestazione di servizi, possono non aderire all’ABF, a condizione che aderiscano o siano sottoposti a un sistema di composizione stragiudiziale delle controversie straniero che partecipi alla rete Fin.Net. promossa dalla Commissione europea.
Pur essendo tenuti ad aderire all’ABF, gli intermediari finanziari non possono promuovere i procedimenti avanti al medesimo: esclusivamente alla «clientela», infatti, è riconosciuta la cd. legittimazione attiva a sottoporre le proprie pretese nei confronti degli intermediari a questo sistema di risoluzione.
Le norme regolamentari precisano che tra i casi di mera relazione devono essere comprese le trattative precontrattuali, indipendentemente dall’instaurazione, sia pure contestata, di un rapporto contrattuale.
Oltre alle ipotesi di responsabilità precontrattuale, nell’esperienza applicativa la legittimazione a rivolgersi all’ABF è stata altresì riconosciuta in relazione a casi di responsabilità extracontrattuale degli intermediari, come quelli derivanti dall’erronea segnalazione alla cd. Centrale d’allarme interbancaria (CAI) o ad una centrale rischi privata dei nominativi di persone che non avevano alcun rapporto con l’intermediario che aveva proceduto alla segnalazione.
Le Disposizioni precisano ulteriormente che non possono essere conosciute neppure le «questioni relative a beni materiali o a servizi diretti da quelli bancari e finanziari oggetto del contratto tra il cliente e l’intermediario ovvero di contratti ad esso collegati (ad esempio, quelle riguardanti eventuali vizi del bene concesso in leasing o fornito mediante operazioni di credito al consumo; quelle relative alle forniture concesse a crediti commerciali ceduti nell’ambito di operazioni di factoring)».

5. Conclusioni. Una riflessione “storica” dei conflitti bancari


Nella storia della finanza, ma più in generale nella storia, ci sono stati dei momenti in cui un evento negativo si è susseguito a un altro, generando una tremenda concatenazione recessiva. È esattamente quello che accadde a Firenze verso la metà del Trecento, quando fallirono le due più grandi banche dell’Europa di allora, i Peruzzi e i Bardi.
Le due famiglie fiorentine metterono in piedi un sistema bancario che non ha eguali: avevano filiali in tutta Europa, prestavano denaro a mercanti e regnanti, la loro rete finanziaria faceva impallidire il ricordo della Tavola del senese Orlando Bonsignori, che un secolo prima era stata la più importante banca europea. Ma Firenze, negli anni Trenta del Trecento, si trovava coinvolta in un paio di guerre. Fare la guerra era una faccenda costosissima, lo è anche oggi, ma al tempo lo era proporzionalmente di più, perché non esistevano sistemi fiscali raffinati come quelli attuali. Inoltre le guerre erano una faccenda da condottieri, personaggi che si facevano pagare a sproposito (in alcuni casi diventano così ricchi da prendersi il governo di uno stato, come i Malatesta o gli Sforza).
Alla luce di quanto detto, come si sarebbero risolti i conflitti se fosse comparso un mediatore bancario?
Se le banche dell’epoca si fossero rese conto, del lungo e martoriato periodo di conflitti che non avrebbe portato a nulla di buono. In particolare, sarebbe stato utile per le banche collaborare con le imprese e le famiglie per superare questa gravissima crisi, e che non veniva certamente realizzata mettendole in difficoltà, o facendo fallire (o chiudere) le attività, o pignorando i beni a persone che già non possono lavorare da mesi.
Arrivando ai giorni nostri, la situazione sta notevolmente cambiando, anche se rimane lo stato di crisi in cui si trova gran parte della popolazione del nostro paese. Nonostante i periodi di crisi che il nostro paese ha sofferto in passato, adesso le banche si stanno sicuramente rendendo conto che i conflitti con i clienti, non portano a buoni risultati, arrivando a ridurre sensibilmente il loro numero, e addirittura  in un futuro, è possibile che una volta superata questa terribile fase, i clienti potrebbero decidere di ricorrere al credito bancario per riprendere le loro attività o per iniziarne di nuove. L’unica soluzione praticabile alla risoluzione dei conflitti è quella della mediazione, che potrebbe dare (e spesso dà) ottimi risultati se avviata direttamente dalle Banche, senza attendere che la situazione debitoria del cliente sia ormai irrecuperabile.

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Dott. Pietro D’Urso

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