La durata del matrimonio incide sull’assegno di mantenimento?

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Ci si è chiesti se spetti l’assegno di mantenimento quando una coppia di coniugi è sposata da poco e non ha figli.

Si deve  tenere conto di diversi fattori per determinare la spettanza.

Se la risposta dovesse essere affermativa, si dovrà stabilire l’importo periodico da versare all’ex coniuge meno abbiente.

     Indice

  1. Le differenze tra assegno di mantenimento e assegno divorzile
  2. A chi spetta l’assegno divorzile
  3. La determinazione dell’assegno divorzile
  4. La durata del matrimonio e l’assegno di mantenimento
  5. Che cosa accade in caso di matrimonio breve

1. Le differenze tra assegno di mantenimento e assegno divorzile

Quando si parla di spettanze dopo la separazione, si deve fare una distinzione tra l’assegno mantenimento, che viene riconosciuto durante la stessa ed è in proporzione al tenore di vita matrimoniale, e l’assegno divorzile che viene attribuito in seguito alla pronuncia della sentenza di divorzio, quando la coppia si scioglie in modo definitivo e cessano gli effetti civili del matrimonio, però restano alcuni obblighi di solidarietà e assistenza tra i coniugi.

La separazione è una fase provvisoria, nonostante in alcuni casi possa durare diverso tempo, se i coniugi non decidono di divorziare.

L’assegno divorzile, è quello relativo al caso in questione.

Una coppia che decide di separarsi dopo poco tempo dalle nozze, forse ha intenzione di divorziare prima possibile, per permettere ad entrambi di liberarsi dal vecchio legame, rifacendosi una vita.

I coniugi possono divorziare dopo sei mesi dalla separazione consensuale e dopo un anno da quella giudiziale.

2. A chi spetta l’assegno divorzile

Attraverso una importante sentenza delle Sezioni Unite del 2018 (Cass. S.U. sent. n. 18287/2018), il vecchio metodo del mantenimento del tenore di vita precedente, che in molti casi, dava la possibilità di procurarsi una rendita parassitaria, a carico dell’ex coniuge più “ricco”, è stato archiviato.

Adesso, sostiene la Suprema Corte di Cassazione, l’assegno di divorzio deve avere funzione assistenziale, compensativa e perequativa, delle differenze di reddito e patrimoniali tra i due ex coniugi.

C’è una componente di solidarietà, una di riequilibrio economico e una di compensazione dei “sacrifici” compiuti durante il matrimonio.

La giurisprudenza ha recepito questa soluzione come eccessiva, diventando un orientamento costante.

La legge sul divorzio (art. 5, co.6, L. n. 898/1970) stabilisce che l’assegno divorzile spetta a chi non ha mezzi economici adeguati e si trova nell’impossibilità di procurarseli per motivi di carattere oggettivo.

Ad esempio, la donna di mezza età o anziana per iniziare, o ricominciare a lavorare, o affetta da patologie che la rendono invalida e inabile al lavoro, o priva di un titolo di studio o professionale adeguato e che abita in una zona economicamente depressa dove è difficile trovare lavoro.

L’assegno divorzile viene riconosciuto all’ex coniuge meno abbiente, privo di mezzi economici adeguati per il suo sostentamento, e che non se li possa procurare.

Questi fondamentali metodi contano molto anche per stabilire a chi spetti il beneficio nei casi di matrimoni di breve durata.


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3. La determinazione dell’assegno divorzile

Riconosciuta la spettanza dell’assegno divorzile all’ex coniuge economicamente più debole, si deve stabilire l’importo che l’altro coniuge dovrà versare periodicamente.

Se le parti non raggiungono un accordo, provvede il giudice, che determina l’importo che spetta al beneficiario considerando diversi fattori da combinare tra loro per arrivare alla somma finale.

Questi elementi consistono nella valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti e, come sottolinea la giurisprudenza più recente “nel contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune” (Cass. sent. n. 1882/2019).

Ad esempio, una donna sposata che negli anni si è completamente dedicata alle faccende domestiche, alla cura della casa e alla crescita dei figli, rinunciando al suo lavoro e accantonando le sue ambizioni personali, potrebbe avere favorito l’arricchimento del marito, che, libero da impegni familiari, si è potuto dedicare  alla sua attività o carriera.

A quella donna dovrebbe essere riconosciuto un congruo assegno di mantenimento, come compenso delle opportunità alle quali ha rinunciato.

Questo però è relativo ai matrimoni di lunga durata ed è diverso il caso nel quale il matrimonio è stato breve e non ci sono figli.

A questo proposito la legge sul divorzio, tra i vari metodi contemplati per determinare l’assegno divorzile, attribuisce rilevanza anche alla durata del matrimonio.

4. La durata del matrimonio e l’assegno di mantenimento

La durata del matrimonio e all’età di chi ne ha diritto, è uno degli indici che il giudice deve considerare per stabilire la misura dell’assegno da riconoscere all’ex coniuge privo di mezzi economici propri e impossibilitato a poterseli  procurare, ed è un elemento che in concreto incide sul mantenimento.

Quanto più la durata del matrimonio è stata lunga maggiore dovrà essere l’assegno divorzile, soprattutto quando si tratta di compensare le rinunce fatte dall’ex per dedicarsi alla famiglia, mettendo da parte la propria realizzazione personale ed economica.

A un matrimonio di breve durata corrisponde un assegno divorzile di entità minore o nulla.

Secondo la giurisprudenza, se il matrimonio è stato molto breve da non permettere la creazione di una “comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi”, manca il presupposto per il riconoscimento del mantenimento con l’assegno divorzile (Cass. ord. n. 13458/2021 e n. 16405 del 19/06/2019).

Sono i cosiddetti matrimoni lampo, durati qualche mese o pochi giorni, e dopo gli sposi si lasciano definitivamente.

5. Che cosa accade in caso di matrimonio breve

Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Ord.30/09/2022 n. 28481) si è occupata di un caso del genere respingendo la richiesta di corresponsione dell’assegno divorzile avanzata da una ex moglie nei confronti dell’ex marito, sottolineando la “limitata durata del rapporto coniugale”.

La Suprema Corte sostiene che a causa della breve durata del matrimonio, era mancato lo svolgimento, durante gli anni, di un “rilevante ruolo endo-familiare” da parte del coniuge che ha richiesto l’ assegno.

Non si ravvisava un concreto ed economicamente valutabile apporto fornito dalla donna alla vita di coppia e alla formazione della famiglia.

Nel caso in questione, il matrimonio non era stato molto breve, era durato sette anni, però la donna divorziata che richiedeva l’assegno era ancora giovane, ed è stata ritenuta in grado di trovarsi un lavoro e di mantenersi in modo autonomo, senza dovere ricorrere all’aiuto finanziario dell’ex marito, che non era più tenuto a fornirle nessun contributo economico.

I Giudici di merito avevano affermato che:

La ricorrente aveva 32 anni di età e avrebbe potuto trovarsi un lavoro” e non si trovava di sicuro “nell’impossibilità di procurarsi un reddito per il proprio sostentamento”, respingendo la richiesta di assegno divorzile.

La loro pronuncia è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione che ha respinto in modo definitivo il ricorso dell’ex moglie.

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