L’infinita storia delle concessioni demaniali marittime – la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE

Scarica PDF Stampa

Sommario: 1) Le origini della querelle. La segnalazione dell’AGCM. 2) Unione Europea: la procedura di infrazione e la risposta del legislatore nazionale. 3) Sul rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE ed effetti della decisione della Corte di Giustizia della Unione Europea. 3.1) Effetti endoprocessuali della decisione ex art. 267 TFUE. 3.2) Effetti extraprocessuali della decisione ex art. 267 TFUE. L’autorità di cosa interpretata. 4) La decisione del 14 luglio del 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 4.1) La normativa euro-comunitaria in ipotesi violata. 4.2) Le fattispecie oggetto di esame della decisione della Corte di Giustizia della U.e. 4.3) Il principio formulato dalla Corte del Lussemburgo.

 

1) Le origini della querelle. La segnalazione dell’AGCM

La problematica connessa alle distorsioni alla concorrenza, conseguenti alla durata e al rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime, venne evidenziata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato  AGCM nella segnalazione AS481 del 20 ottobre 2008.

Le disposizioni nazionali oggetto della segnalazione dell’AGCM furono le seguenti:

–          l’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il quale prevedeva che in presenza di più domande per il rilascio di una concessione demaniale marittima, venisse riconosciuta preferenza al soggetto già titolare della concessione stessa (c.d. diritto di insistenza);

–          l’articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993, che prevedeva che le concessioni demaniali marittime avessero una durata di sei anni e fossero automaticamente rinnovate ad ogni scadenza per ulteriori sei anni, a semplice richiesta del concessionario, fatto salvo il diritto di revoca di cui all’articolo 42 del codice della navigazione.

L’Autorità riteneva che, per tutelare la concorrenza, sarebbe stato opportuno prevedere:

–          procedure di rinnovo e rilascio delle concessioni basate sulla valutazione dell’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti sul piano della rispondenza agli interessi pubblici;

–          idonea pubblicità della procedura, al fine di riconoscere alle imprese interessate le stesse opportunità concorrenziali rispetto al titolare della concessione scaduta o in scadenza;

–          l’eliminazione di tutti gli elementi che avvantaggiavano a priori il precedente concessionario.

L’AGCM, citando il Consiglio di Stato, ebbe ad affermare che il c.d. diritto di insistenza poteva essere compatibile con i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza solo qualora avesse rivestito carattere residuale e sussidiario, in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte.

Con riferimento al rinnovo automatico, l’Autorità riteneva che non stimolasse il concessionario a corrispondere un canone più alto per la concessione e ad offrire migliori servizi agli utenti, favorendo inoltre comportamenti collusivi fra i soggetti titolari delle concessioni. Per quanto riguarda la durata della concessione, osservava che non era necessario parametrarla al tempo occorrente per il recupero degli investimenti effettuati, essendo sufficiente che il valore degli stessi fosse posto a base dell’asta.

 

2) Unione europea: la procedura di infrazione e la risposta del legislatore nazionale

Successivamente alla segnalazione dell’AGCM, la Commissione europea intervenne sulla problematica in oggetto inviando all’Italia, il 29 gennaio 2009, una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/4908) con riferimento alle medesime norme nazionali e regionali sopra illustrate, contestandone la compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con il principio della libertà di stabilimento ( ricorso per inadempimento ex art. 257 TFUE). La Commissione ritenne che tali norme costituissero una discriminazione per le imprese provenienti da altri Stati membri, che si trovavano nella condizione di essere ostacolate dalla preferenza accordata al concessionario uscente.

Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano notificò alla Commissione l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009 (convertito nella legge n. 25/2010), volto ad adeguare le disposizioni del codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni. Il comma 18 stabilì inoltre che le concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fossero prorogate fino a tale data.

Dopo aver  esaminato la disposizione, la Commissione tenne tuttavia ferma la procedura di infrazione, formulando ulteriori contestazioni all’Italia. In particolare, la Commissione rilevò alcune discrepanze tra il testo originario del D.L. n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione n. 25/2010, la quale recava, in particolare, un rinvio indiretto (non previsto nel testo del decreto legge) al sopra illustrato articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993. La Commissione ritenne che tale rinvio, stabilendo il rinnovo automatico di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privasse nella sostanza di effetto il D.L. n. 194/2009 e fosse contrario alla normativa UE, in particolare con riferimento all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva servizi) e con l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento.

Alla luce delle suddette considerazioni la Commissione il 5 maggio 2010 decise di inviare all’Italia una lettera di messa in mora complementare con la quale chiedeva di trasmetterle, entro due mesi, le proprie osservazioni sui nuovi rilievi formulati.

In seguito agli ulteriori rilievi, con l’articolo 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), venne abrogato il già citato comma 2 dell’articolo 01 del D.L. n. 400/1993. Lo stesso articolo 11 delegò il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.

In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione fu chiusa in data 27 febbraio 2012.

 

3) Sul rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE ed effetti della decisione della Corte di Giustizia della Unione Europea.

Il rinvio pregiudiziale è un istituto processuale disciplinato dall’art 267 del Trattato di funzionamento della Unione Europea.

In forza della norma citata la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi:

a) sull’interpretazione dei trattati;

 b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. 

Con la prima tipologia di rinvio,  c.d. rinvio per l’interpretazione della norma europea (diritto primario e diritto secondario), il giudice nazionale chiede alla Corte di giustizia di formulare un parere sull’interpretazione del diritto europeo per poter applicare la norma correttamente;

con il secondo tipo di rinvio, c.d. rinvio  per l’esame di validità di una norma europea di diritto secondario, il giudice nazionale chiede alla Corte di giustizia di verificare la validità di un atto di diritto europeo.

Si tratta di rinvio di Giudice a Giudice, ed è avviata nel caso in cui una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri: l’organo giurisdizionale può domandare alla Corte di pronunciarsi sul punto, qualora lo reputi necessario per emanare la sua sentenza.

 

3.1. Effetti endoprocessuali della decisione ex art. 267 TFUE

La decisione pregiudiziale ha portata vincolante per il giudice del rinvio, e vincola anche le giurisdizioni di grado superiore chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa.  

Il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale di tener conto di una sentenza pregiudiziale può comportare l’apertura di una procedura di infrazione, e sfociare nel ricorso di  inadempimento di cui all’art. 258 TFUE. La vincolatività di una sentenza interpretativa non impedisce al giudice nazionale di sollevare un nuovo rinvio alla Corte per chiedere chiarimenti, qualora il giudice nazionale constati difficoltà di comprensione o di applicazione della sentenza, qualora sottoponga alla Corte una nuova questione di diritto o le sottoponga nuovi elementi di valutazione che possano indurla a pronunciarsi diversamente sulla questione già sollevatala.  

3.2. Effetti extraprocessuali della decisione ex art.267 TFUE. L’Autorità di cosa interpretata

Le sentenze pregiudiziali sono tuttavia efficaci anche al di fuori del giudizio principale per i motivi che seguono:

–          le sentenze interpretative, pur originando da una controversia determinata, hanno carattere astratto, essendo volte a chiarire l’interpretazione e la portata delle disposizioni UE in questione (PORTATA DICHIARATIVA).

–          L’interpretazione della Corte dispiega i suoi effetti al di là dell’ambito del litigio principale. Pertanto le sentenze producono effetti erga omnes, per effetto della portata vincolante della interpretazione proposta. Uno degli obiettivi fondamentali del rinvio pregiudiziale è quello di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale scopo sarebbe frustrato se le sentenze interpretative della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto nella causa a qua. ( Cfr. art. 23 dello Statuto della Corte, in base al quale gli Stati UE, la Commissione, e quando sia il caso il Consiglio, il Parlamento e la Banca centrale, hanno il diritto di presentare le proprie osservazioni nelle cause pregiudiziali). 

–           Si tratta di una garanzia procedurale che trova il suo fondamento nel fatto che, una volta pronunciata, la sentenza della Corte produrrà effetti al di fuori della causa principale e dell’ordinamento giuridico nazionale del giudice a quo. Pertanto, l’effetto prodotto dalla sentenza pregiudiziale può essere qualificato come “AUTORITA’ DI COSA INTERPRETATA”.

 

 

4) La decisione del 14 luglio del 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La decisione del 14 luglio del 2016 è stata emanata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in sede di rinvio pregiudiziale, per risolvere la compatibilità con il diritto dell’Unione della normativa nazionale che prevede la proroga automatica delle concessioni in essere, in quanto ritenuta in contrasto con il diritto eurounitario ed in particolare con l’art.12 della Direttiva 2006/123 ( c.d. direttiva servizi) e l’art. 49 del Trattato FUE.

La normativa nazionale esaminata dalla Corte è costituita dall’art. 1, comma 18, del decreto legge 30 dicembre 2009 n.194, convertito nella legge 26 febbraio 2010 n.25 che stabilisce il rinnovo automatico delle concessioni turistico ricreative, nonché  dall’art. 34 duodecies del decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179, introdotto in sede di conversione dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221, emanato successivamente alla  procedura di infrazione del 2009,  definita il 27 febbraio 2012, che ha prorogato fino al 31 dicembre del 2020 la validità ed efficacia delle concessioni turistico ricreative in essere.

 

4.1)  La normativa euro-comunitaria violata.

L’articolo 12 della direttiva 2006/123, c.d. direttiva sui servizi, recita testualmente :” 1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.

La norma disciplina il caso specifico in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, prevedendo la possibilità, per gli Stati membri, di subordinare l’accesso ad un’attività di servizio ed il suo esercizio ad un regime di autorizzazione.

Prevede inoltre che la durata dell’autorizzazione sia adeguatamente limitata nonché il divieto del suo rinnovo automatico.

Il paragrafo terzo, tuttavia, autorizza gli stati membri, nello stabilire le regole di selezione, di tenere conto dei motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto comunitario.

 

4.2) Le fattispecie oggetto di esame della Corte di Giustizia della UE                                                              

I casi esaminati dalla Corte del Lussemburgo riguardano due concessioni aventi ad oggetto beni del demanio lacuale e marittimo: la prima rilasciata nel giugno del 2006  per lo sfruttamento di un’area demaniale ad uso chiosco, bar, bagni, banchina e pontile, compresa nel demanio del Lago Garda ( giudizio – C-458/14); la seconda, rilasciata nel 2004, per l’esercizio di una attività turistico–ricreativa per lo sfruttamento di un tratto di arenile del Comune di Loiri Porto San Paolo ( giudizio – C 67/15).

Entrambi i concessionari avevano adito i Tar regionali per ottenere l’applicazione a loro vantaggio della proroga prevista dall’art. 1, comma 18 del decreto legge n.194/2009, convertito nella legge 26 febbraio 2010 n. 25 e successive modifiche ed integrazioni, negata dagli Enti concedenti, in forza della quale avrebbero ottenuto il rinnovo delle concessioni scadute fino alla data del 31 dicembre 2020.

I Tar territoriali avevano ritenuto le fattispecie rientranti nella disciplina della direttiva n.2006/123, segnatamente dell’art.12, perché aventi ad oggetto autorizzazioni alla prestazione di servizi, limitate dalla scarsità delle risorse naturali e per l’effetto soggette al divieto di rinnovo automatico, a mente del secondo paragrafo del citato art.12.

Occorre rammentare, in proposito, che la qualificazione della fattispecie, ovvero della ipotesi interpretativa da sottoporre alla Corte, viene fatta dal giudice nazionale (ex art. 94 del regolamento di procedura della Corte), cui spetta di illustrare le circostanze di fatto su cui si basano le questioni e del legame esistente tra le circostanze e le questioni sollevate sicché l’intervento interpretativo della Corte resta confinato dalla qualificazione del fatto operato dal giudice remittente (ai fini della ricevibilità del ricorso e delle questioni  – c.d. sistema della cooperazione giudiziaria).

Secondo tale prospettiva, pertanto, spettava ai Tar territoriali di valutare se le fattispecie esaminate dovessero essere qualificate come autorizzazioni ai sensi della Direttiva 2006/123, avessero ad oggetto l’utilizzo di risorse naturali scarse (le spiagge sarde e le sponde del lago di Garda) e se, pertanto, dovessero essere assoggettate ad una procedura di selezione tra i candidati potenziali, con le prescritte garanzie di imparzialità e di trasparenza e con la adeguata pubblicità della avvio della procedura richiesta dall’art 12 della Direttiva in commento.

Spettava ai Tar, inoltre, di valutare se nei casi esaminati si fosse dovuto tenere conto dei motivi di interesse generale, previsti dal terzo comma dell’art 12 della Direttiva, come ad esempio la tutela del legittimo affidamento dei titolari di tali autorizzazioni e della certezza del diritto,  che avrebbero autorizzato deroghe al divieto di proroga, in conformità con la giurisprudenza della Corte ( cfr. sentenza del 17 luglio 2008, ASM Brescia, C-347/06 – punti 70 e 71, nonché 14 novembre 2013, Belgacom, C-221/12, punto 40), come puntualmente viene rammentato nella parte motiva della decisione del 14 luglio al punto 72 : “ il principio della certezza del diritto, nel caso di una concessione attribuita nel 1984, quando non era stato ancora dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero essere potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, esige che la risoluzione di siffatta concessione sia corredata da un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i propri rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico

Nel quesito sottoposto dai Tribunali remittenti, tuttavia, non c’è alcuna considerazione di tale aspetto della disciplina, mentre l’unico punto evidenziato è quello della astratta conformità della proroga  ai principi ed alle norme del diritto euro-unitario segnalate.

 

4.3)  Il principio formulato dalla Corte europea

La Corte, nel decidere i casi sopra esposti, ha formulato i seguenti principi: “

1) L’art.12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretata nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica della autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività   turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati;

2) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico‑ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

Con la decisione del 14 luglio la Corte del Lussemburgo sembra realizzare una parziale apertura alla tutela degli interessi degli operatori del settore, prevedendo una eccezione al divieto del rinnovo automatico, relativamente ai contratti  ed in genere ai rapporti giuridici sorti quando non era stato ancora dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero avrebbero dovuto essere sottoposti agli obblighi di trasparenza e non discriminazione discendenti dalle norme del Trattato ( per il concetto di interesse transfrontaliero v. telaustria vs Telefonades C-324/98 e Serantoni s.rl. vs Comune di Milano c- 376/08 del 23 dicembre 2009):  in tali casi la necessità di rispettare il principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento si prospettano per l’interprete come quei motivi di interesse generale che autorizzano la deroga al divieto di proroga di cui pr. 2 dell’art 12 della direttiva 2006/123 e per questo il diritto dell’operatore al rinnovo della concessione scaduta (cfr. sentenza del 17 luglio 2008, ASM Brescia, C-347/06 – punti 70 e 71, nonché 14 novembre 2013, Belgacom, C-221/12, punto 40).

Nella parte motiva della decisione si richiama allo scopo un precedente relativo ad una concessione attribuita nel 1984, realizzata in un momento storico nel quale l’interesse transfrontaliero certo non era stato ancora dichiarato (dalla giurisprudenza della Corte):  in questo caso si è ritenuto coerentemente legittimo un intervento normativo che prevedesse un periodo transitorio per consentire alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico.

In assenza delle condizioni dette, ovvero nei casi in cui vi fosse certezza che i contratti, sottoscritti con l’operatore – concessionario avessero un interesse transfrontaliero certo (legato ad una serie di parametri elaborati dalla Corte, quali il luogo di esecuzione del servizio, l’importanza economica o l’aspetto tecnico del servizio – cfr. Serrantoni vs Comune di Milano C- 376/08) la disciplina degli stessi deve essere soggetta agli obblighi di trasparenza predicati dal diritto euro-unitario ed in particolare dalla direttiva 2006/123, non potendosi in questo caso invocarsi i principi derogatori sopra esposti a giustificazione di una disparità di trattamento, vietata in forza dell’articolo 49 TFUE.

Nella sostanza, la Corte del Lussemburgo pur confermando la illegittimità in astratto della proroga automatica, ne ha dichiarato legittima l’applicazione alle concessioni già rilasciate dalle pubbliche amministrazioni, dopo la verifica delle seguenti condizioni:

a)      la sussistenza (o meglio la non sussistenza) di un interesse transfrontaliero certo nel rapporto giuridico in scadenza ed oggetto della richiesta  di proroga;

b)     la non conoscenza da parte dell’operatore economico che il contratto stipulato, con interesse transfrontaliero certo, fosse soggetto (al momento della sottoscrizione) agli obblighi di trasparenza e non discriminazione del diritto euro-unitario.

      La questione resta aperta, anche perché la Corte non ha ben chiarito quali siano i riferimenti temporali della conoscenza dell’interesse transfrontaliero certo da parte dell’operatore, con la conseguente difficoltà dell’interprete di agganciare ad un parametro rigido e ben definito lo scrutinio delle condizioni per la legittima applicazione della proroga.

antonio martini

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento