Competenza dell’accertamento di un credito di lavoro nella procedura fallimentare

Paola Orlando 05/01/23
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L’annosa questione dell’accertamento di un credito di lavoro nella procedura fallimentare: riparto di competenza o questione di rito?

Indice

1. La tutela dei crediti dei lavoratori

L’ambito concorsuale – con notevole frequenza – si intreccia con questioni attinenti a tematiche del diritto del lavoro e, più nello specifico, alla tutela dei crediti dei lavoratori. Si immagini, ad esempio, la necessità per un lavoratore di veder accertato un credito discendente da rapporto di lavoro nei confronti di un debitore (datore di lavoro) assoggettato ad una procedura concorsuale e alla contestuale necessità di quest’ultimo di instaurare correttamente la questione innanzi al Giudice al fine di ottenere la miglior tutela. Ebbene, in questa fattispecie la soluzione prospettata ultimi anni è stata tutt’altro che agevole e di facile comprensione in quanto la giurisprudenza di legittimità nell’ultimo ventennio è – quasi sempre – giunta a soluzioni contrastanti.
Intento del presente scritto è quello di individuare in modo chiaro e diretto in quali circostanze e sulla base di quali presupposti sia competente il Giudice del Lavoro e in quali il Giudice del concorso.
Occorre, primariamente, porre in luce una significativa tendenza – emersa negli ultimi anni – ad ampliare l’ambito di cognizione del Giudice del Lavoro, a discapito della competenza del Giudice del Fallimento, anche in parziale difformità al tenore letterale dell’impianto normativo, prima della legge fallimentare, ora del Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza.
Sul punto, infatti, gli articoli della Legge Fallimentare, così come le analoghe disposizioni normative introdotte nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa dell’Insolvenza, che disciplinano la competenza del Giudice della procedura concorsuale, sembrerebbero suggerire la volontà del Legislatore di attribuire a quest’ultimo la competenza a decidere in merito a tutte le azioni giudiziarie derivanti dal Fallimento (oggi Liquidazione Giudiziale).

2. La soluzione giurisprudenziale maggioritaria

Al riguardo – afferma la giurisprudenza di legittimità maggioritaria[1] – appare opportuno chiarire come il discrimen tra le due sfere di cognizione sia ravvisabile nell’individuazione delle rispettive speciali prerogative: del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e pertanto delle controversie aventi ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, nel rispetto del principio di legalità; mentre, del giudice fallimentare quale giudice del concorso, nel senso dell’accertamento e della qualificazione dei diritti di credito dipendenti da rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso – ovvero destinate comunque ad incidere sulla procedura concorsuale e che pertanto devono essere esaminate nell’ambito di quest’ultima per assicurarne l’unità e per garantire la parità tra i creditori – ed anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, salvo l’unico (limitato) effetto extra-fallimentare di efficacia del decreto o della sentenza di ammissione del credito allo stato passivo alla stregua di prova scritta, per gli effetti stabiliti dall’art. 634 c.p.c.
Si ricorre al concetto di “speciali prerogative” al fine di giungere ad un’ordinata trattazione delle questioni e per ricercarvi una soluzione coerente ed auspicabilmente corretta.
Considerato il rispettivo ambito cognitorio del giudice del lavoro e del giudice fallimentare, appare chiara, inoltre, la diversa di causa petendi e il petitum tra le domande riguardanti il rapporto, di spettanza del primo e di ammissione al passivo, di spettanza invece del secondo.
Ed infatti, sotto il primo profilo (causa petendi), la Cassazione più recente ha evidenziato che nelle prime rileva un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa – sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività e sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali – estraneo alla realizzazione della c.d. par condicio; nelle seconde rileva, invece, solo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito.
Sotto il secondo profilo (petitum), la distinzione è posta tra domande del lavoratore miranti a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (come più sopra illustrato), nella cognizione del giudice del lavoro o piuttosto dirette alla realizzazione di diritti di credito a contenuto patrimoniale, anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale, nella cognizione del giudice fallimentare.

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3. Una querelle di rito

Secondo l’approccio dottrinale[2], tuttavia, oltre ai profili decisamente classici, attinenti ad un approccio oramai tradizionale e non più di grande attualità sulle problematiche in tema, mette conto osservare che gli aspetti più interessanti e concreti, sono da cogliersi nei molteplici insoluti quesiti – nella maggior parte dei casi – circa le oscillazioni interpretative della giurisprudenza, sulla c.d. “vis attractiva” del foro fallimentare riguardo alle controversie di lavoro. In concreto, nel caso in cui venisse avanzata nelle forme ordinarie una domanda da un lavoratore, volta a far valere una pretesa creditoria soggetta, invece, al regime del concorso, il giudice erroneamente adito sarà tenuto a dichiarare non la propria incompetenza bensì l’inammissibilità, l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, con la conseguenza che la relativa questione, non soggiacendo alla preclusione prevista dall’art. 38, comma 1, c.p.c. potrà essere dedotta o rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Si dovrebbe allora secondo alcuni poter qualificare la questione in questo scritto affrontata come di una querelle di rito più che di competenza.

4. Conclusioni

In definitiva, per quanto attiene i rapporti di lavoro occorre distinguere fra le azioni promosse dal lavoratore all’unico scopo di conseguire la soddisfazione di una pretesa meramente economica, dalle azioni finalizzate ad ottenere una pronuncia di mero accertamento o costitutive (ad es. l’accertamento della nullità o l’annullamento del licenziamento), e ciò in considerazione della particolarità della disciplina lavoristica che risulta diretta ad una finalità di tutela del lavoro che – per il suo specifico contenuto e per il suo rilievo costituzionale – prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disciplina del fallimento. Nel primo caso, per l’ ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, viene in rilievo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito, laddove, nel secondo caso viene in rilievo un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno della impresa sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio.

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  1. [1]

    Ex multis: Cass. Civ. Sez. Lavoro, 16 Ottobre 2017, n. 2436; Cass. civ. Sez. Lavoro Ord. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. Civ. Sez. Lavoro, Sent., 14 luglio 2020, n. 14975.

  2. [2]

    Sul punto per un’analisi più completa della questione si veda: Carmelo Romeo, La tutela dei crediti di lavoro nelle procedure concorsuali, in Lavoro nella Giur., 2017, 6, 531.

Paola Orlando

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