Il furto in abitazione ricorre anche se commesso all’interno di uno studio legale

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Commento a una decisione della Corte di cassazione assai interessante, in quanto chiarisce che il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. è configurabile anche ove il furto venga commesso all’interno di uno studio legale.

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 624-bis)

Indice:

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

Il fatto

La Corte di Appello di Napoli confermava l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato di furto di valori di cui all’art. 624-bis cod. pen. perpetrato all’interno di uno studio legale.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla erronea qualificazione giuridica del fatto trattandosi di furto commesso in un luogo di lavoro, non riconducibile nell’alveo della “privata dimora“, non risultando dimostrato che in detto luogo fossero compiuti atti di vita privata o che vi fossero aree riservate destinate allo svolgimento di attività a carattere personale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato generico e, quindi, in quanto tale, dichiarato inammissibile.

In particolare, veniva osservato che la più recente — e condivisibile – giurisprudenza di legittimità ha ritenuto corretta la qualificazione ex art. 624-bis cod. pen. del furto commesso di notte all’interno di uno studio legale ricorrendo i presupposti dello “ius excludendi alios” dell’accesso non indiscriminato al pubblico e della presenza costante di persone, anche eventualmente in orario notturno, essendo il titolare libero di accedervi in qualunque momento della giornata e ciò in quanto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale – e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Sez. 5, n. 34475 del 21/06/2018).

Oltre a ciò, veniva fatto presente come tale orientamento sia in linea con l’interpretazione letterale e sistematica della norma incriminatrice in riferimento esplicitata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 31345 del 23/03/2017 dal momento che in tale importante decisione, che ha risolto la questione controversa: “Se, ed eventualmente a quali condizioni, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624-bis cod.pen., i luoghi di lavoro possano rientrare nella nozione di privata dimora”, il Supremo Consesso ha delineato la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. Di conseguenza, alla luce di ciò, gli Ermellini hanno, quindi, affermato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come apparisse essere corretta la considerazione della Corte territoriale che aveva ricondotto il furto in disamina nella fattispecie di cui all’art. 624-bis cod. pen. stante la detenzione da parte del titolare, nel proprio studio professionale, di ori ed oggetti personali di valore accentua la destinazione a privata dimora del luogo in cui tali beni erano stati depredati, trattandosi, evidentemente, di area riservata, non accessibile a terzi senza il consenso del proprietario, in cui si svolgevano, non occasionalmente, atti della vita privata, in relazione alla tenuta e custodia in tale luogo di beni preziosi strettamente e intimamente legati alla persona del titolare.

In altri termini, si trattava, per la Corte di legittimità, per usare la definizione richiamata nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite sopra citata – di un luogo avente le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto fermo restando che, in tal senso, la citata sentenza ha riconosciuto il carattere di privata dimora (anche) ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi; ed ha fatto, in proposito, proprio l’esempio, fra gli altri, dell’area riservata di uno studio professionale (cfr., in motivazione, S.U., n. 31345/2017), condizione che, per la Cassazione, si attanagliava perfettamente alla vicenda in esame.

Sull’argomento, vedasi:

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito che il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. è configurabile anche ove il furto venga commesso all’interno di uno studio legale.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, cristallizzato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 31345/2017, viene ritenuta corretta la qualificazione ex art. 624-bis cod. pen. del furto commesso di notte all’interno di uno studio legale ricorrendo i presupposti dello “ius excludendi alios” dell’accesso non indiscriminato al pubblico e della presenza costante di persone, anche eventualmente in orario notturno, essendo il titolare libero di accedervi in qualunque momento della giornata e ciò in quanto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale – e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

Tale sentenza, quindi, può essere presa nella dovuta considerazione per sostenere la legittimità qualificazione giuridica di un fatto criminoso di tal genere, ove esso sia sussunto nell’ambito della fattispecie criminosa preveduta dall’art. 624-bis cod. pen., che, come è noto, prevede il delitto di furto in abitazione (oltre che il delitto di furto con strappo).

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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