Infortunio sul lavoro: danno non patrimoniale risarcibile anche al convivente

Redazione 25/03/13
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Anna Costagliola

Con la sentenza n. 7128 del 21 marzo 2013, la terza sezione civile della Cassazione ha riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente ad un infortunio sul lavoro anche in favore della convivente della vittima del sinistro. In virtù di tale affermazione di principio, certamente comportante un rafforzamento delle tutele patrimoniali dei conviventi, la Corte ha annullato la sentenza con cui la Corte territoriale, in riforma della decisione di primo grado, aveva negato il risarcimento per il danno occorso alla vittima, rimasta con gravi deficit fisici, in favore dell’allora convivente, successivamente moglie e madre di un bambino.

Gli Ermellini ricordano come sia ormai acquisito il principio per il quale ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali seriamente invalidanti a causa del fatto illecito altrui spetti anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima. Peraltro, è copiosa la giurisprudenza della stessa Cassazione cha ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito anche al convivente more uxorio del danneggiato, quando risulti dimostrata una relazione caratterizzata dalla tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale.

In particolare, il riferimento ai «prossimi congiunti» della vittima quali soggetti danneggiati iure proprio in considerazione del carattere plurioffensivo dell’illecito deve essere inteso, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto, nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate, a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. E la convivenza, in questo contesto, non deve essere necessariamente intesa come coabitazione, quanto piuttosto come «stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti». Secondo la Corte, infatti, il riferimento costituzionale del diritto di specie non è negli artt. 29 e 30 della Costituzione posti a tutela della famiglia e del diritto del singolo a contrarre matrimonio, quanto piuttosto nell’art. 2, che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale.

In particolare, sottolineano gli Ermellini, ove si tratti di una relazione prematrimoniale o di fidanzamento che, a prescindere da un rapporto di convivenza attuale al momento dell’illecito, sia destinata ad evolversi, e di fatto si evolva, in epoca successiva all’illecito, in matrimonio, torna ad assumere rilevanza anche il menzionato art. 29 della Costituzione, inteso come norma di tutela costituzionale non solo della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ma anche del diritto del singolo a contrarre matrimonio e ad usufruire appieno dei diritti-doveri reciproci, inerenti le persone dei coniugi, nonché a formare una famiglia quale modalità di piena realizzazione della vita dell’individuo.

Tanto premesso, è ovvio che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza delle lesioni gravissime subite dalla persona a cui è legato da relazione affettiva, dovrà allegare e dimostrare l’esistenza e la natura di tale rapporto, ma anche la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, che assuma rilevanza in ragione del momento di verificazione dell’ illecito.

Conclude così la Corte che, se è da escludere il riconoscimento del diritto al risarcimento in capo a colui che, non legato da al alcun rapporto col danneggiato al momento della commissione dell’illecito, abbia solo in epoca successiva instaurato una relazione affettiva, non altrettanto può affermarsi quando si assuma che tale relazione esistesse già all’epoca del fatto illecito e che essa si sia mantenuta, ed anzi rafforzata, dopo la sua commissione, tanto da aver condotto al matrimonio ed alla formazione di una famiglia. Spetta al giudice di merito accertare, nel caso concreto e sulla base degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità di detta relazione ai fini risarcitori, anche tenuto conto della sua evoluzione.

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