Fideiussioni omnibus “post 2005” e modelli ABI: onere di provare intesa restrittiva di concorrenza

Scarica PDF Stampa Allegati

Esito del procedimento: sentenza di rigetto – fideiussioni omnibus conformi al modello ABI – valore probatorio del provvedimento Banca d’Italia n.55 del 2005 – onere della prova a carico della parte che intende far valere la nullità per fideiussioni successive al 2005.

Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale si pone come strumento pratico utile al Professionista per affrontare le questioni relative all’istituto della fideiussione bancaria: Fideiussioni bancarie nulle dopo le Sezioni Unite n. 41994/2021

Tribunale di Milano – Sez. XIV – Sent. n. 10296 del 20/12/2023

sentenza-Tribunale-di-Milano-sezione-imprese-del-20-12-23-n-10296-1.pdf 91 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

1. Premessa

La sentenza del Tribunale di Milano del 20.12.2023 n. 10296 appare di grande interesse in quanto offre una nuova prospettiva in merito al dibattito sulla sorte delle fideiussioni bancarie omnibus successive al provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 che, come è noto, ha “sanzionato” alcune clausole del noto modello ABI per violazione della normativa sulla concorrenza.  
Il Tribunale meneghino approfondisce, infatti, un orientamento già emerso nella propria giurisprudenza secondo il quale la parte che intenda far valere la nullità di fideiussioni conformi a detto schema ABI ma sottoscritte a distanza di anni dall’istruttoria condotta dall’Autorità antitrust, è onerata di provare, secondo i principi generali, tutti i fatti costitutivi della propria domanda, compresa la persistenza di un’eventuale intesa restrittiva della concorrenza di cui la singola fideiussione sia considerata l’effetto, non potendo giovarsi, all’uopo, del valore probatorio “privilegiato” del citato provvedimento amministrativo in quanto relativo ad una fascia temporale conclusasi nel maggio 2005.

2. Il fatto

La vicenda (giudicata dal Tribunale delle imprese di Milano in un processo ivi riassunto a seguito dell’incompetenza dichiarata dal Tribunale di Venezia, inizialmente adito dal privato) aveva ad oggetto una domanda di un cliente nei confronti di un istituto di credito finalizzata ad una dichiarazione di nullità di una fideiussione omnibus, sottoscritta dal medesimo in data 9.02.2018, in quanto riproduttiva delle clausole del noto schema negoziale emanato dall’ABI, sanzionate dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 perché ritenute espressione di un’intesa restrittiva della concorrenza ex art. 2, comma 2, lett. a), della legge n. 287/1990 e, quindi, “nulla ad ogni effetto” ai sensi dell’art 2, comma 3 della medesima legge: si chiedeva, pertanto, che la nullità di detta intesa venisse estesa anche al contratto cd. “a valle” in quanto costituente sua concreta attuazione.
Il cliente ricordava, infatti, che la Banca d’Italia, nella allora veste di Autorità Antitrust per il settore bancario, aveva condotto un’istruttoria amministrativa all’esito della quale risultava accertato che un rilevante numero di intermediari aveva proceduto ad una adozione generalizzata di alcune clausole nelle fideiussioni omnibus fatte sottoscrivere ai propri clienti, poi formalizzate dall’ABI nel proprio modello di contratto nell’anno 2003, le quali proprio a causa di una tale diffusione uniforme avevano un effetto restrittivo della concorrenza.
Poiché la propria garanzia conteneva tutte le clausole ritenute espressione dell’intesa anticoncorrenziale, e cioè le note clausole cd. di “reviviscenza”, di “sopravvivenza” e di rinuncia ai termini di cui all’art 1957 c.c, ivi riprodotte addirittura con il medesimo testo e con la stessa numerazione del modello, il cliente insisteva per la nullità totale, o in subordine parziale, della fideiussione, avvalendosi della giurisprudenza di legittimità che riconosceva nulli i singoli contratti “a valle” in quanto costituenti effetto e manifestazione dell’intesa vietata.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale si pone come strumento pratico utile al Professionista per affrontare le questioni relative all’istituto della fideiussione bancaria:

FORMATO CARTACEO

Fideiussioni bancarie nulle dopo le Sezioni Unite n. 41994/2021

Aggiornata alla sentenza delle Sezioni Unite n.41994/2021, la seconda edizione del volume si pone quale strumento pratico, articolato in domande e risposte, utile al Professionista per affrontare le questioni relative all’istituto della fideiussione bancaria. In particolare, viene analizzata un’ampia casistica in materia di nullità della fideiussione, ponendo al centro la figura del garante; sono infatti analizzate le diverse modalità di tutela del soggetto “debole”, che si trovi a subire l’invalidità dell’atto fideiussorio. La trattazione sostanziale di casi pratici viene completata dall’analisi degli aspetti procedurali. Monica Mandico Avvocato Patrocinante in Cassazione, Founder di Mandico&Partners. Gestore della Crisi, DPO e advisor di 231/01. Autrice di libri sul diritto bancario e finanziario, sovraindebitamento e GDPR. Presidente del Centro Tutele Consumatori e Imprese. Docente di corsi di formazione accreditati dall’Università e dagli ordini professionali. Componente designato dalla CCIAA di Napoli della Commissione per la Nomina di Esperto Negoziatore.

Monica Mandico | Maggioli Editore 2022

3. La decisione del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano, dopo aver ripercorso il contenuto del provvedimento della Banca d’Italia n.55/2005 e accertato che la fideiussione oggetto di causa riproponeva le clausole giudicate contrastanti con la normativa sulla concorrenza, ne dichiarava comunque la legittimità in quanto la stessa era stata stipulata a distanza di anni dall’emanazione dell’atto amministrativo del 2005, la cui produzione in giudizio non poteva costituire prova idonea della persistenza dell’intesa vietata e, quindi, del presupposto dell’azione di nullità del singolo contratto.
Il Tribunale di Milano così proseguiva: “Pertanto, la vicenda contrattuale dà origine a un giudizio c.d. stand alone, nel quale la parte che intende far valere la nullità, chiamata a dar prova dei fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi – come nelle c.d. follow on actions – dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un  provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, e ciò perché un simile accertamento o manca del tutto o c’è, ma riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica del fideiussore”.
Il Tribunale, pertanto, richiamando anche specifiche sentenze della Corte di legittimità, affermava che la parte che agisce per la nullità di fideiussioni intervenute dopo l’accertamento Antitrust, come nel caso di specie in cui la garanzia era stata stipulata ad oltre 13 anni di distanza, ha l’onere di provare tutti i fatti costitutivi della domanda e quindi anche l’elemento della persistenza dell’intesa “a monte” tra le banche: il provvedimento BI, infatti, e quindi la presunzione dallo stesso ricavabile in merito alla sussistenza di detta intesa vietata, può coprire solo l’arco temporale precedente alla istruttoria conclusa nel maggio del 2005 (cfr. Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810) ovvero, al limite, condotte degli intermediari di poco successive ad essa (cfr. Cassazione n. 13846/2019, che si riferisce ad una fideiussione sottoscritta nel mese di dicembre 2005).
Il fideiussore, nel caso specifico, avrebbe dovuto, quindi, offrire con altri mezzi la prova che nel periodo di sottoscrizione della propria garanzia un rilevante numero di istituti di credito perduravano ancora in una condotta diffusa e coordinata consistente nel sottoporre ai propri clienti modelli uniformi di fideiussione con l’effetto di privare questi ultimi di una libertà effettiva nella scelta del prodotto bancario, attuando così una pratica anticoncorrenziale nel mercato di riferimento.

4. Fideiussioni omnibus e modello ABI: spunti giurisprudenziali su nullità e onere della prova

Come è noto le clausole del modello ABI 2003 che la Banca d’Italia ha ritenuto espressione di un’intesa anticoncorrenziale sono quelle contenute nei relativi articoli 2,6,8, e cioè, rispettivamente, la cd. “clausola di reviviscenza”, a mezzo della quale il fideiussore si impegna a tenere indenne la banca dall’esborso di somme che questa, dopo l’incasso delle stesse, dovesse restituire al debitore principale a seguito di annullamento, revoca o inefficacia dei pagamenti stessi; la clausola sulla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e al beneficio di escussione; la cd. “clausola di sopravvivenza”, secondo la quale la fideiussione garantisce l’obbligo di restituzione delle somme comunque erogate al debitore principale anche se la relativa obbligazione dovesse essere annullata.
Tali norme, secondo la Banca d’Italia, hanno avuto un effetto ingiustamente restrittivo della concorrenza ostacolando la possibilità di diversificazione del prodotto offerto ma tutto ciò solo nella misura in cui sono state oggetto di una diffusione generalizzata da parte delle banche, anche prima della relativa formalizzazione nel modello ABI, che ha comportato la imposizione ai clienti finali di condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale tali da impedire un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti.
Come è noto, la sanzione della “nullità ad ogni effetto” di un’intesa anticoncorrenziale “a monte”, stabilita dall’art. 2 comma 3 L 287/90, comporta secondo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 41994/2021, la nullità “parziale” delle fideiussioni “a valle” stipulate dai clienti finali, ritenute concreta attuazione dell’intesa vietata, e, cioè, la nullità delle sole clausole riproduttive di quelle dello schema ABI, salva la prova che dalle disposizioni del contratto o dalla volontà delle parti si desuma che queste ultime non lo avrebbero stipulato senza la loro presenza, nel qual caso l’invalidità avrebbe dovuto riguardare l’intero negozio giuridico.   
Tuttavia è necessario rilevare che le citate clausole non sono, in sé, contrarie ad alcuna norma imperativa e, pertanto, all’infuori di eventuali legami con un’intesa illecita “a monte” esistente tra le banche, ben potrebbero essere oggetto di un valido accordo tra le parti ed essere, quindi, inserite in singoli atti fideiussori senza determinare violazioni di legge; si pensi, ad esempio, alla deroga al termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c., pattuizione che è certamente da considerarsi legittima, essendo detto articolo espressione di una norma da sempre considerata, appunto, “derogabile”.
Anche la citata sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 41994/2021 riconosce la circostanza secondo la quale tali clausole sarebbero affette da nullità unicamente in quanto, essendo contenute in un alto numero di fideiussioni fatte stipulare dalle Banche ai propri clienti, si dovessero considerare come una concreta “attuazione” dell’intesa vietata dalla normativa antitrust: si veda, al riguardo, tra gli altri paragrafi, il punto 2.10.2.1 della motivazione che afferma: “Si osserva, al riguardo, che le deroghe all’archetipo codicistico sarebbero state lecite, se le condizioni contrattuali censurate non fossero state reiteratamente proposte dalle banche, destinandole ad una pluralità di singoli operatori. In tal modo, la vista connotazione del mercato come mercato libero, non solo per chi svolge l’attività imprenditoriale, ma anche per i consumatori, verrebbe ad essere alterata significativamente. E’ intuitivo, infatti, che proprio la costante reiterazione della deroga al modello codicistico, con l’inserimento di clausole pregiudizievoli per il fideiussore, determina un abbassamento del livello qualitativo delle offerte rinvenibili, erodendo la libera scelta del clienti-contraenti e incidendo negativamente sul mercato”.
In merito alla questione della prova della sussistenza di una intesa illecita “a monte”, la giurisprudenza di legittimità sin dai primi arresti, emessi, peraltro, con riferimento al settore assicurativo (cfr. Cass. 28.05.2014, n. 11904), ha riconosciuto una valenza di “prova privilegiata” ai provvedimenti dell’Autorità amministrativa nell’ambito dei processi intentati dai consumatori o, in genere, dagli utenti finali del mercato.
Una tale efficacia è legata, con ogni evidenza, alla possibilità per la stessa Autorità di condurre all’interno del mercato di riferimento, in un determinato periodo di tempo, una approfondita indagine conoscitiva sullo stato della concorrenza, grazie ai poteri e agli strumenti di cui dispone per legge: una istruttoria di questo tipo, infatti, è senza dubbio in grado di dimostrare, molto meglio di quanto potrebbe fare un privato, la natura dei comportamenti collettivi delle imprese all’interno di quello specifico mercato e in quel determinato arco temporale oggetto di indagine e, allora, è ragionevole che poi ad un simile completo accertamento venga riconosciuta un’efficacia probatoria erga omnes nei giudizi instaurati dagli utenti pregiudicati dalla condotta anticoncorrenziale, siano essi finalizzati al risarcimento del danno o alla sanzione dell’invalidità contrattuale.
Per tornare alla materia delle fideiussioni omnibus, se è vero che le norme del modello ABI “censurate” ai sensi della normativa antitrust non sono nulle in sé ma solo in quanto risultano essere una manifestazione dell’intesa vietata e se è vero che, come riconosce il Tribunale di Milano, anche nella pratica di poco successiva al provvedimento del 2005 in alcuni casi le Banche hanno ancora perdurato, per qualche tempo, nella descritta pratica anti-concorrenziale (cfr. Cass. n. 13846/2019), deve pur ammettersi che il provvedimento BI non può certo essere utilizzato “all’infinito” e quindi anche in relazione a periodi di tempo di gran lunga successivi alla sua emanazione come, ad esempio, nel caso oggetto della sentenza in commento in cui la fideiussione risaliva al febbraio del 2018.
Per il periodo successivo all’istruttoria del 2005, infatti, non esistono indizi utili a ritenere che sia riscontrabile come ancora sussistente una condotta collettiva e concordata da parte degli istituti bancari del tipo di quella a suo tempo sanzionata come anticoncorrenziale, non essendovi stato alcun altro formale accertamento da parte dell’Autorità competente; peraltro, va anche ricordato che la stessa ABI sin dall’anno 2005, e quindi proprio durante l’indagine di Bankitalia, aveva già diffuso un nuovo modello di fideiussione, privo delle clausole “incriminate”, con l’evidente intenzione di diffonderlo presso le proprie banche associate al fine di agevolare un mutamento della descritta pratica collettiva contraria alla normativa.
In quest’ottica, il Tribunale milanese ha ritenuto, pertanto, per il caso di specie, che il cliente avrebbe dovuto offrire con altri mezzi la prova del presupposto costituito dall’intesa vietata per poter poi dimostrare la nullità del proprio contratto “a valle” asseritamente attuativo della stessa; il tutto, secondo gli ordinari principi della ripartizione dell’onere della prova.
La decisione qui illustrata si pone, in realtà, nel solco di altri precedenti dello stesso Tribunale che avevano già ravvisato una chiara interruzione del nesso causale tra l’accertamento amministrativo del 2005 e le fideiussioni bancarie omnibus intervenute successivamente: si veda, ad esempio, oltre alle sentenze n. 294 del 19.01.2022 e n. 846 del 2.02.2023, la decisione n. 5120 del 21.06. 2023, la quale nel giudicare un caso relativo ad una fideiussione stipulata nell’anno 2008 ha affermato, anch’essa, la necessità per l’attore di offrire la prova di tutti gli elementi costitutivi della propria domanda tra cui, in primis, l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale “a monte”:  “Nel presente giudizio, che rientra nello schema delle cause “stand alone”, in assenza di alcun provvedimento di natura sanzionatoria emesso dall’Autorità di vigilanza competente (ora l’AGCM) nei confronti della società opposta o di altro istituto di credito, che abbia accertato l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale in violazione dell’art. 2, comma 2, lettera a) della L. 287/1990, relativa alla formulazione uniforme dei contratti di fideiussione contenenti le tre clausole (art. 2, 6, 8 dello schema uniforme ABI), l’onere probatorio relativo all’esistenza di una intesa illecita all’epoca della stipula del contratto di fideiussione grava sulla parte opponente che ha eccepito la nullità della fideiussione per asserita violazione della normativa antitrust. Nella fattispecie tuttavia l’opponente si è limitata a dedurre in giudizio la pretesa nullità della fideiussione dalla stessa rilasciata il 15.7.2008 in quanto contenente clausole riproduttive dello schema ABI, senza provare l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale finalizzata all’applicazione uniforme delle clausole contestate, intesa che, come si è detto, è elemento costitutivo essenziale ed imprescindibile per poter configurare una violazione dell’art. 2, comma 2, lettera a) L. n.287/1990n. 287/1990 e quindi invocare la nullità del contratto di fideiussione omnibus”.

5. Conclusioni

L’orientamento proposto dal Tribunale di Milano appare condivisibile in quanto ha il pregio di riportare la questione della validità delle garanzie fideiussorie ritenute conformi al modello ABI nell’ambito degli ordinari principi sulla ripartizione dell’onere della prova tra le parti.
E’ evidente, infatti, che un’applicazione ad infinitum della presunzione ricavabile dal provvedimento di Bankitalia n. 55/2005 in merito alla persistenza di un’intesa illecita, e quindi anche per fideiussioni sottoscritte a distanza di anni da esso, comporterebbe la sanzione della nullità per qualsiasi contratto futuro “a valle”, con la inaccettabile conseguenza, però, che detta invalidità non sarebbe originata da una violazione di una specifica norma imperativa, non esistendone alcuna che si opponga alla legittimità delle citate clausole, ma risulterebbe riconducibile in via esclusiva alla pronuncia di un’Autorità amministrativa che in un determinato momento del passato abbia accertato l’esistenza di una intesa illecita tra imprese, risultando il tutto in una istituzione, in via pretoria, di una nuova causa di invalidità contrattuale non prevista dalla legge.
Alla luce di tale assurda conseguenza si deve, invece, convenire con il Tribunale di Milano sul fatto che il provvedimento di Bankitalia è utile a dimostrare la sussistenza dell’intesa vietata soltanto per il periodo della relativa istruttoria ovvero, al limite, per condotte degli intermediari di poco successive ad essa (Cass. n. 13846/2019); al di fuori di un preciso nesso causale tra una intesa anticoncorrenziale e singoli contratti “a valle”, eventuali fideiussioni che contenessero clausole identiche a quelle sanzionate nel 2005 costituirebbero, quindi, solo delle normali garanzie espressione della ordinaria autonomia contrattuale delle parti, del tutto lecite secondo il nostro ordinamento giuridico.

Andrea Terrinoni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento