L’ incremento di superfici e volumi di un fabbricato preclude il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma.

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La seguente decisione esamina il caso di opere edilizie realizzate in difformità al permesso di costruire, rilasciato al privato senza la preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, nonostante che il lotto interessato dall’intervento rientrasse in area soggetta a vincolo.

La sentenza, in particolare, afferma  che qualora, come nella fattispecie, gli interventi realizzati in difformità comportino l’aumento delle superfici e/ o dei volumi  previsti dal permesso di costruire, è precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma.

Di particolare interesse è il richiamo alla giurisprudenza  del Consiglio di Stato secondo la quale la qualificazione di rilevanza paesaggistico- ambientale di un sito non è determinata dal suo grado d’inquinamento, dal momento che,   in tutti i casi di degrado ambientale, sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio già riconosciuto meritevole di tutela  .

In tal caso, pertanto, l’imposizione del relativo vincolo serve  a prevenire l’aggravamento della situazione e  a perseguirne il possibile recupero .[Avv. ************]

 

 Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima); Presidente *************; Estensore Ref. *****************.

Sentenza n° 1192 del 4 luglio 2014

sul ricorso proposto da
****, rappresentata e difesa dall’avv. ****;

contro

Ministero Per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr. Salerno, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele n. 58;

Comune di Sicignano degli Alburni;

per l’annullamento

del provvedimento della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno ed Avellino prot. n. 22472 del 02.08.2013 recante parere contrario sull’istanza di compatibilità paesaggistica ex art. 167, co. 4 e 5, d.lgs n. 42/2004, presentata dalla ricorrente in data 09.04.2013

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e le Attività Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 maggio 2014 la dott.ssa ***************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

La ricorrente ha richiesto e ottenuto il permesso di costruire n. 23/2008 “per ricostruzione fabbricato urbano in località ****, di sua proprietà, sito nel comune di Sicignano degli Alburni.

Tale permesso è stato tuttavia rilasciato – e ciò è pacifico tra le parti del presente giudizio – senza la preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, nonostante che il lotto rientrasse in area soggetta a vincolo (sia pure a seguito di novità normative intervenute in pendenza dell’istanza di p.d.c.).

Successivamente, avendo realizzato alcune opere in difformità dal permesso n. 23/2008, la ricorrente ha presentato istanza di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167, co. 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004.

Con atto n. 22472 del 2 agosto 2013, la Soprintendenza B.A.P. di Salerno e Avellino ha espresso “parere contrario in ordine alla conclusione dell’accertamento di compatibilità paesaggistica”, con articolate motivazioni.

Avverso tale determinazione – negata la sospensione cautelare con ordinanza di questo T.A.R. n. 811/2013 – insorge l’odierna ricorrente.

Il primo motivo di controversia riguarda l’oggetto della valutazione svolta dalla Soprintendenza. Questa infatti – in disaccordo con quanto sostenuto da parte ricorrente – ha ritenuto di doversi esprimere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intero fabbricato e non soltanto delle varianti apportate al progetto sotteso al p.d.c. n. 23/2008.

Il Collegio ritiene che la Soprintendenza abbia agito correttamente, per le ragioni di seguito illustrate.

L’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 prevede che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica nei casi di “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, “impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica”, “lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria” ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. n. 380/2001.

Nel caso in esame la mancanza della necessaria autorizzazione paesaggistica riguarda l’intero fabbricato. Il decorso del tempo dopo il rilascio del p.d.c. n. 23/2008 non muta il fatto che l’immobile per il quale esso è stato rilasciato era e resta abusivo dal punto di vista paesaggistico. Sicché, per la Soprintendenza, i lavori realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica non possono che essere costituiti dall’intera costruzione.

A tutto concedere – e così risulta aver ragionato la Soprintendenza – il raffronto, avente lo scopo di verificare la natura e la consistenza dei lavori ai fini della ammissibilità di una valutazione paesaggistica postuma, può dunque essere compiuto assumendo come parametro di riferimento l’immobile originariamente acquisito dalla ricorrente.

A tale riguardo, occorre premettere che:

– il Collegio ritiene di non doversi discostare da una interpretazione del testo normativo fedele alla lettera, la quale esclude l’accertamento di compatibilità paesaggistica nel caso di creazione o aumento di superfici utili “o” volumi;

– il Consiglio di Stato ha chiarito che “il divieto di incremento dei volumi edilizi imposto ai fini della tutela del paesaggio preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume…la natura del volume edilizio realizzato non rileva sul giudizio di compatibilità paesaggistica ex post delle opere, in cui la nuova volumetria, quale che sia la sua natura, impone una valutazione di compatibilità con i valori paesaggistici dell’area ex ante, essendo precluse autorizzazioni postume di opere che abbiano comportato nuovi volumi ai sensi dell’art.167 D.Lgs. n. 42 del 2004” (sez. II, parere 6 giugno 2012, n. affare 04814/2011);

– “quanto al rilievo dei volumi seminterrati o interrati…la Sezione richiama e ribadisce in questa sede la propria consolidata giurisprudenza, per la quale – come si desume dall’articolo 167, comma 4, del medesimo Codice – hanno rilievo paesaggistico i volumi interrati e seminterrati: così come per essi è applicabile il divieto di sanatoria quando sono realizzati senza titolo (perché il comma 4 vieta il rilascio della sanatoria paesaggistica quando l’abuso abbia riguardato volumi di qualsiasi natura), così essi hanno una propria rilevanza paesaggistica per le opere da realizzare” (sez. VI, sent. n. 4503/2013).

Nella fattispecie, la Soprintendenza ha rilevato che “originariamente il fabbricato rurale aveva due piani (seminterrato, destinato a stalla, e piano terra, di fatto rialzato, adibito a residenza) oltre al sottotetto della copertura a capanna, mentre la costruzione attuale ha tre piani (più il sottotetto non praticabile, ma comunque dotato di botola e bucature), con superfici utili incrementate, di cui il livello inferiore (con altezza netta di 2,70 m) è seminterrato con tre lati in gran parte fuori terra, tanto da essere predisposti ad avere più aperture, e dovrebbe essere adibito a vari usi (autorimessa con portico antistante, locale pluriuso, cantina, wc, disimpegno ecc.) nonché presenta, rispetto al fabbricato preesistente, una sagoma con altezze alla gronda (nonché al colmo e all’interpiano) prevalentemente maggiori, la conformazione e l’estensione delle facciate sostanzialmente variate e sia caratteristiche tipologiche generali che l’assetto del tetto significativamente mutati”.

Inoltre, si legge nella Relazione tecnica allegata all’istanza di compatibilità paesaggistica che:

– l’abitazione su tre livelli è costituita da: piano seminterrato (autorimessa, porticato, locale impianti, vano pluriuso, cantina, bagno e scala), piano rialzato (cucina, soggiorno, ingresso con piccolo portico, bagno e antibagno, camera, scala, balconcini), piano primo (quattro camere da letto, due bagni, balconcini);

– l’intervento determina modifica dell’aspetto delle facciate e incremento delle superfici utili (pag. 2 Relazione tecnica descrittiva).

E dalle osservazioni trasmesse dalla ricorrente in riscontro alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza emerge che:

– “l’edificio preesistente era a due piani con un sottotetto destinato ad abitazione…Il piano terra…era destinato a stalla”;

– “il fabbricato ristrutturato è posto ad una quota più bassa, infatti il seminterrato è a -1,70 al lato ovest rispetto la quota preesistente e quivi sono state realizzate la citata autorimessa ed altri locali di servizio, il piano terra è a quota 0,00 rispetto al piazzale del caseificio, recuperando un 1,20 rispetto il preesistente fabbricato…il piano superiore è destinato a zona notte ed il sottotetto non praticabile…nasce rispetto il primo progetto per ottemperare alle norme sul risparmio energetico”;

– “per quanto riguarda la sagoma delle facciate, la dimensione fuori terra è sostanzialmente la stessa, cambia, purtroppo la sagoma della copertura che ricordiamo, nasce in una progettazione del 2007 che, ovviamente, non tiene conto della necessità di dotarsi di autorizzazione paesaggistica”.

In ultima analisi, attraverso il collocamento dell’immobile a una quota più bassa, si è ottenuto che:

– il nuovo piano superiore gode di una superficie totalmente utilizzabile e di un volume maggiore rispetto al preesistente sottotetto abitato, perché a differenza di quest’ultimo non è mansardato;

– è stato aggiunto un nuovo sottotetto, asseritamente non praticabile e tuttavia necessariamente da computare nel calcolo dei volumi rilevanti sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, come chiarito dal Consiglio di Stato nel parere sopra riportato.

La ricostruzione dello stato di fatto operata dalla Soprintendenza trova dunque riscontro nei grafici versati agli atti del giudizio e nella relazione tecnica di parte ricorrente, e costituisce adeguata motivazione per il parere contrario rilasciato in ordine all’istanza ex art. 167, d.lgs. n. 42/2004. Il constatato incremento di superfici e volumi preclude il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma.

Il Collegio rileva altresì quanto segue.

La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, per non avere la Soprintendenza sufficientemente motivato, nel provvedimento finale, in merito alle controdeduzioni prodotte dalla stessa ricorrente in riscontro alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

La censura non convince. Il parere della Soprintendenza argomenta in ordine a tutte le questioni ivi sollevate: il carattere abusivo delle opere, la consistenza obiettiva delle costruzioni, l’insussistenza dei presupposti di cui al parere n. 16721/2010 dell’Ufficio legislativo del Ministero B.A.C., la ritenuta incongruenza di alcune parti della documentazione, le caratteristiche della zona nella quale si trova il fabbricato.

In particolare, il richiamato parere ministeriale – nell’intento di evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche della normativa – escluderebbe la necessità dell’autorizzazione paesaggistica con riferimento a incrementi di volume o di superficie “di minima entità”, che non risultino “neppure visibili” e che non rechino pregiudizio ai valori protetti “in quanto oggettivamente non percepibili”.

Sul punto, la Soprintendenza ha correttamente osservato che tali condizioni non risultano verificate nel caso oggetto del presente giudizio, nel quale si riscontrano mutamenti della sagoma (altezze alla gronda, al colmo e all’interpiano prevalentemente maggiori), delle facciate (per conformazione ed estensione), delle caratteristiche tipologiche generali, dell’assetto del tetto, nonché interferenze della nuova struttura con l’andamento del terreno circostante.

In ogni caso, si ritiene di dover condividere la posizione della Soprintendenza, laddove afferma che “la normativa invocata prescinde da valutazioni soggettive e discrezionali inerenti alla percettibilità delle opere eseguite sine titulo, la cui ammissibilità ai benefici di legge va valutata – trattandosi di deroga al divieto generale di rilascio di autorizzazioni in via postuma – con tassativo riferimento a quanto disposto dall’art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42/2004”.

Ancora, in relazione all’ambiente urbano circostante – secondo la ricorrente “di scarsissimo valore paesaggistico attesa la presenza di grandi edifici anonimi e privi di qualsiasi qualità architettonica” – la Soprintendenza utilmente richiama quanto da tempo affermato dal Consiglio di Stato circa il fatto che “non può affermarsi la sussistenza dei vizi di difetto di istruttoria e di motivazione in relazione al fatto che l’area in parola fosse stata nel corso del tempo degradata e parzialmente urbanizzata e che le aree circostanti fossero state notevolmente alterate… l’avvenuta edificazione di un’area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso” (Sez. VI, sent. n. 3556/2010); e che “siccome la qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado d’inquinamento – ché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela -, ne consegue che l’imposizione del relativo vincolo serve piuttosto a prevenire l’aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero” (Cons. Stato, VI, 27 aprile 2010, n. 2377).

In ogni caso, la Soprintendenza rileva che l’immobile “non apporta un contributo alla qualificazione delle vedute d’insieme del luogo e non può essere ritenuto migliorativo per il paesaggio rispetto all’edificio preesistente”.

Alla luce di tutto quanto sopra considerato, il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima),

definitivamente pronunciando sul ricorso , lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti del Ministero per i beni e le attività culturali, liquidate in complessivi euro 1000,00 (mille/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:

 

Avv. Iride Pagano

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