Le dichiarazioni della parte offesa non necessitano di riscontri

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Le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. che, come è noto, stabiliscono che le “dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.

Indice:

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza di primo grado con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di truffa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) travisamento della prova relativamente alla ritenuta partecipazione del ricorrente al reato di truffa; 2) apparenza della motivazione in ordine alla credibilità ed attendibilità della persona offesa relativamente al concorso dell’odierno imputato nella truffa contestata.


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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

In particolare, quanto alla prima doglianza, gli Ermellini osservavano la sua natura meramente fattuale in quanto con essa il ricorrente proponeva una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289), rilevandosi al contempo che siffatto motivo, sempre ad avviso del Supremo Consesso, pretendeva di fornire una valutazione parcellizzata delle prove, non considerando le dichiarazioni della vittima e la motivazione della Corte di Appello.

Oltre a ciò, era fatto presente che, relativamente alle dichiarazioni della persona offesa, la Corte di Appello aveva dato atto delle imprecisioni delle stesse, sottolineando però che il nucleo essenziale del suo racconto era risultato essere genuino e riscontrato dalla documentazione in atti, tenuto conto altresì del fatto come il Collegio condividesse nel caso di specie la giurisprudenza della Cassazione secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, fermo restando che, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, il Supremo Consesso si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto mentre costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003).

Orbene, tali contraddizioni, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, non erano rinvenibili nella fattispecie in esame, avendo la Corte territoriale fornito congrua motivazione della attendibilità del racconto della persona offesa, alla luce di quanto sopra osservato.

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi confermato un consolidato orientamento nomofilattico secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. che, come è noto, stabiliscono che le “dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Difatti, in tale pronuncia, è precisato che la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità“, essendo lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto.

E’ dunque sconsigliabile intraprendere una linea difensiva che, al contrario, sostenga la necessità che le dichiarazioni della parte offesa abbisognino di riscontri, essendo ciò contraddetto dall’approdo ermeneutico appena menzionato.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, quindi, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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