Il nuovo decreto immigrazione e il ruolo delle ONG

Scarica PDF Stampa

Con decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023 il governo di centro destra ha previsto un nuovo assetto giuridico per le ONG che trasportano i migranti nel nostro territorio nazionale. Il provvedimento potrebbe, però, essere in contrasto con la normativa internazionale e, in particolare, con la convenzione di Ginevra, quella di Amburgo, quella del Diritto del Mare e con quella di Dublino, nonché con l’art. 10 della nostra Carta costituzionale.

Indice

1. La disciplina internazionale in materia e il ruolo delle ONG 

Uno dei principi essenziali della Convenzione di Ginevra è il principio di non respingimento (non-refoulement): una persona che chiede protezione non può essere in nessun caso respinta verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.[1]
L’importanza del divieto di rinviare un rifugiato verso un luogo a rischio di persecuzione è reso palese dal fatto che l’art. 33 della Convenzione di Ginevra non può essere sottoposto ad alcuna riserva, come stabilito dall’art. 42 della stessa.[2]
Il principio di non refoulement non si applica solo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a quei richiedenti asilo che siano in attesa della decisione finale sul loro status e che quindi potrebbero essere riconosciuti rifugiati. E ciò perché il riconoscimento dello status di rifugiato ha natura dichiarativa e non costitutiva.[3]
Il diritto d’asilo, inoltre, è espressamente previsto dalla Costituzione italiana, all’articolo 10, comma 3, che recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
 L’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dispone, poi, che “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Questa norma riconosce un carattere prioritario al diritto alla vita che si identifica con la persona umana ed ha un valore assoluto.
Inoltre, la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue), siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, è un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), volto a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, con esplicito riferimento al soccorso marittimo.
In Italia ad essere investito per legge delle funzioni SAR in mare è il Corpo delle Capitanerie di Porto, il quale, pur essendo uno dei corpi specialistici della Marina Militare italiana, svolge compiti relativi agli usi civili del mare con funzioni amministrativo-burocratiche, di polizia giudiziaria e di guardia costiera.
Nell’ambito della funzione di ricerca e soccorso, il suo braccio operativo, ovvero la Guardia Costiera, svolge la funzione di coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo ed è l’organo competente per l’esercizio delle funzioni di ricerca e salvataggio in mare, di disciplina, monitoraggio e controllo del traffico navale, di sicurezza della navigazione e del trasporto marittimo, nonché delle relative attività di vigilanza e controllo.
L’evoluzione di tale principio generale si è avuta con l’art. 98, §1, della CNUDM (Convenzione del Diritto del Mare del 1982) che così dispone:
1.   ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o suoi passeggeri:
a)   presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
b)   proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
c)   presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata e qual è il porto più vicino presso cui fare scalo.
La CNUDM, al §2 dell’art. 98, tiene, poi, conto delle responsabilità in materia di SAR imposte agli Stati dalla convenzione di Amburgo 1979, affermando che “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.
Per completezza di analisi, e per delimitare l’efficacia del decreto in questione, meritano un cenno le ONG, “associazioni transnazionali private, senza scopo di lucro, che, tramite un apparato organico stabile, perseguono fini altruistici in maniera pacifica”, già da anni nell’occhio del ciclone.[4]
In primo luogo, nella produzione delle norme internazionali, esse danno un contributo diretto, uno indiretto ed uno autonomo. Il primo coincide con il coinvolgimento delle organizzazioni non governative nella redazione dei testi di trattati e atti giuridicamente non vincolanti; il secondo comprende tutte le attività di natura informale mediante cui le stesse sono in grado di influenzare lo svolgimento e gli esiti dei negoziati per l’elaborazione di tali strumenti; il terzo, invece, consiste nell’elaborazione di standards internazionali di condotta nella forma di principi, linee guida o codici.
Inoltre, con riferimento al ruolo delle ONG nel controllo e nella promozione dell’osservanza delle norme internazionali, la prassi negli ultimi anni ha evidenziato una progressiva apertura dei meccanismi di monitoraggio del rispetto delle norme internazionali. Questo si è verificato principalmente nei settori della tutela dei diritti umani e della protezione dell’ambiente nei quali è stato sollecitato il controllo e promozione del diritto internazionale e l’osservanza degli obblighi internazionali da parte degli Stati.
Tale contributo si concretizza in concreto nella possibilità di attivare, su propria iniziativa, meccanismi internazionali di controllo. All’interno di tale tipologia di azione, si distinguono casi in cui le ONG possono agire soltanto a condizione di dimostrare un interesse specifico a ricorrere, circostanze in cui la legittimazione a ricorrere è subordinata al possesso di una specifica expertise nel settore interessato ed infine ipotesi in cui le Organizzazioni possono attivare procedimenti internazionali di controllo in base ad un generale interesse all’attuazione obiettiva del diritto.

2. Il decreto legge n. 1/2023

Il decreto di cui trattasi prevede all’art. 1, comma 2-ter, che “il transito e la sosta di navi nel mare territoriale sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità(…)”.[5] Inoltre, “devono essere fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere”.
Secondo il provvedimento in questione le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono:

  • possedere le autorizzazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera e i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali;
  • aver raccolto tempestivamente, previa informativa, le intenzioni dei migranti di richiedere la protezione internazionale;
  • richiedere, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco; raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità senza ritardi, per completare il soccorso;
  • fare in modo che le operazioni di soccorso non aggravino le situazioni di pericolo a bordo e non impediscano il raggiungimento del porto di sbarco.

Se le ONG violano le regole elencate, secondo il testo del decreto, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale si estende all’armatore e al proprietario della nave, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n.689.
Autorità competente all’irrogazione delle sanzioni accertate dagli organi addetti al controllo, è il Prefetto della provincia interessata dallo sbarco.
Inoltre alla contestazione “della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. L’organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l’armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia della nave a proprie spese”.
Contro il fermo amministrativo della nave “è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni”. Data la brevità del termine decisorio la giurisprudenza dovrà chiarire gli effetti del ritardo nella decisione del gravame, che potrebbe configurarsi anche come una forma di silenzio assenso al pari dei ricorsi in materia di circolazione stradale.
In caso di reiterazione della violazione “commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l’organo accertatore procede immediatamente a sequestro cautelare”.
Sono, poi, previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave che “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
Alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione e, in caso di recidiva, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo è di due mesi.

Potrebbero interessarti anche

3. Il possibile contrasto del provvedimento con le convenzioni internazionali

Con il provvedimento in esame si prevede che le navi di bandiera dovrebbero raccogliere le intenzioni dei migranti intese a richiedere la protezione internazionale. A tale proposito si osserva che tale attività potrebbe essere inutiliter data, in quanto il successivo sbarco in un porto italiano determinerebbe l’entrata in vigore della Convenzione di Dublino con la conseguente possibilità di presentare un’istanza di protezione alle autorità italiane. Tuttavia, la normativa non è del tutto chiara e bisognerà attendere le circolari ministeriali per una valutazione più approfondita.
Quindi, tale disposizione darebbe per scontato che le navi valgano come territorio nazionale e punterebbe ad aggirare il regolamento di Dublino, ma potrebbe anche non rispettare la normativa e le direttive europee.[6]
Come noto, la Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri della Comunità Europea, comunemente conosciuta come Convenzione di Dublino[7], è un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo.
Il corrispondente regolamento di Dublino (formalmente chiamato “Regolamento UE n. 604/2013″oppure Regolamento di Dublino III[8]) è un regolamento dell’Unione Europea, che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”, nell’ambito della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e la relativa direttiva UE.
Il “sistema di Dublino” fu istituito dalla omonima Convenzione di Dublino, firmata a Dublino  il 15 giugno 1990 (per l’Italia, dal Governo Andreotti VI[9]), ed è entrato in vigore il successivo 1º settembre 1997 per i primi dodici stati firmatari (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito), il 1º ottobre 1997 per Austria e Svezia e il 1º gennaio 1998 per la Finlandia.
Successivamente il regolamento di Dublino II (regolamento 2003/343/CE) fu adottato nel 2003 (per l’Italia, dal Governo Berlusconi II) e sostituì la convenzione di Dublino in tutti gli Stati membri dell’UE, con l’eccezione della Danimarca. Quindi, un accordo con la Danimarca sull’estensione dell’applicazione del regolamento anche in tale Paese è entrato in vigore nel 2006, insieme al protocollo separato che aveva esteso l’accordo a Islanda e Norvegia. Il 1º marzo 2008 le disposizioni del regolamento sono state estese anche alla Svizzera, che il 5 giugno 2005 aveva sottoposto a referendum per la ratifica (approvato con il 54,6% dei voti), e al Liechtenstein.[10]
Il regolamento di Dublino III (2013/604/CE) è stato invece approvato nel giugno 2013 (per l’Italia, dal Governo Letta), aggiornando il regolamento di Dublino II, e si applica a tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione della Danimarca. È entrato in vigore il 19 luglio 2013. Si basa sullo stesso principio dei due precedenti regolamenti: il primo Stato membro in cui viene registrata una richiesta di asilo (o vengono memorizzate le impronte digitali) è responsabile della richiesta d’asilo di un rifugiato. Mentre nel 1990 tale regola rispondeva ad un criterio di buon senso in quanto i flussi migratori erano limitati ed erano comunque ancora presenti le frontiere fra i paesi Europei, nel nuovo millennio tali fattori risultano totalmente mutati e, pertanto, si è determinato un acceso dibattito sulla necessità che tali regole debbano essere aggiornate per fronteggiare il mutato quadro sociopolitico internazionale.
Il regolamento di Dublino II determina lo Stato membro dell’Unione europea competente a esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra (art. 51). Esso rappresenta la pietra angolare del sistema di Dublino, costituito dal regolamento Dublino II e dal regolamento EURODAC, che istituisce una banca dati a livello europeo delle impronte digitali per chi intende presentare richiesta di asilo e per chi entra irregolarmente nel territorio dell’Unione Europea. Il regolamento di Dublino mira a “determinare con rapidità lo Stato membro competente [per una domanda di asilo]” e prevede il trasferimento di un richiedente asilo in tale Stato membro. Generalmente lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo è lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea. In particolare, quando è accertato “che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera”[11], trascorsi i quali lo Stato competente diventa l’ultimo nel quale il richiedente ha soggiornato per un periodo di almeno cinque mesi.
Uno degli obiettivi principali del regolamento di Dublino è impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati membri (cosiddetto asylum shopping). Un altro obiettivo è quello di ridurre il numero di richiedenti asilo “in orbita”, che sono trasportati da Stato membro a Stato membro.
Secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il sistema attuale non riesce a fornire una protezione  efficace. È stato dimostrato in diverse occasioni sia dall’ECRE[12] sia dall’UNHCR[13], che il regolamento non tutela i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un giusto esame della loro domanda d’asilo e, ove riconosciuto, a una protezione effettiva. Esso conduce, inoltre, a una distribuzione ineguale delle richieste d’asilo tra gli Stati membri.
Il sistema di Dublino aumenta anche la pressione sulle regioni di confine esterno dell’UE, dove la maggioranza dei richiedenti asilo entrano nell’UE e in cui gli Stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno per l’asilo e la protezione dei richiedenti, tra cui soprattutto Grecia e Italia.
Il regolamento è stato anche criticato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in quanto non in grado di garantire i diritti dei rifugiati.[14]
Dall’analisi di tale normativa si evidenzia chiaramente che il raccogliere sulla nave che effettua il soccorso le intenzioni di richiedere la protezione internazionale potrebbe essere in contrasto con il menzionato Regolamento di Dublino ma, anche, con l’art. 10 Cost. il quale, ai commi 1 e 2, prevede che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali (…)”.
Inoltre, imporre alle navi di soccorso di raggiungere senza ritardo il porto di sbarco per il completamento dell’intervento di soccorso di cui alle lettere d) ed f) dell’art. 1, comma 2-bis, del decreto legge n.1/2023 potrebbe determinare un’omissione di soccorso di cui all’art.593 del c.p., oltre che una violazione delle norme internazionali in materia.
Pertanto si ritiene che il generico richiamo nell’art. 1, comma 2-bis, del citato decreto legge al rispetto delle convenzioni internazionali in materia non consenta di sanare i profili di illegittimità rilevati.

4. Conclusioni

Con il provvedimento di cui trattasi il governo ha cercato di dare attuazione ad uno degli obiettivi più salienti del programma di governo e, cioè, al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Tuttavia, tali disposizioni potrebbero non avere una reale efficacia deterrente e, probabilmente, determineranno situazioni conflittuali con gli altri Paesi dell’Unione Europea, come avvenuto di recente con la Francia.
Ma, soprattutto, si deve rilevare che il provvedimento si pone in contrasto con le citate convenzioni internazionali in materia, e, in particolare quella di Ginevra, di Amburgo e quella di Dublino. Quest’ultima, anche se causa di palesi iniquità nei confronti degli Stati di frontiera dell’Unione Europea, è tuttora vigente e quindi non può essere derogata con un semplice provvedimento normativo di uno Stato membro dell’UE.
Pertanto, la normativa in esame potrebbe incorrere nella scure della Corte costituzionale e, soprattutto, della Commissione Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
In conclusione, si ritiene che l’unica strada possibile da percorrere, anche se in salita, in quanto non condivisa da alcuni Paesi europei, tra cui soprattutto l’Ungheria e la Svezia che ha già affermato di recente che durante la presidenza del Consiglio dell’Ue, nei primi sei mesi del 2023 e sino al 2024, non ci sarà alcun patto sull’immigrazione, sia quella di continuare in maniera decisa le trattative con l’Unione Europea per addivenire ad una modifica sostanziale della Convenzione di Dublino e per imporre agli Stati membri una redistribuzione più equa dei migranti sbarcati in Italia, senza che questa si configuri come un benevola concessione.

  1. [1]

    P. Gentilucci, Le nuove controverse politiche dell’immigrazione, in Diritto.it del 14 novembre 2022.

  2. [2]

    Cfr, tra i tanti, R. Finocchi Ghersi, Il diritto di asilo in Italia e in Europa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2011; S. Furlan, Diritto di asilo in base all’art. 10, terzo comma, Cost. e status di rifugiato, in Rivista di diritto internazionale, 2006.

  3. [3]

    G. Paccione, Il principio di non refoulement e la deterritorializzazione del controllo della frontiera marittima, in diritto.it, 2014.

  4. [4]

    E. Tramontana, Organizzazioni non governative e ordinamento internazionale, CEDAM, Padova, 2013.

  5. [5]

    A, Cangemi, Le nuove regole per le Ong: la bozza del decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei ministri, in Fanpage del 28 dicembre 2022

  6. [6]

    A. Ferri, Tra ong e governo è già muro contro muro: al Tar il decreto di Salvini e Piantedosi, in Il foglio.it  del 7 novembre 2022.

  7. [7]

    Testo della Convenzione di Dublino, in Camera dei Deputati.

  8. [8]

    Testo del Regolamento UE n. 604/2013, in eur-lex.europa.eu.

  9. [9]

    Chi approvò il trattato di Dublino, su italiaoggi.it.

  10. [10]

    Proposta di Regolamento del parlamento europeo e del consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, in eur-lex.europa.eu.

  11. [11]

    Articolo 13 – Regolamento (UE) N. 604/2013, in eur-lex.europa.eu.

  12. [12]

    ECRE sulla proposta della Commissione europea di riformulare la Regolamento Dublino, su ecre.org, ECRE

  13. [13]

    Osservazioni sulla proposta della Commissione europea per una riformulazione dei regolamenti Dublino e Eurodac, in unhcr.org, UNHCR.

  14. [14]

    Il regolamento Dublino II mina i diritti dei rifugiati in Internet Archive, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa

Prof. Paolo Gentilucci

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento