Il decreto Piantedosi all’attenzione della consulta

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Con decreto legge n.1/2023 convertito in legge n.15/2023, recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori, è stato anche previsto un nuovo assetto giuridico per le ONG che trasportano i migranti nel nostro territorio nazionale. Il provvedimento di recente è stato esaminato dal Tribunale di Brindisi che ha sospeso l’efficacia del provvedimento di fermo dell’imbarcazione Ocean Viking e ha dichiarato di voler sollevare la questione di incostituzionalità in quanto non manifestamente infondata. Infatti, il provvedimento potrebbe essere in contrasto con la normativa internazionale e, in particolare, con la convenzione di Amburgo e con quella di Dublino, nonché con gli artt. 2 e 10 della nostra Carta costituzionale. Per approfondire i temi legati all’immigrazione, si consiglia il volume: Immigrazione, asilo e cittadinanza

Indice

1. La legge n.15/2023 (conversione del c.d. decreto Piantedosi)


La legge n. 1/2023 che ha convertito il decreto legge n.1/2023 (c.d. decreto Piantedosi), reca disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare.
In sintesi, l’art. 1 mira a definire le condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali, con la conseguenza che, nei confronti di tali navi non possono essere adottati provvedimenti di divieto o limitazione al transito o alla sosta delle navi nel mare territoriale.[1]
Il provvedimento prevede, tra l’atro, che “il transito e la sosta di navi nel mare territoriale sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità(…)”.[2]
Inoltre, “devono essere fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere”.
Secondo il provvedimento le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono (art. 2- bis):

  • possedere le certificazioni e i documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera  “ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita di vita e di lavoro a bordo”.
  • richiedere, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco;
  • raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità senza ritardi, per completare il soccorso;
  • fare in modo che le operazioni di soccorso non aggravino le situazioni di pericolo a bordo e non impediscano tempestivamente il raggiungimento del porto di sbarco.

Inoltre, nelle stesse imbarcazioni devono essere avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità.[3]
La norma stabilisce, poi, gli effetti della violazione del limite o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale, sostituendo alla precedente sanzione penale una sanzione amministrativa.
Nello specifico, la nuova disciplina prevede due ordini di comportamenti sanzionabili: il primo di cui al comma 2-quater riguarda la violazione della direttiva interministeriale eventualmente emessa ai sensi del comma 2 (la limitazione o il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali); il secondo è invece descritto nel comma 2-sexies, attraverso l’individuazione di diverse fattispecie che sono sanzionate in modo meno grave. Quest’ultima norma prevede infatti uno specifico regime sanzionatorio applicabile quando:

  • il comandante o l’armatore non forniscono le informazioni richieste dall’autorità SAR (zone per le attività di ricerca e soccorso in mare- Search and Rescue) competente o dalla “struttura nazionale” per lo svolgimento delle attività di polizia di frontiera e contrasto all’immigrazione irregolare;
  • il comandante non aderisce alle indicazioni delle due autorità di cui sopra;
  • mancano le condizioni di cui al comma 2-bis (sopra citato) sulla base di un accertamento successivo all’assegnazione del porto di sbarco.[4]

 Alle due categorie di comportamenti corrispondono regimi sanzionatori differenti. La violazione della direttiva interministeriale comporta infatti il pagamento di una sanzione pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, accompagnata dal fermo amministrativo della nave per due mesi; in caso di reiterazione della violazione il decreto prevede la confisca della nave, previo sequestro cautelare della stessa (cfr. comma 2-quinquies).
Nel secondo caso, invece, la sanzione pecuniaria va da 2.000 a 10.000 euro ed è accompagnata dal fermo della nave per un tempo inferiore, pari a 20 giorni, come nel caso esaminato dal Tribunale di Brindisi. In caso di reiterazione della violazione il fermo è invece più lungo, pari a 2 mesi, e in caso di ulteriore reiterazione si trasforma a sua volta in confisca, previo sequestro cautelare.
L’ultimo comma dell’art. 1 (il comma 2-septies) precisa che, sia nel primo che nel secondo caso, l’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni è il Prefetto del luogo in cui la violazione viene accertata e che si applica, in quanto compatibile, la legge n. 689/1981 che contiene la disciplina generale delle sanzioni amministrative. Infatti, contro il fermo amministrativo della nave “è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni”.  
Si applicheranno di conseguenza le procedure anche giurisdizionali e i tempi da quella norma previsti o richiamati (tra cui l’art. 6, d.lgs. 150/2011), ferma restando la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le impugnazioni delle sanzioni e di quella amministrativa per l’impugnazione del solo provvedimento interministeriale che dovesse intervenire limitando il transito o la sosta delle navi nelle acque territoriali italiane. Il ricorso al Tribunale di Brindisi nella fattispecie in esame si ritiene, pertanto, legittimo.
Al fermo si applicherebbero in quanto compatibili le disposizioni di cui all’art. 214 del codice della strada e viene anche introdotta una nuova sanzione amministrativa in caso di mancata risposta alle informazioni richieste o di mancata ottemperanza da parte delle navi alle indicazioni impartite.
Infatti, se le ONG violano le regole elencate, secondo il testo del decreto, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale si estende all’armatore e al proprietario della nave, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n.689.
Sono, poi, previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave che “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
Con il decreto in commento si opta, quindi, per la sostituzione del sistema sanzionatorio di carattere penale, previsto dal d.l. 130/2020 (cd. Lamorgese), con il sistema sanzionatorio amministrativo, che si presenta per l’Amministrazione di maggiore agilità applicativa e per le ONG di più difficile contrasto.  Laddove, infatti, astrattamente si potrebbe salutare con favore la depenalizzazione delle condotte, ci si avvede invero che il nuovo sistema rende molto più ardua la verifica della legittimità delle scelte amministrative in tempi celeri. Tale scelta, come ben evidenziato anche in dottrina, appare diretta a sottrarre l’operato del governo al vaglio della giurisdizione penale che si è più volte espressa delimitando l’ambito di azione.[5] Per approfondire i temi legati all’immigrazione, si consiglia il volume: Immigrazione, asilo e cittadinanza

2. Il procedimento presso il Tribunale di Brindisi


Il giudice civile del Tribunale di Brindisi Roberta Marra, nell’udienza del 14 marzo 2024, relativa al ricorso presentato dalla ONG Sos Mediterranèe avverso un provvedimento di fermo per venti giorni della nave Ocean Viking, per presunte violazioni del decreto Piantedosi, ha dichiarato che solleverà la questione di legittimità costituzionale di tale provvedimento (legge n.15/2023 citata) nella parte concernente la regolamentazione e la limitazione delle ONG a soccorrere i migranti naufraghi nel Mediterraneo.
Oggetto del contendere è il decreto del 20 febbraio scorso con cui lo stesso giudice ha sospeso il fermo amministrativo disposto il 9 dello stesso mese per la nave Ocean Viking approdata a Brindisi con 261 migranti a bordo. Nel provvedimento adottato dal magistrato si legge che “l’opposizione appare sostenuta da un fumus di fondatezza in ordine alla possibile carenza di competenza di accertamento e sanzionatoria in campo alle autorità amministrative italiane”.[6]
Nel merito della questione il fermo del 9 febbraio è scaturito dalle comunicazioni delle autorità costiere della Libia, circa il comportamento imputato al comandante della Ocean Viking di non aver rispettato le loro indicazioni
Ciò che viene contestato dagli avvocati della ONG è non solo la sanzione accessoria (il fermo amministrativo di 20 giorni), ma anche la sanzione principale, di natura economica (dai 2 ai 10 mila euro).
In particolare, sono state esaminate le fasi del salvataggio: il capitano della nave avrebbe disatteso gli ordini della capitaneria di porto libica – l’evento sarebbe avvenuto nelle acque Sar di questo Paese – ostacolando l’attività dell’autorità africana.
I legali della ONG hanno contestato questa ricostruzione, producendo le conversazioni in arabo e in inglese, tradotte, tra le due parti.[7] Pertanto, hanno depositato un fascicolo contenente anche le trascrizioni delle comunicazioni intercorse tra l’equipaggio della Ocean Viking e le autorità libiche durante i soccorsi per sostenere che la nave avesse avuto il via libera per operare e per fare poi rotta verso l’Italia. Inoltre hanno sollevato anche un problema di competenza delle autorità italiane in acque internazionali. Infatti la nave di cui trattasi batte bandiera norvegese e per questo le autorità libiche avrebbero dovuto comunicare le eventuali violazioni alla Norvegia e non all’Italia.
L’avvocatura dello Stato ha contestato invece la competenza del giudice, in quanto il processo dovrebbe essere celebrato davanti a un giudice amministrativo. Per converso, i legali della Sos Méditerranée hanno ribadito più volte che la priorità, per il diritto internazionale, è la salvaguardia della vita umana; pertanto, hanno contestato direttamente la costituzionalità del decreto Piantedosi. Infatti la normativa italiana dovrebbe rispettare le convenzioni internazionali che hanno l’obiettivo prioritario di salvare vite umane in mare aperto.
Il giudice Marra ha stabilito due mesi di tempo per decidere su tutte le questioni sollevate, anche su quelle di legittimità costituzionale. Nel dispositivo si legge infatti che “All’esito di ampia discussione su tutti i punti indicati il giudice sottopone al contradditorio delle parti la questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 2 sexies del decreto legge n.130/2020 nella parte in cui prevede che alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione, quale effetto automatico dell’applicazione della sanzione principale”.
Le parti hanno chiesto sul punto la concessione di un termine di almeno sessanta giorni per poter formulare le proprie difese, mentre il giudice si è riservato di provvedere sulle eccezioni di difetto di legittimazione attiva a proporre la controversia della Sos Mediterranèe, sulla eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e sull’eccezione di improcedibilità del ricorso per il solo fermo amministrativo rinviando poi alla successiva udienza da fissarsi all’esito dello scioglimento della riserva la concessione del richiesto termine. 

3. Conclusioni


In primo luogo, si ritiene che la normativa de qua potrebbe aggirare la normativa internazionale e darebbe per scontato che le navi valgano come territorio nazionale, circostanza contestata anche dai legali della ONG Ocean Viking.[8]
Inoltre, potrebbe essere disattesa la Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri della Comunità Europea, comunemente conosciuta come Convenzione di Dublino[9], che è un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo.
Il corrispondente regolamento di Dublino (formalmente chiamato “Regolamento UE n. 604/2013″oppure Regolamento di Dublino III[10]) è un regolamento dell’Unione Europea, che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”, nell’ambito della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e la relativa direttiva UE.[11]
Il regolamento di Dublino II determina lo Stato membro dell’Unione europea competente a esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra (art. 51). Esso rappresenta la pietra angolare del sistema di Dublino, costituito dal regolamento Dublino II e dal regolamento EURODAC, che istituisce una banca dati a livello europeo delle impronte digitali per chi intende presentare richiesta di asilo e per chi entra irregolarmente nel territorio dell’Unione Europea.
Il regolamento di Dublino mira a “determinare con rapidità lo Stato membro competente [per una domanda di asilo]” e prevede il trasferimento di un richiedente asilo in tale Stato membro. Generalmente lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo è lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea. In particolare, quando è accertato “che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera”[12], trascorsi i quali lo Stato competente diventa l’ultimo nel quale il richiedente ha soggiornato per un periodo di almeno cinque mesi.
Uno degli obiettivi principali del regolamento di Dublino è impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati membri (cosiddetto asylum shopping). Un altro obiettivo è quello di ridurre il numero di richiedenti asilo “in orbita”, che sono trasportati da Stato membro ad altro Stato membro.
Dall’analisi di tale normativa si evidenzia chiaramente che il raccogliere sulla nave che effettua il soccorso le intenzioni di richiedere la protezione internazionale potrebbe essere in contrasto con il menzionato Regolamento di Dublino ma, anche, con l’art. 10 Cost. il quale, ai commi 1 e 2, prevede che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Inoltre, il divieto di soccorrere in mare i naufraghi potrebbe porsi in contrasto con l’art. 2 della stessa Costituzione secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Imporre, poi, alle navi di soccorso di raggiungere senza ritardo il porto di sbarco per il completamento dell’intervento di soccorso di cui alle lettere d) ed f) dell’art. 1, comma 2-bis, del decreto legge n.1/2023 potrebbe determinare un’omissione di soccorso di cui all’art.593 del c.p., oltre che una violazione delle norme internazionali in materia.
Inoltre, il decreto Piantedosi potrebbe essere in contrasto anche con la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985; si tratta di un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), volto a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, con esplicito riferimento al soccorso marittimo.
Il regolamento di attuazione della Convenzione di Amburgo (D.P.R. 28 settembre 1994, n.662), poi, è il documento di coordinamento in materia di ricerca e soccorso in mare. Esso dispone l’organizzazione del sistema di soccorso secondo precisi criteri aderenti alla normativa internazionale.
L’evoluzione del principio generale del soccorso in mare si è avuta con l’art. 98, §1, della Convenzione delle Nazione Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos), intitolato «Obbligo di prestare soccorso», che così dispone:

  • 1. ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o suoi passeggeri:
    • presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
    • proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
    • presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata e qual è il porto più vicino presso cui fare scalo.

Pertanto si ritiene che il generico richiamo nell’art. 1, comma 2-bis, del citato decreto legge al rispetto delle convenzioni internazionali in materia non consenta di sanare i profili di illegittimità rilevati.
Con il provvedimento in esame unitamente al successivo decreto legge n.20/2023 convertito in legge n.50/2023, il governo ha cercato di dare attuazione ad uno degli obiettivi più salienti del programma di governo e, cioè, al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Tuttavia, tali disposizioni potrebbero non avere una reale efficacia deterrente e potrebbero determinare situazioni conflittuali con gli altri Paesi dell’Unione Europea,
Ma, soprattutto, si deve rilevare che il decreto in questione si pone in contrasto con le citate convenzioni internazionali in materia, e, in particolare quella di Amburgo e quella di Dublino che non possono essere derogate con un semplice provvedimento normativo di uno Stato aderente alle stesse convenzioni.
Pertanto, la normativa in esame potrebbe incorrere nella scure della Corte costituzionale, che sta per essere interessata dal Tribunale di Brindisi e, soprattutto, della Commissione Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo
In conclusione, si ritiene che ostacolare il soccorso in mare dei migranti da parte delle navi delle ONG non sia conforme ai nostri principi costituzionali e a quelli dell’Unione europea e possa contribuire a favorire tragedie in mare come quella avvenuta il 14 marzo scorso in cui numerosi migranti, rimasti in balia del mare per sette giorni, sono morti di fame e sete su un gommone partito dalla Libia e diretto in Italia. Ed è stata proprio la nave Ocean Viking a soccorrerli ed impedire una tragedia di dimensioni più gravi. Pertanto, se il Tribunale di Brindisi non avesse sospeso il provvedimento di fermo dell’imbarcazione anche i 25 superstiti probabilmente non si sarebbero potuti mettere in salvo.
I naufraghi soccorsi dalle ONG sono in larga misura persone in difficoltà che sono riuscite dopo atroci sofferenze a fuggire dai campi libici e tunisini e, quindi, ostacolare l’attività di salvataggio delle ONG significa impedire di salvare la vita chi fugge da situazioni umanamente difficili e di conseguenza impedirgli di coltivare la speranza di un domani migliore.

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Note

  1. [1]

    Camera dei Deputati D.L. 1/2023: Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori del 3 marzo 2023.

  2. [2]

    A, Cangemi, Le nuove regole per le Ong: la bozza del decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei ministri, in Fanpage del 28 dicembre 2022.

  3. [3]

    P. Gentilucci, Il nuovo decreto immigrazione e il ruolo delle ONG, in Diritto.it del 5 gennaio 2023.

  4. [4]

    ASGI, Il decreto legge 2 gennaio 2023 n, 1 convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 15, del 4 marzo 2023.

  5. [5]

    ASGI, Il decreto legge 2 gennaio 2023 n, 1 convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 15, cit.

  6. [6]

    E. Marinazzo, Scontro sul decreto Piantedosi. Il giudice coinvolge la Consulta, in Il quotidiano di Puglia  del 15 marzo 2024.

  7. [7]

    E. Lentini, Udienza Ocean Viking a Brindisi: in ballo anche la legittimità del decreto Piantedosi, in Brindisireport del 14 marzo 2024.

  8. [8]

    A. Ferri, Tra ong e governo è già muro contro muro: al Tar il decreto di Salvini e Piantedosi, in Il foglio.it del 7 novembre 2022.

  9. [9]

    Testo della Convenzione di Dublino, in Camera dei Deputati.

  10. [10]

    Testo del Regolamento UE n. 604/2013, in eur-lex.europa.eu.

  11. [11]

    P. Gentilucci, Il nuovo decreto immigrazione e il ruolo delle ONG, cit..

  12. [12]

    Articolo 13 – Regolamento (UE) N. 604/2013, in eur-lex.europa.eu.

Prof. Paolo Gentilucci

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