La prevenzione del conflitto di interesse come garanzia di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa. La sentenza del consiglio di stato n. 02069/2022

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Indice

  1. Definizione e riferimenti normativi e giurisprudenziali
  2. Le conseguenze della mancata astensione

Definizione e riferimenti normativi e giurisprudenziali

Come sancito dall’art. 97, comma2 della Costituzione Italiana , “ I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

In osservanza dei surrichiamati principi costituzionali,  l’art.  6-bis della legge n. 241 del 1990 stabilisce che «il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale».

Si configura quindi una situazione di conflitto di interessi ogniqualvolta le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un pubblico funzionario che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico alla cui cura è preposto.

Come precisa l’ANAC nel Piano Nazionale Anticorruzione 2019/2021, si tratta di “una condizione che determina il rischio di comportamenti dannosi per l’amministrazione, a prescindere che ad essa segua o meno una condotta impropria “.

Stesso concetto è richiamato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 22683/2018, dove si evidenzia che: “ciò che rileva è il conflitto che in astratto (potenziale) può verificarsi e che è, di contro, ininfluente che esso si sia nel concreto realizzato, ove si consideri che gli obblighi imposti al pubblico dipendente mirano a garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa e, ad un tempo, a prevenire fenomeni di corruzione”.

Esempi di conflitto di interessi reale e concreto sono contenuti nell’ 7 del D.P.R. n. 62 del 2013, nel quale testualmente il legislatore stabilisce che Il dipendente debba astenersi  “dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza.”

A tali ipotesi si aggiungono quelle di potenziale conflitto che, seppur non tipizzate, potrebbero compromettere l’imparzialità amministrativa o l’immagine stessa del potere pubblico, e per le quali si rende necessaria una valutazione caso per caso; a tal fine, l’ANAC ha suggerito alle PP.AA. di prevedere nel Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza, specifiche procedure di rilevazione e analisi delle situazioni di conflitto di interesse, potenziale o reale, quali ad esempio: l’acquisizione e conservazione delle dichiarazioni di insussistenza di situazioni di conflitto di interessi da parte dei dipendenti al momento dell’assegnazione all’ufficio (art, 6 D.P.R. n. 62/2013), o della nomina a RUP; l’aggiornamento, con cadenza periodica, delle suddette dichiarazioni, ricordando a tutti i dipendenti di comunicare tempestivamente eventuali variazioni nelle dichiarazioni già presentate ecc..

Diventa quindi anche rilevante per l’amministrazione tutelare l’immagine imparziale del potere pubblico, “salvare le apparenze” per evitare che il cittadino “possa ritenere, o minimamente sospettare, che non siano stati rispettati i principi d’imparzialità e di integrità nello svolgimento della funzione. L’amministrazione si legittima con una azione che garantisce una certa immagine, un certo prestigio, conquistando così la fiducia dei cittadini” (Giappichelli).

Una specifica disciplina sul conflitto di interessi è altresì prevista in materia di contratti pubblici dall’art. 42 del d.lgs. n. 50 del 2016: “1. Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici.”

La situazione di conflitto di interessi nell’ambito di affidamenti e gare, tuttavia, come evidenziato dal Consiglio di Stato in diverse pronunce (Consiglio di Stato – V sez. – sentenza n. 7462 del 27-11-2020, Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2020 n. 2863; Cons. Stato, sez. V, 17 aprile 2019, n. 2511), non può sussistere in via astratta, ma deve fondarsi su indizi concreti che dimostrino la sussistenza di un interesse comune tra concorrenti e commissari.

Citando ancora il PNA 2019/2021, “Un’altra ipotesi di conflitto di interessi può presentarsi nei casi in cui il conferimento di una carica nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato regolati, finanziati e in controllo pubblico sia formalmente in linea con le disposizioni del d.lgs. n. 39/2013 e tuttavia configuri una situazione di conflitto di interessi non limitata a una tipologia di atti o procedimenti, ma generalizzata e permanente, cd. strutturale, in relazione alle posizioni ricoperte e alle funzioni attribuite. In altri termini, l’imparzialità nell’espletamento dell’attività amministrativa potrebbe essere pregiudicata in modo sistematico da interessi personali o professionali derivanti dall’assunzione di un incarico, pur compatibile ai sensi del d.lgs. 39/2013.”

Si può osservare, quindi, come la crescente attenzione del legislatore e dell’Autorità Anticorruzione ha fatto sì che negli ultimi anni il conflitto di interessi abbia acquisito una portata sempre più ampia, e nell’ambito di una tutela anticipatoria dei fenomeni corruttivi, abbia conseguentemente reso sempre più necessario, da parte degli organi preposti, un attento monitoraggio di tutte le situazioni che possono generarlo.

Leggi anche Il conflitto di interessi e l’obbligo di astensione

Le conseguenze della mancata astensione

Ma quali sono le conseguenze della mancata astensione del dipendente in situazione di conflitto di interesse?

Come evidenziato dal Consiglio di Stato con la recentissima sentenza n. 2069/2022, una prima conseguenza riguarda la validità del provvedimento emesso: “il conflitto di interessi può definirsi quella condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che sia contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato. Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l’Amministrazione e di astenersi. La mancata astensione del funzionario comporta una illegittimità procedimentale che refluisce sulla validità dell’atto finale, a meno che non venga rigorosamente dimostrato (dall’Amministrazione procedente) che la situazione d’incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento facendolo divergere con il fine di interesse pubblico.”

In quanto espressione di eccesso di potere, la violazione dell’obbligo di astensione in presenza di conflitto di interessi si configura pertanto come un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità del provvedimento amministrativo comunque emesso.

Non meno rilevanti sono le conseguenze sul piano disciplinare connesse alla mancata astensione; come sottolinea la sentenza della Corte di Cassazione civile sez. lav. del 25/09/2018, n.22683 richiamando l’art. 16 del D.P.R. n. 62/2013, “ ai fini della determinazione del tipo e dell’entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento e all’entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza e che le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi”.

Non è pertanto escluso che in casi estremi, come nell’ipotesi sottoposta all’esame del Consiglio di Stato nella succitata sentenza n 22683/2018, la sanzione conseguente alla mancata astensione possa essere il licenziamento disciplinare senza preavviso: “non è in discussione che il licenziamento dedotto in giudizio è stato fondato anche sulla violazione del dovere di astensione imposto dall’art. 3, comma 5, lett. p) del regolamento di disciplina del Comune e degli obblighi di cui all’art. 3, comma 7 lett. i) del CCNL del Comparto Regioni ed Autonomie Locali (violazioni di doveri di comportamento non ricomprese specificamente nelle lettere precedenti di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro)”.

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Dott.ssa Giacomina Giustino

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