Tentato furto in abitazione: quando ricorre il tentativo punibile?

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(Cass. pen. sez. V, 19 aprile 2019, n. 17363)

La massima

« L’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 c.p., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso.»

Il caso

Tizio, in concorso con altri, tentava di introdursi di notte in un’abitazione sita al primo piano di un immobile salendo con una scala sul balcone dell’appartamento mentre uno degli altri indagati fungeva da “palo” senza riuscire nell’intento per l’arrivo di una pattuglia dei Carabinieri allertati dai vicini di casa.

Il GIP del Tribunale di Trieste disponeva con ordinanza la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di tentato furto in abitazione pluriaggravato di cui agli artt. 56 e 624 bis c.p., art. 625 co. 1 n. 5 c.p. e co. 2, e art. 61 n. 5 c.p.

Con ordinanza emessa il 4.10.2018, il Tribunale del riesame annullava tale misura cautelare ravvisando dubbi sull’idoneità degli atti compiuti ad integrare un tentativo punibile dal momento che, all’esito delle perquisizioni effettuate nell’immediatezza, non risultava che gli indagati avessero la disponibilità di alcuno strumento da scasso idoneo al compimento del reato.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Trieste deducendo, con un unico motivo, la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale, infatti, pur riconoscendo che la condotta dell’imputato era diretta unicamente alla commissione di un furto in abitazione (ritenendo inverosimili le versioni rese dagli indagati) aveva escluso la configurabilità del tentativo sul solo rilievo del mancato rinvenimento di strumenti idonei allo scasso. Tale motivazione, secondo il Procuratore, sarebbe illogica in quanto le porte e le finestre potevano essere aperte, forzate o sfondate e comunque gli strumenti da scasso potevano essere stati occultati o abbandonati ovvero essere rimasti nella disponibilità del terzo complice riuscito a fuggire.

La decisione della Corte

Ai fini della soluzione del caso in esame la Corte di Cassazione rammenta, anzitutto, che sussistono i requisiti del tentativo punibile allorquando ricorrano l’idoneità e la direzione non equivoca degli atti.

Tale ultimo requisito, nonostante sia menzionato dopo l’idoneità, deve essere logicamente verificato prima in quanto rappresenta un giudizio prognostico avente ad oggetto una condotta che si sia già accertata univoca e ciò per evitare il rischio di ritenere idonei anche atti preparatori privi del connotato di univocità.

Nel caso in esame, la circostanza che uno dei complici fosse salito, mediante una scala appositamente portata sul luogo del delitto, sul balcone dell’appartamento assunto quale obiettivo del proposito criminoso, mentre l’altro fungeva da “palo”, integra senz’altro il requisito dell’univocità.

Quanto all’idoneità, secondo la quinta sezione, l’ordinanza del Tribunale del riesame, che aveva escluso il tentativo sostenendo che la mancanza di strumenti idonei allo scasso privasse gli atti compiuti del requisito dell’idoneità, è erronea in quanto confonde l’idoneità degli atti con l’idoneità degli strumenti.

Secondo la Corte, infatti, a prescindere dal sussistente vizio di motivazione (in quanto il Tribunale non ha considerato la circostanza che uno dei complici è fuggito senza essere controllato potendo in tal modo aver portato con sé gli strumenti idonei a forzare gli accessi all’abitazione) va rammentato che l’idoneità degli atti è il requisito che connota l’adeguatezza della condotta a mettere in pericolo il bene tutelato.

A differenza del previgente codice Zanardelli (che riferiva l’idoneità al mezzo), nel codice vigente l’idoneità è riferita esclusivamente all’atto in quanto anche un mezzo astrattamente idoneo (ad es. un fucile) può essere in concreto inidoneo (se si utilizza al di fuori della sua portata di tiro) a mettere in pericolo il bene oggetto di tutela.

La Suprema Corte ha, quindi, chiarito che il requisito dell’idoneità (inizialmente interpretato in termini di efficienza causale quale idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell’obiettivo delittuoso) è correttamente inteso quale capacità potenziale ossia attitudine offensiva dell’atto compiuto rispetto alla realizzazione del delitto preso di mira.

Quanto, poi, al grado di idoneità necessario ai fini della configurazione del tentativo punibile, la Corte rileva che la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi, invece, un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 c.p., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso[1].

Sulla base di queste premesse la Corte di Cassazione rileva che l’affermazione secondo cui il mancato rinvenimento di strumenti idonei allo scasso eliderebbe il requisito dell’idoneità degli atti compiuti è erronea.

La condotta posta in essere dagli indagati appare, infatti, connotata da una evidente attitudine offensiva rispetto alla realizzazione del delitto preso di mira, ed è caratterizzata, quanto al grado di idoneità, dalla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, non ricorrendo, al contrario, un’inefficienza strutturale e/o strumentale assoluta del mezzo usato.

Ed oltretutto, la Corte sottolinea che, secondo comuni e condivise massime di esperienza, per infrangere il vetro della finestra o del balcone di un appartamento potrebbe essere sufficiente anche l’esercizio della semplice violenza fisica sicché gli atti compiuti devono ritenersi idonei alla realizzazione del delitto preso di mira.

Sulla base delle suddette considerazioni la quinta sezione ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando al Tribunale di Trieste per nuovo esame.

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Note

[1] Si esprimono negli stessi termini Cass. pen. sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 17988 in cui la Corte afferma che «in tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata “ex ante” e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso.»; Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2015, n. 36726; Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2014, n. 9254; Cass. pen. sez. II, 22 settembre 2005, n. 36295; Cass. pen. sez. II, 14 gennaio 2004, n. 7630.

Avv. Mazzei Martina

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