La decorrenza del termine per l’impugnazione dell’ordinanza

Valerio Pinto 13/01/23
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Con la recente pronuncia a Sezioni Unite n. 28975 del 05.10.2022 la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla decorrenza del termine per l’impugnazione dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c.
Nelle controversie regolate dal rito sommario, il termine (di trenta giorni) per l’impugnazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c. decorre, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell’art. 281 sexies c.p.c.; in mancanza delle suddette formalità l’ordinanza, a norma dell’art. 327 c.p.c., può essere impugnata nel termine di sei mesi dalla pubblicazione.
Corte di Cassazione – SS.UU. Civ. – Sentenza n. 28975 del 05-10-2022

Indice

1. La vicenda processuale



Le questioni esaminate dalla Suprema Corte sono sorte nell’ambito di in una controversia in materia di protezione internazionale, nella quale la Corte di appello di Venezia aveva dichiarato inammissibile per tardività l’appello proposto da un cittadino del Pakistan contro l’ordinanza del Tribunale di rigetto della domanda dell’interessato; secondo il giudice di primo grado, essendo stata l’ordinanza del Tribunale ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c. letta in udienza e pubblicata il giorno stesso, l’appello, ai sensi degli artt. 134 e 281 sexies c.p.c., avrebbe dovuto essere proposto nel termine perentorio di trenta giorni dalla relativa pubblicazione e non dalla successiva comunicazione da parte della cancelleria.
Avverso la sentenza di appello il ricorrente ha proposto due motivi di ricorso per cassazione, lamentando principalmente che il rito applicabile ai procedimenti in esame è quello di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e ss. c.p.c. il quale non prevede la lettura del dispositivo in udienza, con la conseguenza che il termine per impugnare decorre dalla comunicazione della Cancelleria.

2. Le questioni esaminate

Come anticipato, la questione posta all’attenzione delle Sezioni Unite riguarda la decorrenza del termine per l’impugnazione dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c.: in particolare, si chiedeva alla Corte se il termine di impugnazione della suddetta ordinanza decorresse, per la parte costituita nelle controversie regolate dal rito sommario, dal giorno in cui essa fosse stata pronunciata e letta in udienza.
Sul punto, la Corte ha preso atto di un contrasto giurisprudenziale sia in relazione al termine c.d. breve, sia in relazione all’applicabilità del termine c.d. lungo (ossia il termine semestrale stabilito dall’art. 327 c.p.c.).
Con riferimento al termine breve, un primo orientamento ritiene che, in tema di procedimento sommario di cognizione, “il termine per proporre appello avverso l’ordinanza resa in udienza e inserita a verbale decorre, pur se questa non sia stata comunicata o notificata, dalla data dell’udienza stessa, equivalendo la pronuncia in tale sede a “comunicazione” ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c.”. In questa prospettiva, quindi, si ritiene applicabile anche al procedimento sommario di cognizione la disciplina prevista dall’art. 281 sexies c.p.c., in base alla quale la lettura della sentenza in udienza e la sottoscrizione, da parte del giudice, del verbale che la contiene, non solo equivalgano alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall’art. 133 c.p.c., ma anche esonerino il cancelliere dall’onere della comunicazione.
Un secondo orientamento, diversamente, ritiene che il termine breve di impugnazione dell’ordinanza decorra, a norma dell’art. 702 quater c.p.c., dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza; si esclude pertanto che, per la parte costituita, il termine breve decorra dalla data dell’udienza in cui l’ordinanza  sia stata eventualmente resa mediante lettura in udienza ed inserimento a verbale, non ritenendo applicabile la disciplina prevista dall’art. 281 sexies c.p.c.
Con riferimento al termine lungo, un primo orientamento ritiene non applicabile, limitatamente all’appello, l’art. 327, comma 1, c.p.c., in quanto il termine lungo sarebbe incompatibile con la finalità acceleratoria del rito di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c.
Un secondo orientamento, principalmente dottrinale, ritiene invece che in mancanza della comunicazione della cancelleria debba trovare applicazione il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza; ciò in quanto, su un piano più generale (e fatta eccezione per il termine di appello e per il regime di ammissibilità di nuove prove dettati ad hoc per il provvedimento adottato a conclusione del rito sommario) il procedimento in sede di gravame si svolge secondo le regole generali del procedimento ordinario di appello “che esso torna ad essere”.

3. Il procedimento sommario di cognizione

Prima di esaminare la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, appare opportuno soffermarsi sul procedimento di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c., sulla natura giuridica del provvedimento reso all’esito dello stesso e sul rapporto con l’art 281 sexies c.p.c.
Nel procedimento sommario di cognizione (introdotto dall’art. 51, comma 1 della legge del 18 giugno 2009), secondo l’orientamento prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, la sommarietà si riferisce al rito e non alla cognizione, che è invece piena. In altri termini, la sommarietà si riferisca alla strutturale semplicità dell’oggetto del processo e alla natura “non complessa” della sua istruttoria, che si risolvono in una trattazione della causa “semplificata”.
Inizialmente, la scelta di ricorrere al rito in esame in luogo di quello ordinario era rimessa solo all’attore attore (secondo il primo comma dell’art. 702 bis c.p.c., “Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta … ”), con la sola previsione di un vaglio di ammissibilità del giudice (il quale, ai sensi del secondo comma, “se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’art. 702bis, … con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile”).
Successivamente, il legislatore ha previsto la possibilità per il giudice di disporre la modifica del rito da ordinario a sommario: con l’art. 14, comma 1  del decreto legge 12 settembre 2014, è stato introdotto l’art. 183bis c.p.c., il quale dispone che “Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702 ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.
Per completezza, si evidenzia come il giudice, in caso di ricorso proposto ex art. 702 bis ed ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c., possa:

  •  dichiararsi incompetente, o dichiarare l’inammissibilità del ricorso e dell’eventuale domanda riconvenzionale, perché non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 702 bis c.p.c.;
  • fissare l’udienza ex art. 183 c.p.c. nell’ipotesi in cui ritenga che la questione oggetto del ricorso necessiti un’accurata istruzione probatoria;
  • separare con ordinanza la domanda presentata nel ricorso dalla domanda riconvenzionale, qualora ritenga che quest’ultima necessiti di un’istruzione non sommaria.

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4. Natura decisoria del provvedimento conclusivo

Il procedimento in esame è definito con ordinanza (di accoglimento o di rigetto delle domande) provvisoriamente esecutiva che costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione e con la quale il giudice provvede in ogni caso sulle spese, ai sensi degli artt. 91 ss. c.p.c. (art. 702 ter, commi 5, 6 e 7 c.p.c.).
Tale provvedimento, ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., gli effetti previsti dall’art. 2909 c.c. (ossia il passaggio in giudicato della pronuncia, con la cristallizzazione dei suoi effetti), “se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione”.
La giurisprudenza di legittimità appare concorde nel ritenere che il provvedimento in esame, formalmente qualificata come ordinanza, abbia la natura di sentenza per diverse ragioni:

  • sul piano funzionale, si evidenzia la sua idoneità decisoria del giudizio di primo grado, anche alla luce dell’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali in applicazione del principio di soccombenza;
  • sul piano degli effetti, si evidenziano l’idoneità a costituire titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e l’attitudine alla formazione del giudicato.

5. Rapporto con l’art. 281 sexies

Con riferimento al rapporto tra il procedimento sommario di cognizione e il modello decisorio previsto dall’art 281sexies c.p.c., le Sezioni Unite hanno evidenziato come “entrambi costituiscono “rimedi preventivi”, a norma dell’art. 1ter l. 24 marzo 2001, n. 89, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato. E sono “modelli procedimentali alternativi” tra loro, come si evince dalla lettera del primo comma dell’articolo citato, secondo cui: “ … Nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art. 281sexies del codice di procedura civile… ”.
In precedenza anche la Corte costituzionale aveva riconosciuto la comune ratio acceleratoria dei due modelli procedimentali tra loro alternativi, evidenziandone allo stesso tempo la diversità: “uno strumento attinente alla trattazione del processo, ove sia proposta l’istanza di mutamento del rito da ordinario di cognizione in sommario di cognizione ai sensi dell’art. 183bis c.p.c. … ovvero uno strumento riguardante le forme di svolgimento della decisione, ove … sia avanzata richiesta di definizione del contenzioso secondo lo schema più duttile e concentrato della pronuncia della sentenza semplificata immediatamente a seguito di discussione orale”.

6. La soluzione delle Sezioni Unite


Alla luce di quanto sin qui esposto, è ora possibile esaminare la soluzione che le Sezioni Unite in commento hanno prospettato.
Termine breve: Con riferimento alla decorrenza del termine breve, la Corte ha chiarito che esso decorre, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell’art. 281 sexies c.p.c.
Tale soluzione è fondata sulle seguenti argomentazioni.
Sul piano letterale, la Corte ha evidenziato come il dato letterale di cui all’art 702 quater c.p.c. sia incompatibile con il modello decisorio dell’art. 281sexies c.p.c.
Per quest’ultimo, infatti, la pronuncia rese in sede di discussione orale equivale a “comunicazione” ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c., con la conseguenza che essa, insieme alla notificazione, risulta irrilevante ai fini dell’individuazione del dies a quo per l’impugnazione; diversamente, l’art. 702 quater c.p.c., per come formulato, è chiaro nello stabilire che il dies a quo per l’impugnazione dell’ordinanza decorre dal momento della sua comunicazione o notificazione (“produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione”).
Sul piano funzionale, la Corte ha precisato come l’equipollenza tra comunicazione e notificazione risponda all’esigenza di veicolare un’informazione chiara e completa della decisione, nel suo testo integrale: in altri termini, secondo la Corte, il termine breve per l’impugnazione non può decorrere dalla sola notizia del dispositivo, in considerazione delle esigenze di difesa della parte soccombente, alla quale è necessaria la conoscenza della motivazione al fine di correlare ad essa i motivi a sostegno del gravame, anche sotto il profilo della relativa specificità.
Applicabilità del termine lungo: Con riferimento al termine lungo, le Sezioni Unite hanno ritenuto non condivisibile l’orientamento che nega l’applicabilità dello stesso all’art. 702 quater c.p.c.
In precedenza, infatti, la stessa Corte, in una controversia avente ad oggetto solo l’applicabilità del termine lungo di impugnazione nel procedimento sommario di cognizione, aveva avuto modo di affermare che “l’introduzione … di una norma specifica per regolare il termine breve per la proposizione dell’appello … cioè l’articolo 702quater, nell’ottica sistemica non può intendersi come manifestazione di una voluntas legis escludente il termine lungo; esclusione che, d’altronde, sul piano letterale non può neppure ricavarsi dal riferimento agli “effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile”, poiché quest’ultimo riferimento va inquadrato in quanto si è finora illustrato. Vale a dire, il provvedimento decisorio è impugnabile sempre o entro termine breve o entro termine lungo; l’introduzione di una specifica disciplina attinente al termine breve e agli effetti del suo decorso non può quindi assorbire in modo meramente implicito la via dell’articolo 327. Nel contesto sistemico, allo scopo il legislatore avrebbe dovuto espressamente negare l’applicazione del termine lungo”.
Tali argomentazioni sono state condivise dalle Sezioni Unite, le quali hanno precisato che, nel procedimento sommario di cognizione, trovano applicazione ove compatibile e non espressamente derogate le disposizioni di ordine generale.

7. Riflessioni conclusive

Ad avviso di chi scrive, la soluzione prospettata dalla Suprema Corte appare quella preferibile tanto sul piano letterale quanto su quello sistematico-funzionale.
Come già esposto in precedenza, infatti, l’art. 702 quater c.p.c. è chiaro nel fissare il dies a quo per l’impugnazione dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c. al momento della comunicazione/notificazione: tale previsione si giustifica in quanto solo in tale momento (e a differenza di quanto avverrebbe ritenendo sufficiente la mera lettura del dispositivo in udienza) il soggetto che riceve la comunicazione ha la piena conoscenza del provvedimento giurisdizionale di cui è destinatario e, conseguentemente, di proporre una impugnazione i cui motivi non difettino del requisito della specificità.
Pienamente condivisibile (anche se, forse, inevitabile) risulta poi essere l’affermazione in ordine all’applicabilità del termine lungo anche all’ordinanza di cui all’art. 702 ter c.p.c.: statuire diversamente (come pure parte della giurisprudenza ha fatto) avrebbe voluto dire compromettere il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. alla luce di una interpretazione che, tanto sul piano letterale quanto su quello sistematico, non offre significative argomentazioni se non quella di preservare la ratio acceleratoria del procedimento sommario. Sebbene la stessa ragionevole durata del processo costituisca un principio fondamentale dell’ordinamento, la sua tutela non può tradursi in una eccessiva compromissione di altri valori allo stesso modo irrinunciabili.
L’interpretazione offerta dalla Corte rappresenta pertanto un punto di equilibrio tra la ratio acceleratoria del rito sommario ed il principio della ragionevole durata del processo con le garanzie ed i principi, di matrice costituzionale ed europea, in materia di giusto processo (in particolare gli artt. 24 Cost. e 6 CEDU).
 
 

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Valerio Pinto

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