La sentenza della CEDU, sez. II, Valle Pierimpiè Azienda agricola Spa c. Italia del 23 settembre 2014 ha il pregio di affrontare argomenti “di nicchia” spesso ignorati dalle riviste giuridiche come gli usi pubblici del mare e la sdemanializzazione, anche

Redazione 13/10/14
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La sentenza della CEDU, sez. II, Valle Pierimpiè Azienda agricola Spa c. Italia del 23 settembre 2014 ha il pregio di affrontare argomenti “di nicchia” spesso ignorati dalle riviste giuridiche come gli usi pubblici del mare e la sdemanializzazione, anche tacita, dei beni appartenenti al demanio marittimo. Si noti che la stessa CEDU ne ha riconosciuto la rilevanza pubblicando un comunicato stampa, relativo alla stessa, nella sua homepage: il testo è solo in francese (infatti le sentenze CEDU sono pubblicate in questa lingua e/o in inglese).

Il caso. È il proseguimento del giudizio definito con una sentenza del 18/06/13, relativa solo a questioni preliminari, che ha decretato la parziale irricevibilità del ricorso. La società ricorrente prende il suo nome dal complesso immobiliare e produttivo che aveva acquistato, con atto notarile registrato, per farne un particolare allevamento ittico. Infatti facevano parte di questo complesso anche le c.d. valli da pesca: “terreni con corpi idrici circoscritti da barriere” siti nella Laguna di Venezia. Sin dal 1989 era stata sottoposta a diversi accertamenti della Guardia di Finanza di Padova che le contestava come esse appartenessero al demanio pubblico (demanio marittimo) e, quindi, l’occupazione abusiva. La proprietà fu sequestrata e la vertenza è incentrata sul fatto che la società ricorrente, pur essendone la legittima proprietaria, non ha ricevuto alcun risarcimento per l’esproprio, anzi ha dovuto versare un indennizzo allo Stato per un’occupazione declarata, a torto,  abusiva dalle Corti italiane. Infatti la decisione è scaturita da una sentenza del Tribunale di Venezia che pose fine, nel 2004, al contenzioso col MEF e col Ministero dei Trasporti e Lavori pubblici iniziato nel 1994: stabilì, sulla scorta di norme del codice della navigazione e disposizioni speciali sulla Laguna di Venezia (L. 366/63 e RD 1853/36), che tali terreni appartenessero al demanio “perché fisicamente si prestavano ad usi pubblici del mare e perché erano fisicamente parte della laguna e del mare con cui comunicavano”. Erano, però, stati ignorati elementi fondamentali: le richiamate leggi non facevano riferimento alle valli, esistevano atti di compravendita ed era accertata la natura di proprietà privata sin dal XV secolo  (altri l’attestano sin dal 1783); c’era una legislazione asburgica ed i relativi catasti che l’attestavano ed un atto del 1866 dello steso Tribunale di Venezia ne decretava la vendita all’asta. I successivi gradi di giudizio hanno confermato questa decisione richiamando anche gli art. 823 ss cc e 9 Cost. “Nelle sue ragioni, la Corte d’appello ha osservato che secondo il regolamento di polizia della laguna (regolamento di polizia lagunare) dal 1841, la laguna di Venezia è stata considerata come parte del demanio dello stato, comprese le valli da pesca. Pertanto non potevano essere oggetto di proprietà privata e non possono essere sfruttate solo in applicazione di un’autorizzazione amministrativa”. Rinviando al testo della sentenza allegata in calce alla nota, si ricordi che, de facto, pur non potendo vagliare il merito delle pronunce interne, la CEDU le ha rovesciate.

La nozione di proprietà ex art. 1 protocollo 1 Cedu. Non è limitata ai soli beni tangibili, ma anche a quelli immateriali come può essere il copyright; non sempre coincide con quella prevista dal diritto interno degli stati che hanno ratificato la Cedu. Infatti, anche se la legge interna prevede particolari casi di revoca del diritto di proprietà, questa nozione continua ad essere valida finchè non essa è avvenuta. Si dovranno, perciò, analizzare le circostanze nel loro complesso per desumere se il richiedente sia o meno detentore di un interesse degno di tutela ai sensi di questo articolo (ex multis cfr. Depalle c. Francia del 29/03/10 e ******* c. Italia del 2000).

Nella fattispecie a cosa è dovuta la lesione dell’art.1? In primis una perizia conferma che le valli non soddisfano i requisiti tipici del mare, tanto più che non si possono praticare gli usi tipici dello stesso a titolo gratuito: nuotare, fare canottaggio, navigare, pescare etc. La Corte rivela che nel nostro caso non c’è stato un errore di fatto e/o di diritto da parte delle autorità giudiziarie italiane, ma tutto ciò è dovuto ad una carenza di armonizzazione delle norme che lo regolano.

Esiste o meno un diritto di proprietà sulle valli? La CEDU rileva come la proprietà si acquisisca non solo con la compravendita, come nella fattispecie, ma anche con l’usucapione. Inoltre in casi analoghi a questo la concessione di una licenza di sfruttamento del demanio pubblico o la presenza di usi civici legati all’agricoltura od alla silvicoltura sono state considerate circostanze degne della tutela ex art.1.

Eccessiva ingerenza dello Stato. Nella fattispecie c’è stata un’illegittima interferenza dello Stato che ha ignorato gli atti che comprovavano la proprietà del bene e che ha creato l’illusione di poter avviare un’attività economica, confidando sulla proprietà del bene che poi, però, in forza delle sentenze interne, è stato espropriato. In questo modo la ricorrente ha perso le risorse impiegate nell’acquisto del bene, nell’avviare l’attività economica, nella perdita dei guadagni che avrebbe potuto ricavarne senza trascurare le spese di giustizia sostenute e per l’indennizzo. In questo caso lo Stato non ha operato un corretto bilanciamento degli interessi, tanto più che le valli, secondo quanto asserito dallo Stato, erano state istituite per preservare l’ambiente e l’ecosistema della zona assoggettandola ad usi pubblici. In breve si è ritenuto che ci sia stata una forte sproporzione tra l’interesse pubblico e quello economico privato: non solo la società ha subito dette perdite finanziare, ma rischia anche il potenziale fallimento stante l’eccessiva difficoltà sia di calcolare l’indennizzo da pagare (oggetto di un separato giudizio civile, in questi specifici casi) allo Stato per l’eventuale occupazione abusiva sia di trovare un altro bacino ittico ove avviare l’allevamento, senza considerare le palesi perdite subite (ex multis ******** c. Italia del 26/04/11 e ******* c. Italia del 20/11/12).

            Convinzione di possedere l’immobile e cessazione della demanialità. Le caratteristiche morfologico- funzionali di queste valli, l’assenza di elementi ricavabili dai pubblici registri che facessero desumere la loro appartenenza al demanio e l’aver pagato regolarmente le relative tasse ha indotto in errore la ricorrente. Sono stati, però ,ignorati anche tutti i documenti che indicavano come questo bene fosse privato ed oggetto di compravendita da secoli: in breve è stata privata di una sua proprietà in forza della legge sull’esproprio, ma senza che ne fossero dimostrati i presupposti e senza che le fosse versato il dovuto indennizzo. Lo Stato ha rifiutato di riconoscerne l’eventuale usucapione. La dottrina, infine, si è spesso interrogata sulla sdemanializzazione dei beni demaniali e soprattutto quelli del demanio marittimo, di per sé inalienabili, imprescrittibili ed inespropriabili (si noti la contraddizione in termini col nostro caso). IL CNN (Commissione sugli studi del CNN, Demanio marittimo: inizio e cessazione della demanialità) ha così concluso un suo breve saggio sul punto: “da quanto esposto discende che è da ritenere ammissibile la sdemanializzazione tacita di beni appartenenti al demanio marittimo, evento che si verifica non per il solo fatto della tolleranza del possesso di privati sul bene, ma per la presenza di comportamenti inequivoci e concludenti dell’amministrazioni incompatibili con la destinazione dei beni ai pubblici usi del mare. La conclusione esposta non risolve certo le possibili difficoltà ravvisabili in primo luogo nelle singole situazioni di fatto: può essere difficoltoso infatti, stabilire se i comportamenti dell’amministrazione siano tali da rendere incontrovertibile il passaggio del bene dalla categoria del demanio a quella del patrimonio indisponibile.

Per questi motivi, va sottolineato che data la posizione oscillante della giurisprudenza, peraltro orientata a negare nella maggior parte dei casi la sdemanializzazione tacita, e date le gravi conseguenze a carico del notaio nel caso in cui rediga una vendita avente ad oggetto un bene demaniale, atto da considerare nullo per impossibilità dell’oggetto quando la situazione concreta non sia facilmente classificabile, e dunque persista il dubbio circa il regime giuridico cui il bene va sottoposto, i soggetti interessati potrebbero attivare il procedimento previsto dall’art.35 cod. nav. al fine di ottenere un esplicito atto di sdemanializzazione”.

È palese che, nel caso in esame, come più volte ripetuto dalla CEDU si ravvisino tutti gli elementi di un’eventuale sdemanializzazione tacita, nonché lo Stato stesso si contraddice espropriando un bene ritenuto del demanio, di per sé inespropriabile.

Risarcimento danni. Non è stata liquidata la somma record richiesta (€.20 mln), bensì quella più “modesta” di €.30.000. La società, infatti, non è stata in grado di documentare e provare gli importi richiesti.

 

Qui è consultabile la sentenza: http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/Pages/search.aspx#{“sort”:[“kpdate Descending”],”documentcollectionid2″:[“JUDGMENTS”,”DECISIONS”],”itemid”:[“001-146415”]}

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