Le nuove controverse politiche dell’immigrazione

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Le recenti politiche dell’immigrazione adottate dal nuovo governo di centro destra hanno determinato forti tensioni sia in Italia che nell’ambito dell’Unione Europea, soprattutto con la Francia. Gli stessi provvedimenti oltre ad avere, allo stato, scarsa efficacia, potrebbero determinare dei risvolti giudiziari, come già avvenuto con precedenti governi.

    Indice

  1. La disciplina internazionale in materia e il ruolo delle Ong
  2. Il possibile contrasto delle recenti direttive con le convenzioni internazionali e la giurisprudenza
  3. Gli eventuali risvolti penali
  4. Conclusioni 

1. La disciplina internazionale in materia e il ruolo delle Ong

Il fenomeno delle migrazioni ha ormai una dimensione planetaria indiscutibile. La sua origine deriva da due ragioni: la prima, economica, attribuibile ai grandi progressi realizzati nei settori delle comunicazioni e dei trasporti (globalizzazione); l’altra, di natura politica, attribuibile alla divisione in Stati che con i loro governi e sistemi di potere contribuiscono agli squilibri mondiali con regimi dittatoriali e lesivi dei diritti umani e democratici, conflitti armati, alimentazione di conflitti etnici e religiosi, politiche strutturali interne poco efficaci.[1]

Secondo la Convenzione di Ginevra stilata dagli Stati Membri delle Nazioni Unite subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e conosciuta come Convenzione ONU del 1951, un rifugiato è colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese».[2]

Pertanto, uno dei principi essenziali della Convenzione di Ginevra è il principio di non respingimento (non refoulement): una persona che chiede protezione non può essere in nessun caso respinta verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.

L’importanza del divieto di rinviare un rifugiato verso un luogo a rischio di persecuzione è reso palese dal fatto che l’art. 33 della Convenzione di Ginevra non può essere sottoposto ad alcuna riserva, come stabilito dall’art. 42 della stessa.[3]

Il principio di non refoulement non si applica solo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a quei richiedenti asilo che siano in attesa della decisione finale sul loro status e che quindi potrebbero essere riconosciuti rifugiati. E ciò perché il riconoscimento dello status di rifugiato ha natura dichiarativa e non costitutiva.[4]

A tale riguardo, è opportuno sottolineare come la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 23 febbraio 2012, ha posto una pietra miliare in tema di respingimenti in acque internazionali. Il ricorso ipotizzava la violazione da parte dell’Italia degli artt. 3 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e dell’art. 4 del Protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione stessa. La Corte ha riconosciuto l’esercizio della giurisdizione italiana nel caso di specie, anche se le operazioni di soccorso e poi di respingimento sono avvenute al di fuori del suo territorio in acque internazionali.[5]

Il diritto d’asilo, è anche espressamente previsto dalla Costituzione italiana, all’articolo 10 che recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Inoltre, l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dispone che «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Questa norma riconosce un carattere prioritario al diritto alla vita che si identifica con la persona umana ed ha un valore assoluto.

Inoltre, la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, è un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), volto a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, con esplicito riferimento al soccorso marittimo.

In Italia ad essere investito per legge delle funzioni SAR in mare è il Corpo delle Capitanerie di Porto, il quale, pur essendo uno dei corpi specialistici della Marina Militare italiana, svolge compiti relativi agli usi civili del mare con funzioni amministrativo-burocratiche, di polizia giudiziaria e di guardia costiera.

Il regolamento di attuazione della Convenzione di Amburgo (D.P.R. 28 settembre 1994, n.662), è il documento di coordinamento in materia di ricerca e soccorso in mare. Esso dispone l’organizzazione del sistema di soccorso secondo precisi criteri aderenti alla normativa internazionale. In questo assetto, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, attraverso la propria centrale operativa, ha assunto le funzioni di Italian Maritime Resue Coordination Centre con l’acronimo IMRCC (Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo).

L’evoluzione del principio generale del soccorso in mare si è avuta con l’art. 98, §1, della CNUDM che così dispone:

  1. ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o suoi passeggeri:
  2. presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
  3. proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
  4. presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata e qual è il porto più vicino presso cui fare scalo.

La CNUDM, al §2 dell’art. 98, tiene conto delle responsabilità in materia di SAR imposte agli Stati dalla convenzione di Amburgo 1979, affermando che «Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali».

Pertanto, le fasce di mare, individuate come SAR, rientrano nella responsabilità dello Stato costiero e devono sottostare al controllo ed al potere di intervento di ogni singolo Stato.[6]

Ai fini della configurazione dell’omissione di soccorso si dovrebbe, pertanto, ritenere che le responsabilità sarebbero ipotizzabili nei seguenti casi:

  • Non intervento di navi le quali siano a conoscenza della situazione (anche a seguito di warning emanato dalle autorità italiane) e siano in condizioni di intervenire in tempo utile in ragione della distanza e della velocità e non sussistano condizioni ostative attinenti alla sicurezza della navigazione e delle persone che sono a bordo nonché alla tipologia di navi, sprovviste di spazi per ospitare le persone salvate o addirittura pericolose nei confronti dei migranti da trasportare;
  • Mancata emissione di warning ai mercantili in transito da parte delle autorità SAR italiane.

Per completezza di analisi, e per delineare un’eventuale responsabilità penale nei confronti delle autorità italiane, meritano un cenno le ONG, «associazioni transnazionali private, senza scopo di lucro, che, tramite un apparato organico stabile, perseguono fini altruistici in maniera pacifica», già da anni nell’occhio del ciclone.[7]

In primo luogo, nella produzione delle norme internazionali, esse danno un contributo diretto, uno indiretto ed uno autonomo. Il primo coincide con il coinvolgimento delle organizzazioni non governative nella redazione dei testi di trattati e atti giuridicamente non vincolanti; il secondo comprende tutte le attività di natura informale mediante cui le stesse sono in grado di influenzare lo svolgimento e gli esiti dei negoziati per l’elaborazione di tali strumenti; il terzo, invece, consiste nell’elaborazione di standards internazionali di condotta nella forma di principi, linee guida o codici.

Tuttavia, l’unico mezzo per verificare che vi sia osservanza di tali principi è quello di dare un’informativa diffusa al pubblico in modo da recare pregiudizio agli attori che pongano in essere condotte contrastanti e indurli ai uniformarsi ai medesimi. Infatti, tali strumenti possono acquisire valore giuridico sul piano dell’ordinamento internazionale solo se incorporati nel testo di trattati o qualora siano supportati da una prassi costante e uniforme degli Stati e da una corrispondente opinio juris.


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2. Il possibile contrasto delle recenti direttive con le convenzioni internazionali e la giurisprudenza

Con decreti interministeriali adottati in base all’articolo 1.2 del decreto-legge 130/2020, convertito in legge n.173/2020, notificati in data 4 e 6 novembre 2022, ai comandanti delle navi Humanity 1, che batte bandiera tedesca e Geo Barents, che batte bandiera norvegese, dai tre ministri firmatari dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture, è stato intimato il ritorno delle navi in acque internazionali e quindi di fatto il respingimento dei migranti.

Le autorità competenti e i medici si sono visti costretti ad attuare una selezione dei profughi: quelli identificati come vulnerabili sono potuti scendere subito dalle navi e hanno avuto accesso al primo soccorso; mentre gli altri, in un primo momento sono stati costretti a rimanere sulle navi e successivamente sono stati fatti scendere in quanto ritenuti anch’essi fragili per gravi problemi psicologici.

Inoltre, dal governo continua il richiamo persistente agli Stati di bandiera, che secondo il ministro dell’interno dovrebbero prendersi in carico i migranti. Una teoria questa che darebbe per scontato che le navi valgano come territorio nazionale e che punterebbe ad aggirare il regolamento di Dublino, ma che potrebbe non rispettare le direttive europee.[8]

In primo luogo, si ritiene che i citati decreti interministeriali contengano un’interpretazione non coerente con le convenzioni internazionali, compresa quella di Amburgo e con le ultime pronunce della Cassazione. Si tratta di convenzioni «che antepongono il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, il principio di non refoulement e il diritto di chiedere asilo in frontiere».

Il governo sostiene anche, come detto, che l’assistenza e il salvataggio potrebbero essere assicurati dal Paese di bandiera. In realtà, è impossibile presumere in anticipo la sicurezza dei porti stranieri, in quanto la valutazione del porto più sicuro deve essere effettuata caso per caso, anche perché non è presumibile in anticipo che la nave soccorritrice disponga di risorse sufficienti per raggiungere il paese di bandiera.

3. Gli eventuali risvolti penali

E’ necessario anche esaminare i possibili risvolti penali che potrebbero essere originati dall’attuazione dei provvedimenti in argomento, partendo dall’analisi delle più recenti vicende.

Nel caso della nave “Gregoretti”[9], la Procura di Catania aveva aperto un’inchiesta per sequestro di persona e, il 21 settembre 2019, il PM aveva avanzato richiesta motivata di archiviazione.

Tuttavia, su richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania, in conseguenza dell’autorizzazione a procedere da parte della Giunta per le immunità del Senato, si è svolta l’udienza davanti al GUP di Catania conclusasi con il proscioglimento di tutti gli imputati.

Ulteriori considerazioni ci vengono suggerite dall’ordinanza del GIP di Agrigento in data 2 luglio 2019, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, a proposito del caso analogo della nave “Sea Watch 3” che, il giorno 29 giugno 2019, decideva di entrare nel porto di Lampedusa per far sbarcare alcuni migranti che aveva precedentemente soccorso. Alla luce di quanto sopra, la comandante della nave, Carola Rackete, veniva tratta in arresto dalle forze dell’ordine per aver opposto resistenza alla nave della Guardia di Finanza. Il GIP non convalidava l’arresto della citata comandante, ritenendo non integrato il reato di cui all’art. 1100 del codice della navigazione e scriminato, ex art. 51 c.p., il reato di cui all’art. 337 c.p.

Un caso analogo, ma con alcune rilevanti diversità, si è verificato per la vicenda della nave spagnola “Open Arms” che, nel mese di agosto 2019, soccorse 164 migranti, tra cui numerosi minori non accompagnati, in attesa dal 14 agosto sino all’esecuzione del sequestro preventivo, in data 20 agosto, di ottenere un porto sicuro. Tale procedimento si trova, allo stato, nella fase dibattimentale dinanzi al Tribunale dei Ministri di Palermo.

Anche nei casi in esame, quindi, potrebbe essere presente l’elemento materiale del reato di sequestro di persona e cioè la privazione della libertà personale; infatti «l’elemento oggettivo previsto dall’art. 605 cod. pen. consiste nella privazione della libertà personale della vittima, intesa come libertà di movimento, mentre sono irrilevanti il suo grado di privazione, la durata di questa ed i mezzi usati per imporla»[10] . Ma potrebbe sussistere anche l’elemento soggettivo del reato «L’elemento psicologico del reato di sequestro di persona si concreta nel dolo generico e cioè nella volontà, cosciente e libera, dell’agente di menomare l’altrui libertà di movimento, senza che occorra alcun fine specifico».[11]

Tale analisi potrebbe far propendere per una responsabilità penale dei ministri interessati al decreto interministeriale in argomento. Però, deve anche rilevarsi che, secondo una parte della giurisprudenza «Il reato di sequestro di persona richiede, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di infliggere alla vittima una illegittima privazione della libertà personale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità del suddetto reato allorchè la privazione della libertà costituisca il risultato di una condotta che, sebbene oggettivamente illegittima, sia contrassegnata soggettivamente dalla finalità di realizzare l’esercizio di un potere del quale l’agente sia legittimamente investito e non si caratterizzi come comportamento privo di ogni legame con l’attività istituzionale».[12]

Quindi, potrebbero sussistere nelle fattispecie in questione disposti normativi che hanno fatto venir meno l’elemento soggettivo del reato, soprattutto con riferimento alla citata legge n.173/2020, contenente disposizioni urgenti in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica.

L’art.1.2 ha introdotto, infatti, una norma, in base alla quale il Ministro dell’Interno, in quanto Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza ai sensi dell’art. 1 della legge n.121/1981, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica.

Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente dei Consiglio dei Ministri, come avvenuto nei casi in esame.

Dal tenore letterale della norma si evince anche che non dovrebbe sussistere discrezionalità in capo al Ministro dell’Interno nel caso siano sorti motivi di ordine e sicurezza pubblica, sempre che siano stati rispettati gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, con la conseguente limitazione della propria sovranità nel mare territoriale.

Attualmente il Viminale sta lavorando ad una nuova norma che disciplini le attività delle navi delle ONG nelle acque territoriali italiane. Si tratta di un provvedimento analogo al primo decreto sicurezza, e cioè del decreto legge 4 ottobre 2018, n.118, convertito con la legge 17 dicembre 2018, n.132, nel punto in cui disciplinava le sanzioni amministrative e il sequestro dei battelli umanitari.[13]

Tale provvedimento prevedeva, tra l’altro, l’irrogazione di multe per le navi delle ONG sino ad un milione di euro. Il testo era stato, poi, modificato dal governo successivo con la citata legge n.173/2020, il quale stabiliva che, in caso di violazione del divieto, si doveva applicare la reclusione fino a due anni e una multa da 10.000 a 50.000 euro. In tal modo venivano eliminate le sanzioni amministrative introdotte in precedenza.

La stessa norma precisava che, per le operazioni di soccorso, la disciplina di divieto non si sarebbe applicata nell’ipotesi in cui vi sia stata la comunicazione al centro di coordinamento ed allo Stato di bandiera e siano rispettate le indicazioni della competente autorità per la ricerca ed il soccorso in mare.[14]

Il provvedimento allo studio, che attribuisce maggiori poteri ai prefetti, vorrebbe ripristinare le citate sanzioni amministrative, ritenute più efficaci e tempestive, ma potrebbe incorrere nelle censure della Corte di Cassazione, della Corte costituzionale e soprattutto del Presidente della Repubblica che rilevò, in sede di promulgazione della menzionata legge n.132/2018, due rilevanti criticità: la prima sulla sanzione pecuniaria e l’altra sulla reiterazione della condotta, indicazioni dalle quali l’attuale governo non potrà prescindere.

4. Conclusioni

Si ritiene che le disposizioni di cui trattasi incidono sulle menzionate convenzioni internazionali senza avere una reale efficacia deterrente, determinando situazioni conflittuali con gli altri Paesi dell’Unione Europea, come avvenuto di recente con la Francia.

Pertanto, si rende necessario il bilanciamento con gli altri diritti inviolabili dei cittadini, italiani e stranieri. Tra questi certamente si deve considerare il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione e il diritto al trattamento umano sancito dagli artt. 2, 10 e 27, comma 3, della stessa Costituzione. Alle previsioni della nostra Carta costituzionale devono aggiungersi quelle contenute nelle Convenzioni internazionali e in quella europea dei diritti dell’uomo – al cui rispetto il nostro ordinamento è tenuto in forza dell’art. 117 della Costituzione – che parimenti qualificano come inderogabili il divieto di trattamenti inumani (art. 3) e la protezione della vita e dell’integrità fisica. Si tratta di previsioni alle quali la Convenzione europea accorda una tutela assoluta, poiché – secondo quanto previsto dall’art. 15 della stessa CEDU – ad esse non si può derogare nemmeno “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”.

Per affrontare il fenomeno migratorio, non può quindi considerarsi risolutiva l’emanazione dei citati decreti interministeriali, ma sarà necessaria una previgente politica governativa, con il coinvolgimento degli altri paesi dell’UE, già avviata con notevoli difficoltà, la quale soltanto potrà razionalizzare il flusso dei migranti destinato ad incrementare ulteriormente.

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Note

[1]P. Gentilucci, Le migrazioni forzate, in Lojonio, del 28 febbraio 2020, Taranto, pp.22-24.

[2] P. Gentilucci, Il drastico, confuso e contradditorio intervento in materia di immigrazione posto in essere dalla normativa emergenziale sul Coronavirus, in Democrazia e Sicurezza, del 29 maggio 2020.

[3] Cfr. Finocchi Ghersi, Il diritto di asilo in Italia e in Europa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2011; S. Furlan, Diritto di asilo in base all’art. 10, terzo comma, Cost. e status di rifugiato, in Rivista di diritto internazionale, 2006.

[4] G. Paccione, Il principio di non refoulement e la deterritorializzazione del controllo della frontiera marittima, in diritto.it, 2014.

[5] Sentenza del 23 febbraio 2012 con la quale la Grande Camera della Corte europea, nel caso Hirsi Jamaa e altri, ha condannato all’unanimità l’Italia per violazione dell’art. 3 (doppia), dell’art. 4 Protocollo n. 4, nonché dell’art. 13, in collegamento con i due articoli precedenti.

[6]Cfr  M. Castellaneta, Traffico di migranti: Si alla giurisdizione italiana anche se abbandonati in alto mare  in marinacastellaneta.it, 2014;, Le risposte sbagliate dell’Europa e dell’Italia alla tragedia dei migranti  in marinacastellaneta.it; Traffico di esseri umani: giurisdizione italiana anche se il naufragio avviene in acque internazionali in marinacastellaneta.it, 2015; Giurisdizione italiana anche se il soccorso avviene in acque internazionali in marinacastellaneta.it, 2016; L. Iuzzolini , I respingimenti in mare tra diritto interno, diritto comunitario e diritto internazionale, in i diritti dell’uomo, 2010,  pp. 65 ss.; M. P. La Spina, Obbligo di soccorso o favoreggiamento di immigrazione clandestina in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 2011; A. Liguori, I respingimenti in mare e il diritto internazionale, in europeanrights.eu, 2010.

[7] E. Tramontana, Organizzazioni non governative e ordinamento internazionale, CEDAM, Padova, 2013.

[8] A. Ferri, Tra ong e governo è già muro contro muro: al Tar il decreto di Salvini e Piantedosi, in Il foglio.it del 7 novembre 2022.

[9] P. Gentilucci, Il rebus politico-giuridico della nave Gregoretti, una bussola per i futuri governi in Giurisprudenza Penale.com, 2020.

[10] Cassazione Penale, sez. I, n.7460 del 15.09.1983.

[11] Cassazione Penale, sez. V, n. 9437 dell’11.11.1983.

[12] Cassazione Penale, sez, VI, n. 502 del 10.01.2003.

[13] Si veda la circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento delle Libertà Civili, n. 22146 del 27 dicembre 2018.

[14] P. Gentilucci, La controversa riforma dei decreti sicurezza, in Giurisprudenza Penale Web del 6 novembre 2020.

Prof. Paolo Gentilucci

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