Il servizio pubblico di trasporto e l’imposizione di “penali”: commento a TAR Toscana n. 587/2015.

Scarica PDF Stampa

Il settore del trasporto pubblico locale di recente è rimasto uno dei settori in precario equilibrio tra le esigenze pubbliche e la concorrenza nel mercato, tra funzione pubblica ed economicità delle prestazioni.  Non è questa la sede per affrontare la definizione dogmatica di “servizio pubblico (locale)”, ma senza dubbio -e non a caso- la normativa europea del settore afferma in modo inequivocabile che “per obblighi di servizio pubblico si devono intendere quelli che un operatore del servizio di trasporto passeggeri, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe oppure non assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso” (art. 2, lett. c,  Reg. 1191/1969, e art. 16 Trattato).

I rapporti tra P.A. e impresa sono regolati da disciplinari, detti anche convenzioni-contratto, o contratti di servizio.Già la famosa “legge Bassanini” n. 59/1997 prevedeva che l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati, fosse regolato mediante contratto di servizio. Il decreto legislativo n. 422/1997, di attuazione della delega, in termini decisi prevede l’obbligo di rispettare scrupolosamente le clausole dei contratti di servizio. L’art. 14 del Regolamento CEE n. 1893/91, che aveva sostituito il Reg. n. 1191/69, definiva tale contratto come quello stipulato tra l’autorità competente di uno Stato e l’impresa di trasporti al fine di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti. Il problema dell’inquadramento giuridico del contratto di servizio è stato ed è ancora vivamente dibattuto. Al riguardo si può affermare che sono state sostenute tutte le tesi possibili: che si tratta di una concessione-contratto; che si tratta di un vero e proprio contratto di diritto privato, con alcune particolarità e profili pubblicistici; che si tratta di un accordo sostitutivo di provvedimento, fattispecie prevista e disciplinata dalla legge n. 241/1990. In realtà il decreto legislativo n. 422, a ben vedere, non ha segnato la scomparsa degli obblighi di servizio, ferma restando la riconduzione ad un unico rapporto di tutti gli aspetti, sia quello della concessione, sia quello degli adempimenti ed oneri che il servizio deve rispettare, sia quelo del corrispettivo economico.

Il d.lgs. n. 422 ha voluto confermare il concetto di obbligo di servizio pubblico stabilendo che le regioni, le province e i comuni definiscono gli obblighi di servizio pubblico prevedendo nei contratti di servizio le corrispondenti compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi. Quindi la nozione di obbligo di servizio pubblico è stata conservata, ma -come ha osservato la dottrina- essa viene ricondotta nell’alveo del contratto di servizio pubblico, e viene a costituire uno degli aspetti del contratto di servizio pubblico. Ad ogni inadempienza dell’azienda nei confronti della collettività degli utenti (ritardi, soppressione di corse, eccetera) consegue una specifica penalità: già l’art. 19 del cit. d.lgs. 422 lo prevedeva, ed altrettanto prevedono le singole leggi regionali che disciplinano il settore in esame. Ma ciò premesso, si pone però la questione se e in che misura l’autorità amministrativa concedente possa applicare penalità e/o sanzioni anche laddove il servizio pubblico non sia svolto in base ad un  normale accordo contrattuale, bensì sulla base di un atto di imposizione coattivo. Ma andiamo con ordine.

Il Regolamento n. 1370/2007, che ha sostituito il Reg. 1893/91, all’art. 5 prevede la possibilità per l’autorità competente o di aggiudicare direttamente il contratto di servizio pubblico, o di addivenire ad una proroga consensuale del precedente contratto, o addirittura di imporre l’obbligo di fornire i servizi di trasporto pubblico a carico di un operatore, in caso di <interruzione del servizio ovvero di pericolo di interruzione dello stesso>. Si è infatti verificato a partire dal 2010 un drastico taglio da parte dello Stato al trasferimento di risorse alle regioni per l’espletamento dei servizi di trasporto pubblico (cfr. Legge n. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010 recante “Misure urgenti per la competitività economica”), per cui gli enti regionali non hanno potuto bandire normali gare per l’affidamento in concessione, in carenza di certezza di risorse finanziarie. Per evitare l’interruzione di un servizio pubblico, regioni ed enti locali hanno adottato atti impositivi ai sensi del cit. art. 5 del Reg. 1370.

Più in particolare, l’art.13 D.L. 150/2013 (conv. nella L. 27 febbraio 2014 n. 15) prevede infatti che “in deroga a quanto previsto dall’ articolo 34, comma 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito in legge 17 dicembre 2012 n. 221, al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l’ente di governo dell’ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento, il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014”.

Le singole Regioni hanno adottato disposizioni applicative; per fare un esempio, la legge regionale della Toscana n. 77 del 24 dicembre 2013 (Disposizioni in materia di servizio di gestione integrata di rifiuti e di trasporto pubblico locale su gomma ) all’art. 68, prevede che: “Per garantire la continuità del servizio di gestione dei rifiuti urbani e del trasporto pubblico locale su gomma, nelle more dell’espletamento delle procedure di affidamento del servizio al gestore unico da parte delle autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, di cui all’articolo 31 della l.r. 69/2011, e della Regione Toscana, il servizio è espletato dai soggetti pubblici e privati esercenti a qualsiasi titolo l’attività operanti alla data del 31 dicembre 2013, sino al subentro del gestore unico”.

In sostanza, in attesa delle gare bandite a livello di ambito unico regionale, le aziende normalmente concessionarie (previa gara) del servizio pubblico di trasporto si sono trovate pressochè “costrette” a esercitare i servizi imposti con <atti d’obbligo>, senza poter realmente contrattare le principali clausole del rapporto, compresi i corrispettivi, gli oneri e le penalità.

Come ben si ricava dalla rapida disamina della normativa, regioni e enti locali (in molte regioni le Amministrazioni Provinciali a ciò delegate), in forza delle norme e degli accordi citati, hanno imposto alle aziende già esercenti al 31.12.2013 l’esecuzione del servizio pubblico riconducendolo nell’alveo dei contratti imposti ex lege. Una simile genesi delle obbligazioni, “autorizzata” dalla normativa, non è nè sconosciuta, nè insolita nel nostro ordinamento.

In linea teorica, è noto che le obbligazioni nascono o dal consenso tra le parti (ex contractu) o da norme di legge (ex lege), salve le obbligazioni nascenti da fatto illecito extracontrattuale.  Il trasporto di persone è considerato dalla UE un servizio di interesse generale. A livello dogmatico, è nota la categoria dei contratti imposti da una norma o dalla autorità amministrativa. Basti pensare alla stipula di assicurazione per la copertura dei danni da circolazione di veicoli a motore, o alle clausole imposte per la locazione di immobili ad uso abitativo, e così via. Nello specifico, occorre porre attenzione al principio generale dell’art. 1339 c.c. , secondo cui “le clausole, i prezzi di beni e servizi, imposti dalla legge sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi insetrite dalle parti”. La giurisprudenza ha più volte chiarito che la P.A. ben può inserire unilateralmente clausole e precetti che sono finalizzati alla tutela dell’ordine pubblico o di interessi collettivi perchè ad esempio sono di utilità generale: nel caso del settore trasporti, certe clausole sanzionano le violazioni degli obblighi di servizio imposti dalla autorità competente (ad esempio: mancata esecuzione di corse, ritardi, ecc.).

Le norme comunitarie chiariscono che gli obblighi di servizio sono: obblighi di esercizio, obblighi di trasporto, obblighi tariffari. Per obbligo di esercizio si intende l’obbligo imposto alle imprese di trasporto di adottare le misure atte a garantire un servizio conforme a determinate norme di continuità, di regolarità e capacità. Pertanto la pubblica amministrazione conserva il potere non soltanto di vigilare e controllare l’esatto adempimento del servizio, ma anche quello di imporre penalità conseguenti alle inadempienze agli obblighi di servizio. Con l’importante sentenza pronunciata a sezioni unite n. 12111/2013, la Cassazione, ha affermato che in materia di trasporti pubblici locali l’amministrazione concedente non opera su un piano paritario con la azienda concessionaria, bensì in posizione di supremazia, giustificata dal ruolo di garante dell’interesse collettivo a salvaguardia del quale esercita le suddette funzioni, dirette al controllo della corretta esplicazione dei compiti affidati al gestore che comunque rimane un’attività di natura pubblica, anche nei casi in cui venga svolto da un privato su concessione della p.a. (in questi termini, anche T.A.R. Piemonte n. 1654/2014 e TAR Lazio, sez. III ter, n. 9916/2014).

Da questa premessa consegue che, focalizzandoci sullo specifico tema delle c.d. “penali” inserite negli atti d’obbligo, alla P.A. permane ai sensi dell’art. 133 lett. a) d.lgs. 104/2010 il potere di vigilanza e controllo sui concessionari, potere che può portare a sanzionare l’inadempimento dell’azienda nell’espletamento di uno o più servizi. In tal senso si sono già pronunciati, oltre alle decisioni sopra menzionate, anche Cassazione, ss.uu., n. 13939/2014, e TAR Toscana n. 587/2015.

La Cassazione, riprendendo la citata pronuncia n. 12111, ha confermato che la competenza a giudicare sul contenzioso inerente l’applicazione di penali (o meglio, sanzioni) spetta al Giudice Amministrativo, perchè si tratta di sanzioni concernenti un servizio pubblico ed espressione di poteri pubblicistici di vigilanza e controllo.

Sulla scorta di tale decisione, analizziamo cosa hanno stabilito nel dettglio le varie sentenze di TAR.

Il TAR Lazio n. 9916/14 si è trovato a giudicare delle contestazione mosse dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ad una società concessionaria che effettuava servizio traghetti. In primo luogo, il T.a.r. ha qualificato il contratto di servizio annesso alla concessione come “accordo sostitutivo del procedimento”, cosicchè tutte le controversie attinenti l’esecuzione di tali obbligazioni restano attratte nella giurisdizione del G.A. Il T.a.r. aggiunge altresì che la quantificazione delle sanzioni e le modalità di contestazione sono puntualmente disciplinati nel contratto di servizio, per cui sono sottratti a qualsiasi valutazione discrezionale dell’Ente, e il ricorso va respinto.

Il TAR Piemonte n.1654/2014 si è trovato invece a pronunciarsi su un ricorso da parte di una azienda di trasporto urbano, con il quale da un lato si eccepiva la radicale nullità del provvedimento che irrogava penalità pecuniarie all’azienda ricorrente stante la lamentata carenza assoluta di potere sanzionatorio, dall’altro si eccepiva la illegittimità di sanzioni unilateralmente decise e quantificate dalla P.A. senza contraddittorio con la controparte. Il T.a.r., nel ribadire la propria giurisdizione in materia di vigilanza e controllo sui servizi pubblici, ha respinto parzialmente il ricorso da un lato confermando il potere sanzionatorio della P.A. sulle aziende, dall’altro tuttavia ravvisando un difetto di motivazione sulla quantificazione di alcune delle sanzioni contestate.

Interessantissima in particolare la sentenza TAR Toscana, I^, 13.04.2015 n. 587. Il T.a.r. doveva giudicare il ricorso promosso da una azienda concessionaria di trasporto pubblico locale per l’annullamento delle sanzioni irrogate dalla P.A. concedente. Entrambi i motivi di ricorso sono stati respinti. Sul punto della carenza di potere di applicazione di penali contrattuali, il T.a.r. risolve la questione sottolineando che nella fattispecie la P.A. non aveva stipulato un contratto, ma adottato un atto di imposizione dell’obbligo di servizio, e dunque non si tratta di penali contrattuali, quanto piuttosto di sanzioni pecuniarie, essendo corretto e giustificato che dall’inosservanza degli obblighi scaturiscano sanzioni, ai sensi della legge n. 689/1981, in applicazione della norma generale della legge regionale toscana del settore. Sul punto della mancata effettuazione delle corse contestate per ragioni indipendenti dall’azienda (che la ricorrente imputa ad uno “sciopero mascherato” dei dipendenti) il T.a.r. respinge le giustificazioni giacchè per giurisprudenza consolidata lo sciopero non è causa non imputabile di inadempimento, salvo che si dia prova della sua illiceità per il modo in cui è stato realizzato, prova che nella fattispecie non viene offerta. Per altro verso, eventuali picchi di morbilità del personale o di assenze giustificate non esimono l’azienda concessionaria dall’onere di provare di avere messo in campo tutte le risorse -anche esterne- al fine di diminuire la perdita di corse e minimizzare i disagi per l’utenza, per cui i giudici toscani hanno ritenuto corrette e motivate le contestazioni elevate dall’ente pubblico.

Queste sentenze nel loro insieme confermano da un lato che i contratti di servizio con le aziende di trasporto sono considerate dalla giurisprudenza prevalente come accordi sostitutivi del procedimento, sulle cui controversie conosce il G.A., dall’altro che ben può la pubblica amministrazione, sulla base delle singole norme di settore, e nell’esercizio dei propri poteri ineludibili di vigilanza sul servizio pubblico, applicare sanzioni pecuniarie alla stregua della legge n. 689/81. E anche per i ricorsi avverso tali sanzioni è competente ancora la giustizia amministrativa, in deroga -dice la Cassazione cit.- alla normale competenza del G.O. in materia di sanzioni amm.ve .

Ciò indipendentemente che tra p.a. e concessionaria si sia stipulato un contratto oppure si proceda con atti di imposizione del servizio, a loro volta contenenti la previsione di “penalità” per l’inosservanza degli obblighi imposti. Spetta all’ente concedente contestare le sanzioni con atti formali, nei modi di cui alla legge n. 689/81, e riscuotere le relative sanzioni pecuniarie, che nella normalità saranno calcolate come parziale compensazione con i corrispettivi economici che mensilmente gli enti locali erogano alle aziende esercenti.

Avv. Barbensi Federigo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento