Litis-pendenza in gradi diversi

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Con sentenza n. 27846 del 12/12/13 le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per cui quando una stessa causa sia stata proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza pende ormai davanti al giudice dell’impugnazione, non potendo aver luogo la sospensione del processo instaurato per secondo.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione aveva infatti sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite sulla questione se sia o meno configurabile la litispendenza ex art. 39, I° comma c.c. laddove due cause identiche, sul piano oggettivo e soggettivo, pendano in gradi diversi.

Il quesito è di notevole spessore. Infatti, la tesi secondo cui la litispendenza, al pari della continenza, non può essere dichiarata fra cause pendenti in gradi diversi di giudizio, esposta per la prima volta dalla Cassazione n. 9645 del 1994, è stata costantemente ripresa dalla Giurisprudenza sino all’attualità.

La precedente tesi, che ha ritenuto sussistente la litispendenza, fonda sul principio del ne bis in idem e sull’esigenza di evitare il contrasto di giudicati.

Quello che però le Sezioni Unite hanno chiarito è, purtroppo, un problema troppo spesso ricorrente anche nella giurisprudenza della Suprema Corte: l’innovativa sentenza della Cassazione n. 9645 del 1994, alla quale si fa risalire l’orientamento oggi consolidato sull’impossibilità di configurare la litispendenza fra cause identiche soggettivamente ed oggettivamente pendenti in gradi diversi, fonda su richiami a sentenze riguardanti la continenza, non la litispendenza.

Ed infatti, nella citata decisione del 1994, dopo aver stabilito il principio sull’impossibilità di configurazione della litispendenza nei casi suddetti, la Corte ha precisato che, nel singolo caso di specie, era sussistente un rapporto di parziale continenza del petitum richiesto dalla medesima parte nelle due cause poste in relazione, una delle quali era poi stata sospesa dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 295 c.p.c.

Le Sezioni Unite hanno quindi rappresentato che il dato letterale dell’art. 39, I° comma c.p.c. non lascia adito a dubbi laddove stabilisce molto nettamente che “Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruoloIn ogni caso, le esigenze alle quali risponde l’istituto della litispendenza, la cui cogenza è manifestata dalla possibilità della relativa dichiarazione, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio successivamente iniziato, non consente di ipotizzare che per il giudice successivamente adito sia rilevante lo stato o il grado in cui si trovi la causa precedentemente iniziata, a differenza, invece, di quanto avviene nelle ipotesi di continenza, nelle quali si esclude univocamente che possa essere dichiarata con riguardo a procedimenti pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi e che si trovino l’uno in fase di gravame, l’altro in primo grado, in considerazione del carattere funzionale della competenza del giudice di secondo grado, da individuarsi inderogabilmente in base al criterio fissato dall’art. 341 cod. proc. civ., nonché delle peculiarità del processo d’impugnazione, circoscritto alle questioni specificamente riproposte e non compatibile con l’inserimento “a posteriori” di problematiche ulteriori“.

Pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che l’identità delle domande proposte in due giudizi diversi impone al giudice successivamente adito la pronuncia, anche d’ufficio, della litispendenza e la cancellazione della causa dal ruolo, ma non consente la sospensione del giudizio successivamente instaurato in attesa della definizione del primo, ove questo sia pendente in appello o in sede di legittimità, ovvero ancora quando siano pendenti i termini per la proposizione della impugnazione.

Invero, proseguono le Sezioni Unite, il rapporto tra le due cause, in quanto identiche, non può giammai operare sul piano della pregiudizialità logico-giuridica.

L’art. 39, primo comma, c.p.c. postula esclusivamente la pendenza della medesima causa dinnanzi a giudici diversi, ponendo a carico del giudice successivamente adito l’obbligo di dichiarare, anche d’ufficio, la litispendenza in qualsiasi stato e grado del processo.

L’obbligo del giudice successivamente adito, dunque, si manifesta sin dall’inizio della causa e permane sino a quando sussista una situazione di pendenza del giudizio previamente iniziato.

Le Sezioni Unite hanno altresì precisato che dato che per l’operatività dell’istituto della litispendenza e per la insorgenza, per il giudice successivamente adito, dell’obbligo di dichiararla, è sufficiente la pendenza del giudizio instaurato per primo, deve conseguentemente statuirsi che anche nel caso in cui l’impugnazione possa ancora essere proposta avverso la sentenza assunta nel giudizio iniziato prima sussista allora una situazione di litispendenza, la quale viene quindi meno solamente con la formazione del giudicato in tale giudizio, ovvero con la declaratoria di estinzione. Analoghe considerazioni possono essere svolte nelle ipotesi in cui il giudizio preventivamente iniziato versi in una situazione di quiescenza, ma sia pur sempre pendente, non essendo decorsi i termini per la sua riattivazione.

Si plaude quindi all’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che, esaminando nel dettaglio il singolo caso concreto che era al vaglio della Cassazione del 1994, che ha stabilito l’opposto principio dell’inoperatività della litispendenza in gradi diversi, ha potuto percepire e comprendere come la pronuncia fondasse invero su richiami concernenti diverso istituto (quello della continenza). Le Sezioni Unite quindi hanno egregiamente esercitato la propria funzione nomofilattica, esaminando la ratio della norma e delineandone la portata, argomentando peraltro su una pluralità d’ipotetiche possibilità applicative, in tal modo favorendo il lavoro degli operatori del diritto.

Andrea Ippoliti

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