Imputabilità penale: capacità di intendere e di volere e volontà

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Il presente contributo affronta l’essenza della capacità di intendere e di volere che, come noto, costituisce il presupposto dell’imputabilità, in relazione alla libertà di compiere scelte d’azione e al ruolo della volontà, sia nella c.d. suitas, che con riferimento all’elemento psicologico del reato, evidenziandone le differenze. Per approfondimenti sull’impostazione del dibattimento consigliamo il volume: “Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia”

Indice

1. L’essenza della libertà interiore, il libero arbitrio


Quando si affronta il tema della libertà bisogna prendere in osservazione i due campi in cui essa opera. Il primo è rappresentato dalla sfera interiore del soggetto ed indica la capacità di scegliere autonomamente[1]. Il secondo opera sul piano delle relazioni esterne che la persona instaura con il “fuori da se stesso” e valuta come si deve essere liberi nel rapporto con le altre persone, nel rapporto con le proprie cose e con le cose degli altri e nel rapporto con il mondo[2].
Presupposto indispensabile per l’imputazione penale è il compimento di libere scelte d’azione. In sostanza, per punire penalmente un individuo, quest’ultimo deve essere stato libero nel compimento dell’azione criminosa.
La locuzione poc’anzi espressa “deve essere stato libero” sembra quasi un ossimoro per i fautori del libertarismo puro[3], infatti per essi ogni dovere implica la negazione della libertà. Ma se si mantiene sullo sfondo la premessa della relatività, ci si rende conto che non si tratta di visioni escludenti. Infatti, il dovere è un costrutto socio-culturale e morale che opera sul piano relazionale e non va ad intaccare la libertà interiore dell’individuo. Per fare un esempio semplice, si pensi alla domanda: Sono libero di uccidere qualcuno? In via generale, poche persone risponderebbero a brucia pelo. Quella pausa di riflessione osta alla verità della risposta. Infatti, la maggior parte delle persone tenderanno a rispondere di no, perché si avvertirà il senso morale interiore ed il senso sociale della sfera relazionale. Ma la verità precede quel frangente che si instaura tra il momento in cui la domanda viene completamente recepita e l’insorgere del pensiero controllato. In verità, la risposta non può che essere positiva. Tale libertà (che rappresenta sul piano valoriale la più forte) non è scalfita nella sua essenza, così come non lo sono tutte le libertà interiori. Per comprende il vero senso della libertà, allora, bisogna cambiare la domanda, che diventa:  si ha il diritto di uccidere qualcuno?
In questo caso non ci si sarà alcuna pausa, perché la risposta è imminente ed è negativa. Ma questo dato ci deve fare riflettere. Si ha la libertà di uccidere ma non il diritto di uccidere (in tale ragionamento non si includono quei casi in cui è necessario uccidere per difendere la propria o l’altrui incolumità perché si tratterebbe, appunto, di esercizio del diritto di difendersi e non del diritto di uccidere) ed allora ci si deve chiedere il perché si uccide e nello stesso tempo il perché non lo si fa. La differenza tra le due condizioni appena esposte la si rinviene nello stesso potere di scegliere e che implica la libertà di farlo e di non farlo. Non si può pensare che la sola minaccia di una pena detentiva severa (nei casi aggravati, come l’ergastolo) sia in grado di agire come fattore determinante la non scelta di uccidere, nel caso contrario non si registrerebbe alcuno omicidio. Si può però affermare che in via generale non esiste un diritto di uccidere. Infatti, avere il diritto di uccidere vorrebbe dire ritornare allo stato di natura dove il mondo è governato solo dalle leggi naturali e non da quelle dell’uomo stesso (norme). Anche le leggi naturali operano dall’esterno, ma queste seguono i criteri della forza e non quelli della giustizia.
La libertà dell’uomo, come si è già detto, è un dilemma che ha impegnato e che ancora impegna tutti i migliori pensatori del mondo. Il fulcro centrale è rappresentato dal significato da attribuire alla libertà. Sebbene può sembrare intuitivo, capire cosa voglia dire libertà è fondamentale per rispondere alla domanda siamo noi esseri liberi?
Per Aristotele così come per Platone, l’uomo è formato da una parte razionale che egli può dominare e da una parte irrazionale di cui non ha il controllo (impulsi e reazioni fisiologiche automatiche prodotte dalla struttura anatomica corporea senza l’intervento cosciente) ma, diversamente da quest’ultimo, egli crede che tali stadi dell’essere umano non debbano necessariamente venire in contrasto, perché l’uomo è in grado di autodeterminarsi. Quindi, si può dire che secondo Aristotele le azioni umane sono da giudicarsi volontarie quando l’uomo ne è causa efficiente, cioè dà origine all’azione, avendo precedentemente “scelto” come agire adeguatamente in vista di un fine (causa finale) indicato dal desiderio, che nell’uomo che segue la ragione, è la volontà. Mentre sono involontarie le azioni che si compiono:
a) per “costrizione”, che cioè non hanno il loro principio causale nell’agente
b) per “ignoranza” delle situazioni particolari dell’azione. Per approfondimenti sull’impostazione del dibattimento consigliamo il volume: “Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia”

FORMATO CARTACEO

Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia

Nel presente volume viene esaminata una delle fasi salienti del processo penale, il dibattimento, alla luce delle rilevanti novità introdotte dalla Riforma Cartabia con l’intento di razionalizzare i tempi del processo di primo grado e di restituire ad esso standards più elevati di efficienza, come la calendarizzazione delle udienze, la ridefinizione della richiesta di prova e la nuova disciplina della rinnovazione della istruzione dibattimentale.L’opera, che contempla anche richiami alla nuovissima disciplina relativa al Portale deposito atti penali (PDP), è stata concepita come uno strumento di rapida e agile consultazione a supporto dell’attività dell’avvocato.Oltre a quelle previste dal codice di rito penale, la trattazione passa in rassegna tutte le ipotesi in cui si svolge il dibattimento, come il procedimento innanzi al giudice di pace, il processo penale minorile e  quello previsto in materia di responsabilità degli enti.Il testo è corredato da tabelle riepilogative e richiami giurisprudenziali e da un’area online in cui verranno pubblicati contenuti aggiuntivi legati a eventuali novità dei mesi successivi alla pubblicazione.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB) e giornalista pubblicista. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2023

2. L’imputabilità e la sua ratio


Si pensi ad un esempio estremo come quello in cui vi sia un meteorite che sta per precipitare sulla terra e vi sia un uomo che si trovi ad affrontare questo problema. Se ci si sta riferendo ad un uomo comune, egli non sarà in grado di cambiare gli eventi e tale condizione è sufficiente per escludere qualsiasi indagine sulla sua volontà. Ora si consideri lo stesso problema rapportato ad un uomo che ricopre il ruolo “di guardiano della terra” che abbia il controllo di un potente lancia missili ad energia nucleare, idoneo a disintegrare una massa pari a quella del meteorite, che non azioni la macchina “anti-meteorite”. In tal caso ha senso parlare di imputabilità, perché l’uomo era nelle condizioni di poter fare altrimenti e si potrà procedere all’indagine della sua volontà.
Il libero arbitrio non è un concetto che deve essere analizzato sulla base di leggi assolute, come quella della natura degli eventi, ma è un concetto relativistico che appartiene o non appartiene all’uomo che agisce o non agisce nel caso concreto in un certo tempo ed in un certo contesto. Ne consegue che, la volontà umana non è un fattore che è avulso dalle leggi deterministiche, ma è essa stessa una delle leggi deterministiche[1] e sarà in grado di fungere da causa escludente gli altri fattori, solo quando si troverà in una posizione di pari forza rispetto alle altre leggi[2]. E’ questo, ad avviso di chi scrive, il concetto centrale che si deve osservare quando si esamina il libero arbitrio. L’uomo è capace di libero arbitrio quando può autodeterminarsi[3] e può autodeterminarsi quando la sua volontà è più forte dagli altri fattori determinanti[4] che coagiscono insieme a lui nella determinazione dell’evento finale o nella realizzazione di una certa condotta a prescindere dalla produzione o meno di un certo evento. Tale condizione deterministica della volontà umana è possibile perché l’uomo è capace di autodeterminarsi in senso astratto e può esserlo anche nell’azione concreta. Per assumere come vera una condizione astratta e generalizzata come “esiste il libero arbitrio”, bisogna verificare come vera una condizione concreta, nel caso che ci occupa “è stato libero quell’uomo in quel contesto ed in quel momento” che sia necessariamente dipendente dalla condizione astratta, per cui se è vera la condizione concreta, è vera la condizione astratta.
Tale costrutto è alla base del meccanismo di imputazione penale.
E’ con Francesco Carrara[5] (scuola classica) che si consolida (pensiero illuminista) l’idea che il diritto penale debba indirizzarsi solo nei confronti dei soggetti che hanno scelto di delinquere (adesione psicologica al fatto di reato e realizzazione dello stesso) perché l’uomo è in grado di compiere libere scelte di azione ( uomo come essere dotato di libero arbitrio). Ne consegue che chi non è in grado di compiere libere scelte di azione non può essere ritenuto punibile perché non imputabile[6]. L’articolo 85[7] del codice penale fissa tale condizione ed infatti stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui l’ha commesso non era imputabile” e specifica che “è imputabile chi ha la capacità di intendere (si deve precisare che con il termine intenzione si vuole indicare la capacità di comprensione che è cosa diversa dall’intenzionalità) e di volere”. L’imputabilità[8] dunque è la base di partenza che legittima l’indagine sull’elemento psicologico del reato che poi proseguirà con la verifica della sussistenza dello stesso (dolo, colpa, preterintenzione). Da tale norma, si può comprendere come l’autodeterminazione appartenga a tutti, ma solo chi è in grado di autodeterminarsi può esercitarla.
Il corollario della volontà, poi, è inquadrato dagli artt. 42, 43 (il delitto è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione…) 45, 46 (caso fortuito e forza maggiore e costringimento fisico) e 47 del codice penale(errore di fatto) fattispecie quest’ultime che escludono la colpevolezza perché affrontano situazioni in cui l’uomo non è in grado di esprimere la propria volontà a causa di condizioni irresistibili, imprevedibili, esterne ed eventi non rimproverabili, perché in tali casi è assente ogni possibilità di autodeterminarsi[9] Detto altrimenti, richiamando quanto già affrontato, non ha la capacità di dominare e contrastare altri fattori determinanti.
Dalle norme penali che disciplinano l’imputabilità si desumono due corollari:
1)     la volontà libera è punibile;
2)     la volontà non libera è assente o grandemente scemata e perciò non punibile o punibile con un trattamento sanzionatorio più mite proporzionale alla capacità del volere.
Ne consegue che, l’imputabilità sia formata, sia dalla coscienza, che dalla volontà e che la coscienza rappresenti la capacità del volere, ovvero, il presupposto della volontà.
Se ne deduce che l’uomo è dotato di libero arbitrio, ma può esserlo o non esserlo in azione. Si intende fare riferimento alla differenza che vi è tra la libertà d’azione come stato e la libertà d’azione come scelta. Libertà d’azione come stato, è condizione della volontà umana che è libera se non affetta da menomazioni interne (incapacità di intendere e di volere). Libertà d’azione come scelta, che si traduce nell’eseguire il voluto ed essendo esecuzione si trasformerà in modifiche apportate al mondo naturale. Una libertà di scelta che può non esserci a causa di fattori determinanti esterni[10] escludenti.
Quanto appena esposto lo si può capire meglio facendo riferimento alla teoria del nesso causale sviluppata in ambito penalistico (teoria condizionalistica). Gli artt. 40 e 41 del codice penale[11] affrontano uno degli elementi oggettivi del reato, il nesso di causalità, postulando l’uomo come fattore causale. L’art. 40 c.p. recita: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Da tale precetto, come si è già detto, emerge chiaramente che l’uomo è considerato come capace di causare un certo evento, sia esso inteso in senso naturalistico o in senso giuridico. Il primo comma dell’art. 41 c.p. recita: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento”. Per il lavoro svolto fino a questo punto, tale comma ricopre un ruolo fondamentale perché non solo postula il libero arbitrio, ma sancisce sia la possibile operatività di più fattori determinanti, compresa l’azione umana, nella produzione di un certo evento, sia la possibilità che l’azione umana sia determinante nonostante l’interazione di altri fattori determinanti, postulando in tal modo una situazione in cui l’uomo, essendo dotato di libero arbitrio, può evitare la produzione di un certo evento nonostante l’interazione di altri fattori determinanti perché può fare altrimenti e cambiare gli effetti prodotti da quest’ultimi, perfino quando ad interagire sia un altro uomo, ex comma III art. 41 c.p. . Tale processo causale viene interrotto solo dalla sopravvenienza di altri fattori causali che siano da soli sufficienti a determinare quell’evento, ex comma II art. 41 c.p. sul presupposto che essendo gli stessi sganciati nel tempo in cui stava agendo una certa condotta umana, la stessa non avrebbe potuto avere alcun effetto condizionante su di loro .
Altro discorso è l’individuazione dell’essenza deterministica. Ci si riferisce al cosa sia il determinismo e se questo possa essere descritto come un fattore costrittivo. I compatibilisti negano tale immedesimazione, proprio, al fine di giustificare la coesistenza tra il libero arbitrio e il determinismo, poiché se quest’ultimo fosse costrizione non ci potrebbe essere libero arbitrio. Ma non necessariamente tale costrutto è vero e non lo è se si chiarisce cosa si intende per costrizione. Bisogna cioè chiarire se tutto quello che può costringere è in grado di annichilire fino ad annientare il libero arbitrio. Si pensi ad una malattia neurale che renda un individuo incapace di ragionare, in tal caso la malattia è un fattore costrittivo perché azzera la capacità di ragionare di tale individuo. Adesso, si pensi ad un uomo minacciato di fare o non fare qualcosa da un altro uomo che utilizza una pistola contro di lui. In tale caso si può affermare che l’uomo minacciato sia privo di libero arbitrio? Potenzialmente l’uomo minacciato potrebbe non acconsentire ad alcunché e correre il rischio di essere ferito o ucciso o di subire qualche altro male ingiusto. Si ponga il caso in cui l’uomo minacciato scelga di non opporsi alla minaccia dell’uomo armato di pistola e riesca a colpirlo disarmandolo e mettendolo in fuga. In tale esempio, si può affermare che l’uomo minacciato abbia esercitato la propria capacità di autodeterminarsi, perché libero era il suo arbitrio. Si pensi sempre allo stesso esempio ma questa volta con effetti diversi per l’uomo minacciato, il quale si oppone e rimane ferito o ucciso. Anche in questo esempio l’uomo ha esercitato la propria capacità di scelta. Da ultimo, si pensi che l’uomo minacciato acconsenta alle minacce e faccia o non faccia quella cosa che l’uomo armato gli ha costretto di fare o di non fare. In tal caso si dovrebbe pensare che l’uomo minacciato non abbia il libero arbitrio? Sarebbe una conclusione errata, perchè la stessa sarebbe determinata solo dagli effetti diversi prodotti dalle condizioni che si sono verificate nell’ultimo esempio. In realtà, quell’uomo ha scelto considerando più fattori e probabilmente, affrontando nella sua mente ogni possibile conseguenza a cui si è fatto riferimento nei tre esempi riportati. In questo caso, è corretto pensare all’uomo che minaccia un altro uomo con una pistola come un fattore costrittivo? Se si pensa che un fattore costrittivo annienti il libero arbitrio, allora la risposta dovrà essere negativa. Se, invece, si pensa allo stesso come un fattore determinante, allora la risposta sarà positiva, poiché il libero arbitrio non è stato annientato. Ne consegue che non ogni fattore costrittivo è in grado di annientare il libero arbitrio e che non ogni fattore costrittivo è in grado di determinare una scelta di azione e se questo è vero, non è vero che costrizione e libero arbitrio si annullino reciprocamente.

3. Conclusione


L’art. 42, I co., afferma che: “Nessuno può essere punito per un’ azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” poiché la suitas, il libero arbitrio, è la causa delle azioni od omissioni. Avendo chiarito quando può ritenersi un uomo privo del proprio libero arbitrio e avendo affrontato la differenza tra costrizione e determinazione, per concludere si può affermare che la volontà assume un duplice ruolo: agisce come parametro della capacità del volere al fine di appurare l’esistenza del libero arbitrio dell’agente e come elemento autonomo e successivo al fine di valutare l’adesione psicologica alla condotta e/o all’evento determinato a causa della sua azione. Certo è che nel meccanismo dell’imputazione penale vi è bisogno di effettuare una graduazione sia del livello della coscienza che della volontà rispetto agli obiettivi che la legge penale intende raggiungere e rispetto allo specifico contesto in cui l’azione è stata compiuta.

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Francesca Fuscaldo

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