L’obbligo della PA di provvedere su istanza di parte: presupposti, limiti e rimedi in giurisprudenza (C. d. S. sez. V, sent. n. 1182/15, C. d. S. sez. III, 14 novembre 2014, n. 5601, C. d. S. Sez. IV, n. 4062/08).

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La sentenza n. 1182/15 del 09.03.15 del Consiglio di Stato, sez. V, offre l’opportunità di una riflessione sul tema in oggetto.

Il G. A. di secondo grado si è pronunciato in materia di obbligo della PA di provvedere su un’istanza di parte ai sensi della legge n. 241.90, tracciandone limiti e presupposti e dettando indicazioni per la individuazione delle ipotesi nelle quali esso può effettivamente ritenersi sussistente e possono quindi attivarsi i conseguenti strumenti a tutela dell’istante contro la PA inerte.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 241.90, ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la PA ha il dovere di concluderlo  mediante l’adozione di un provvedimento espresso.

Il comma 5, inoltre, salvi i casi di silenzio – assenso, ai quali la Legge attribuisce il valore giuridico di accoglimento della richiesta, decorso il termine di durata del procedimento (fissato in gg. 30 nel testo della legge 241.90, aggiornato alla legge 69.09 e salvi i casi nei quali la PA abbia fissato termini diversi comunque non superiori a 90 gg.) mette a disposizione del richiedente il  rimedio per ottenere un provvedimento espresso.

Ci si riferisce allo strumento di cui all’art. 117 codice del processo amministrativo, ovvero il ricorso giurisdizionale avverso il silenzio – rifiuto (o silenzio – inadempimento), a seguito del quale il Giudice può ordinare alla PA di provvedere sull’istanza e, ove occorra, può nominare un Commissario ad acta perché disponga in via sostitutiva.

Nel caso deciso con sentenza C. d. S. del 09.03.15, il privato aveva avanzato richiesta all’Amministrazione comunale di revisione di un Regolamento per la gestione di autoservizi pubblici non di linea con autovettura.

Il Comune, a detta del ricorrente, non aveva emesso alcun provvedimento nei termini di conclusione del procedimento. Solo successivamente alla supposta scadenza, erano stati emessi provvedimenti “meramente confermativi” di atti già emessi negli anni precedenti a riscontro di analoghe istanze del medesimo soggetto, con i quali si ribadivano le determinazioni precedentemente assunte, non essendone mutati i presupposti di fatto e di diritto.

Il G. A., confermando la sentenza di primo grado, ritiene non sussistente il presupposto del ricorso avverso il silenzio, ovvero l’esistenza di un obbligo giuridico di provvedere da parte dell’Amministrazione nell’ambito di un procedimento amministrativo previsto dalla legge.

Perché si concretizzi l’ipotesi del silenzio – inadempimento non è sufficiente che la PA, investita da un privato che presenta un’istanza, non concluda il procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto, ma è anche necessario che essa violi un preciso obbligo giuridico di provvedere sulla istanza del privato.

Tale obbligo di provvedere sussiste, principalmente, nei casi previsti e disciplinati dalla legge, nei quali, cioè, l’istante, nella titolarità di una posizione giuridica, astrattamente riportabile alla figura dell’interesse legittimo cd. “pretensivo”, aspira al rilascio di un atto nell’ambito di un procedimento tipico disciplinato dall’ordinamento (a titolo meramente esemplificativo si pensi ad un privato richiedente un provvedimento di autorizzazione, di concessione, di abilitazione).

Nel caso oggetto della pronuncia del C. d. S. del 09.03.15 non può, invece, configurarsi tale presupposto, in considerazione del carattere normativo ed organizzatorio del potere regolamentare esercitato dalla PA (che l’istante chiede di rivedere), le cui scelte spettano esclusivamente all’Ente locale.

Né è stata dimostrata l’esistenza di alcuna norma di legge o di regolamento o qualsiasi atto amministrativo che imponga al Comune di pronunciarsi sulla richiesta formulata (revisione di un atto regolamentare).

Non è configurabile, dunque, nel caso in esame, un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l’esistenza di un “obbligo” per l’Ente di procedere all’adozione di atti a contenuto regolamentare.

La giurisprudenza ha poi individuato ulteriori fattispecie nelle quali può essere legittimamente individuato un obbligo della PA di provvedere sull’istanza di parte ed in cui, in caso di inerzia, può parlarsi di silenzio – inadempimento, con conseguente attivazione del rimedio del ricorso al G. A.

Tali situazioni sono state ricollegate alla sussistenza di particolari ragioni di giustizia sostanziale, ovvero di particolari rapporti esistenti tra Amministrazioni ed amministrati i quali impongano l’adozione di un provvedimento espresso, soprattutto al fine di consentire all’interessato di adire la via giurisdizionale per la tutela delle proprie ragioni.

Per la sussistenza di tali due ulteriori presupposti, si veda la sent. Consiglio di Stato, sez. III, 14 novembre 2014, n. 5601, in una fattispecie relativa ad una  richiesta alla PA, avanzata da parte del proprietario di un immobile abusivamente occupato da parte di esponenti di un centro sociale e volta all’esercizio del potere di sgombero.

In tale ultimo caso è stato ritenuto sussistente l’obbligo della PA di provvedere, poiché l’abusiva occupazione di un bene, seppur privato – perpetrata da una serie indeterminata di soggetti con modalità tali da non costituire soltanto un semplice spossessamento del bene e, quindi, un fatto illecito avente mera rilevanza tra privati, ma da integrare un pericolo per l’igiene, l’ordine e la sicurezza pubblici – determina la sussistenza di ragioni di giustizia sostanziale che richiedono anche l’intervento dell’Amministrazione a tutela dell’incolumità pubblica.

In tale solco giurisprudenziale, volto a definire i limiti e i presupposti dell’obbligo della PA di provvedere, si colloca, seppur con un provvedimento negativo, anche la sentenza Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4062/08, la quale, in una fattispecie nella quale un privato ha chiesto l’annullamento di una concessione edilizia rilasciata al vicino, non ne riconosce la sussistenza, perché non è dato riscontrare alcuna delle situazioni legittimanti appena descritte.

L’ultima pronuncia richiamata ha escluso che la procedura per la constatazione del silenzio – rifiuto possa essere utilizzata per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili richiamando, a tal fine una consolidata giurisprudenza (C.d.S., sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; 6 ottobre 001, n. 5307; 9 agosto 2005, n. 4227).

La sentenza Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4062/08 ha precisato, inoltre, che nemmeno sussiste obbligo dell’amministrazione di provvedere (e che, di conseguenza, non si è in presenza di un silenzio rifiuto) allorquando l’interessato, attraverso la procedura del silenzio – rifiuto, abbia sollecitato l’esercizio del potere di autotutela, non sussistendo rispetto a questo una posizione di interesse legittimo, ma di mero interesse di fatto (C.d.S., sez. VI, 19 dicembre 2000, n. 6838), anche per la mancanza di un obbligo dell’Amministrazione di attivarsi in via di autotutela (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136; 20 luglio 2005, n. 3909).

Affinché una richiesta di esercizio di un potere amministrativo in autotutela – sia essa decisoria (es. annullamento), che esecutiva (es. sgombero) – possa assurgere a condizione legittimante di un obbligo della PA di provvedere è, infatti, comunque necessaria una previsione di legge in tal senso o la sussistenza di particolari situazioni, riconducibili a ragioni di giustizia sostanziale, ovvero a particolari rapporti esistenti tra Amministrazioni ed amministrati che impongano l’adozione di un provvedimento espresso.

Guida Francesco

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