Il dipendente ansioso ha diritto all’indennizzo INAIL?

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“Ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.
Corte di Cassazione – Sez. Lav. – Ordinanza n. 29611 del 11-10-2022

Indice

1. La vicenda

I giudici d’appello rigettavano l’impugnazione proposta da Tizia nei confronti dell’INAIL avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda della stessa volta ad ottenere la condanna dell’Istituto ad erogare l’indennizzo per danno biologico da malattia professionale (disturbo dell’adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con situazione lavorativa anamnesticamente avversativa).
 La Corte territoriale riteneva che l’INAIL non potesse indennizzare il danno psichico subito dai lavoratori per situazioni di costrittività organizzativa dopo l’annullamento da parte del Consiglio di Stato della circolare INAIL del 17.12.2003 e del D.M. n. 134 del 2004.

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 2. La censura

A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale Tizia deduceva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1,2,3.4,13 comma 2 lett. a) e ART. 139 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto i giudici del gravame avevano negato l’indennizzabilità della malattia professionale non tabellata di natura psichica dipendente dal cosiddetto stress lavorativo, anche in base al D.M. n. gennaio 2008 che ritiene non annullato dalla sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato.
 

3. La pronuncia della Suprema Corte

I giudici di piazza Cavour, nel ritenere la censura fondata, stabilivano che “Sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l’art. 28, comma 1 del tu. 81/2008)”.
 Pertanto, “Ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.
 Secondo i giudici Ermellini, non era corretta la statuizione della Corte d’Appello, secondo la quale sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle, visto che, al contrario, nel momento in cui il prestatore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualunque malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; difatti, non si può sostenere che la tabellazione sia venuta meno soltanto per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU.
 In virtù di ciò, il Tribunale Supremo accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava anche per le spese alla Corte di Appello in diversa composizione.
 
 

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